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Lo stress e l’ansia causati dal lockdown hanno portato a fumare di più

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Un sondaggio rivela che la pandemia sta avendo ripercussioni sulla salute mentale e fisica dei fumatori e milioni fumano di più

New York, 11 maggio 2020– Il caos provocato dalla pandemia di COVID-19 ha due risvolti: oltre a subire gli effetti diretti del virus, il mondo è alle prese con le difficoltà causate dell’allontanamento sociale e dal lockdown. Ansia e stress si sono tradotti in un costo mentale e fisico piuttosto alto per i fumatori di tutto il mondo.

Un recente sondaggio, promosso dalla Foundation for a Smoke-Free World, approfondisce il legame tra il distanziamento sociale dovuto al COVID-19 e la salute di 6.801 consumatori di tabacco e nicotina in 5 Paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Sudafrica e India). 

Oltre due terzi degli intervistati ricorrono al tabacco e alla nicotina come mezzo principale per far fronte a stress e ansia. Quasi il 40% dei fumatori ha aumentato il consumo di questi prodotti nelle ultime settimane

“Sondaggi recenti hanno dimostrato che i fumatori hanno continuato a fumare sigarette per far fronte al travolgente aumento di stress, ansia e paura a causa delle restrizioni dovute al lockdown da COVID-19. Vi era una grande aspettativa nei confronti di una nuova ondata di tentativi di smoking cessation nei prim giorni del lockdown, ma non si è mai concretizzata. Non sono sorpreso- ha dichiarato Riccardo Polosa, Direttore del COEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del danno da Fumo dell’Università di Catania– per i fumatori può essere difficile contrastare l’impulso a fumare, specialmente quando l’abitudine aiuta. gestire lo stress”

Stress e ansia causano un consumo maggiore di tabacco 

Da un lato i governi cominciano ad allentare le linee guida per l’allontanamento sociale, dall’altro gli intervistati hanno dichiarato di essere preoccupati di ammalarsi, di essere ricoverati in ospedale e di come gestire stress e ansia. 

“Con la discesa della curva pandemica, assisteremo a importanti conseguenze sulla salute mentale e fisica delle persone”, dichiara il Dott. Derek Yach, presidente della fondazione. “Prima della crisi COVID,i fumatori avevano un alto rischio di sviluppare tumori ai polmoni, malattie polmonari croniche e attacchi di cuore. Continueranno a correre questi maggiori rischi quando la pandemia si esaurirà. Non dimentichiamoci che 7 milioni di persone a livello mondiale quest’anno moriranno in conseguenza del consumo di tabacco”.  

Meccanismi poco salutari per far fronte a una pandemia globale

La nicotina e tabacco erano usati come mezzi per mitigare lo stress già prima della pandemia. Di conseguenza, molti hanno mantenuto o addirittura aumentato il consumo di questi prodotti.

I Paesi dove le autorità hanno posto dei divieti sull’acquisto di tabacco e alcol (India e Sudafrica) hanno registrato un consumo maggiore.

Si ricorre anche ad alternative sane per gestire lo stress

Con la chiusura di bar e ristoranti, quasi la metà degli intervistati in Italia e nel Regno Unito ha riferito di aver ridotto l’assunzione di alcolici. 

In tutti i Paesi, circa il 45% degli intervistati ha riferito di ricorrere normalmente all’attività fisica per affrontare stress e ansia. In India, dove l’isolamento ha precluso ogni attività all’aperto, oltre la metà degli intervistati ha cercato altre strategie sane per affrontare la situazione, come esercizi di respirazione, meditazione e yoga.

Uno sguardo al futuro

Tra gli intervistati, molti fumatori hanno preso in considerazione di smettere completamente di fumare durante il lockdown. Questi dati aumentano di 11-42 punti percentuali nelle case dove qualcuno è risultato positivo al virus. 

Una nota positiva arriva dall’India, dove il 66% dei fumatori ha indicato di aver preso in considerazione di smettere e il 63% ha fatto seguito con un tentativo concreto. 

Tuttavia, questi risultati indicano la voglia di milioni di persone di intraprendere percorsi di smoking cessation, ma la mancanza di una valida strategia li ha bloccati.

“Ma ora, mano a mano che le restrizioni del lockdown vengono allentate, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi e incoraggiare i fumatori a compiere piccoli passi per allontanarsi da comportamenti insalubri”. Il Prof. Polosa, che ha dedicato decenni alla ricerca nel settore della riduzione del danno della lotta al tabagismo, ha aggiunto: “Sappiamo che sono le sostanze tossiche prodotte con la combustione della sigarette convenzionali la causa della morte dei fumatori, non la nicotina, i cui effetti, peraltro, potrebbero anche essere protettivi nei confronti del contagio da COVID-19. Le autorità di salute pubblica di tutte le nazioni dovrebbero essere orientate ad aiutare i fumatori che non riescono a smettere di fumare per conto proprio a passare a prodotti meno dannosi come cerotti, gomme e sigarette elettroniche, garantendo al contempo che tali strumenti siano disponibili per i fumatori ovunque nel mondo”.

“Le limitazioni che impongono di rimanere a casa hanno fornito degli spunti su come potremmo aiutare i fumatori a smettere”, aggiunge Derek Yach. “Dobbiamo incoraggiarli in modo empatetico a smettere di consumare prodotti combustibili facendo loro conoscere i cerotti, le gomme da masticare e le sigarette elettroniche che provocano meno danni rispetto al fumo, assicurandoci che questi prodotti siano prontamente disponibili. Procedendo in questo modo, i fumatori potrebbero uscire dall’isolamento con prospettive migliori per la loro salute futura”.

Riaprire la porta di casa: l’ansia post lockdown del nemico invisibile

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lockdown fase 2

In un primo momento, sconcerto. Poi rabbia, frustrazione. Infine accettazione. Abbiamo attraversato molte fasi durante il lockdown e ci siamo ingegnati per sopravvivere, adattandoci a un nuovo stile di vita. Ognuno alla sua maniera. Ma adesso, le cose sono cambiate. E improvvisamente abbandonare l’interno delle nostre case, spazi sicuri in questi mesi, se per alcuni rappresenta un sollievo, per altri è fonte di molta ansia.

Cosa posso toccare? Chi posso vedere? Come comportarmi? Sarà pericoloso stare all’aria aperta?

Ciò che ad oggi preoccupa di più, è l’eventuale rischio di una ricaduta nelle prossime settimane. Per questo molti governi hanno deciso di approcciarsi gradualmente alla riapertura. Ma le perplessità rimangono: l’unica vera uscita gratis di prigione è rappresentata dalla creazione di un vaccino.

Sebbene molto ancora non si conosca sui meccanismi di questo virus, alcune cose le abbiamo imparate. Sappiamo, ad esempio, che i tassi di infezione sono più alti all’interno degli spazi chiusi o delle abitazioni, piuttosto che all’aria aperta: nel primo caso parliamo di un buon 20% di probabilità di contrarre il virus, mentre nel secondo caso si scende al 5%. 

Quindi se temete che uscire di casa significhi istantaneamente incontrare un nemico invisibile, non vi preoccupate. Rispettare le norme di distanziamento sociale e seguire i comportamenti igienici, come lavarsi le mani o non toccare la mascherina con i guanti, sono comportamenti sensati che permettono di ridurre le possibilità di contagio.

Uno studio Sud coreano ha dimostrato la maggior probabilità di contagio tra i membri di un ufficio con scrivanie attigue, piuttosto soggetti su piani diversi o con scrivanie non attigue.

Più andiamo avanti, però, più dovremo interfacciarci con situazioni sempre diverse e via via più complesse da post lockdown. Vediamone alcune.

Abitudini e stili di vita

Riprendere ad uscire si traduce in tornare piano piano ad alcune delle nostre abitudini. E magari continuare con alcune tra quelle più sane intraprese prima del lockdown. Durante le settimane passate, si temeva che le condizioni psicologiche stressanti potessero far ricadere nel vizio molti fumatori. Un pericolo che, almeno in parte, è stato arginato grazie all’attività della LIAF e del numero di assistenza psicologica gratuita creato apposta per fornire supporto a tutti coloro che ne necessitavano. Ma finita la quarantena, i fumatori possono ricominciare il loro percorso di smoking cessation o considerarne l’inizio.

Sport

Ormai si sa: lo stile di vita sedentario non è un amico della salute. Molti sono riusciti a mantenersi in forma, per altri il confino in casa si è tradotto in abbuffate pantagrueliche e binge watching su Netflix. 

L’attività sportiva non solo si traduce in un beneficio a livello fisico, ma aiuta a scaricare lo stress e mantenere intatta la salute mentale. Sport non di gruppo, come arrampicata, corsa, ciclismo e similari, da praticare all’aperto, non comportano rischi elevati. A New York si tengono quotidianamente lezioni di yoga nei parchi: certo le problematiche per i centri urbani più grandi rimangono, ma soluzioni simili non devono essere scartate.

Gite

Tutto quello che riguarda spostamenti o gite apre una discussione più ampia e articolata. Per quanto nei giorni festivi durante il lockdown, molti siano stati multati per aver violato le norme, ipotizzare scenari in cui il rischio di assembramento sia ridotto è fattibile.

Non entrare in contatto con persone che provengono da nuclei abitativi diversi è la ratio che dobbiamo tenere ben a mente: in Francia, ad esempio, si sta studiando di limitare gli sposamenti nel raggio di 100 km. Dividere le persone in gruppi su base casuale oppure sulla base del CAP e permettere gli spostamenti parcellizati è un’idea che richiede un grande sforzo organizzativo, ma almeno concederebbe l’allontanamento verso zone di villeggiatura.

Bar e ristoranti

Entriamo in un discorso molto scottante: da un lato un’intera categoria sta denunciando norme che impediscono di fatto a moti esercizi di poter lavorare e riaprire. Dall’altro, vale sempre la regola che i luoghi chiusi risultano essere più rischiosi di quelli aperti.

A Vilnius, vaste aree pubbliche sono state adibite ad ospitare bar e ristoranti: un’iniziativa che ha già ricevuto 160 domande.

E per i bar? Perchè non pensare di utilizzare le proprie tazze da asporto, lavate e igienizzate a casa, riducendo il contatto con le stoviglie del locale?

Servizi religiosi

L’influenza spagnola del 1918 a San Francisco rese necessario svolgere le funzioni religiose all’aperto. A New York, la decisione di chiudere vaste aree al traffico ha portato molti gruppi religiosi a svolgere, in piccoli gruppi, funzioni per strada.

Negozi 

Lunghe file fuori dai negozi: sono questi gli scenari che si prospettano con la riapertura e che già si vedono per quelle categorie di esercizi che sono rimasti aperti.

Leggendo le indicazioni dell’OMS, il rischio di contagio aumenta: per persone di case diverse che entrano in contatto fisico; se le persone rimangono faccia a faccia per più di 15 minuti; se i soggetti condividono uno spazio chiuso come un ufficio per più di 15 minuti.

Anche se all’interno nei negozi non possono entrare troppe persone, ci si dovrebbe concentrare più sulla sanificazioni dlele superfici o degli oggetti, come i pos, toccati da molti. 

Anche se all’interno nei negozi non possono entrare troppe persone, ci si dovrebbe concentrare più sulla sanificazioni dlele superfici o degli oggetti, come i pos, toccati da molti. 

Trasporti

Anche qui valgono le stesse regole: dispensatori di gel liquidi, panelli in plexiglass e mascherine per i conducenti, oltre che una costante sanificazione delle superfici come già sta avvenendo nella metro di New York, chiusa ogni notte dall’1 alle 5 del mattino per provvedere alla pulizia dei vagoni e delle aree comuni.

Ottimismo e pessimismo: l’altalena emotiva dei paesi colpiti dal Covid-19

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ottismo e pessimismo

Secondo alcune indagini è possibile calcolare i livelli di ottimismo e pessimismo dei vari stati sui tempi di ripresa post-epidemia.

A parlarci di questo è Livio Gigliuto, vice presidente dell’Istituto Piepoli, che proprio qualche giorno fa è stato ospite della diretta di Rai News 24 per raccontare il modo in cui il pianeta sta vivendo la fase di emergenza da pandemia Covid-19.

L’Istituto Piepoli fa parte di un network che si chiama The Researce Alliance e che comprende, a sua volta, un insieme di istituti di ricerca indipendenti di vari paesi del mondo. Gigliuto ha spiegato il tipo di ricerca condotta da tutti i vari istituiti del network, tra cui il Piepoli, per meglio chiarire l’indagine in oggetto.

Ma in cosa consiste esattamente?

Ciascuno di questi istituti ha avviato un sondaggio pubblico su un campione rappresentativo della popolazione del singolo paese, focalizzando però l’attenzione su sei paesi nello specifico, definiti “emblematici”.

I paesi presi in considerazione sono Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.

Ma qual è la ratio di base che lega questi paesi?

Questo virus, secondo le osservazioni del vice presidente Gigliuto, è paragonabile a una livella emotiva e i sentimenti che legano i vari paesi sono simili tra di loro. Ovviamente, parliamo di reazioni tra la popolazione legate al sentimento della paura. Non c’è un paese dove la paura non sia il trend che va per la maggiore.

Dunque, per prima cosa sono stati misurati i livelli di paura che si hanno del contagio. Nel caso specifico dell’Italia, la gente ha timore di uscire e, se lo fa, indossa la mascherina. Ma in realtà, il livello di paura che c’è in Italia è più basso rispetto al livello che si registra in altri paesi.

L’Italia risulta essere il paese meno “spaventato”. Il livello di paura del contagio è risultato molto elevato negli Emirati Arabi, Stati Uniti e nel Regno Unito, i paesi che hanno inizialmente dimostrato una tendenza più all’apertura che alla chiusura.

L’Italia e l’Australia stanno già affrontando quella fase di convivenza con il virus. Nel caso specifico del nostro paese, questo sta avvenendo perché i dati ci confermano che il numero dei contagi sta diminuendo, nel caso dell’Australia, il livello della paura risulta molto più basso perché sin dall’inizio la gestione si è svolta diversamente e le attività hanno ricominciato quasi a pieni ritmi.

Esistono dei paesi che sono più ottimisti e dei paesi che sono invece più pessimisti rispetto ai tempi di ripresa? “Assolutamente sì” ci spiega Gigliuto.

Ma questa percezione emotiva come si trasferisce quando guardiamo alle conseguenze economiche?

Dietro questa pandemia, un’emergenza sanitaria straordinaria, si nascondono i timori di una vera e propria pandemia economica. Anche in questo caso, ci sono i paesi che sono più ottimisti e dei paesi che sono invece più pessimisti. Secondo gli italiani, ma anche secondo molti altri paesi, la sensazione è che l’economia subirà una flessione simile a quella conseguente la crisi del 2008. Opinione condivisa dall’80% degli italiani e che risulta essere un approccio pessimistico rispetto al futuro dell’economia.

Aggiungendo, inoltre, che fondamentalmente il livello di paura riguardante la seconda pandemia (che è quella economica) è più elevato nei paesi che hanno avuto un lockdown più forte, rispetto ai paesi che hanno attuato un lockdown meno forte.

È come se i governi avessero dovuto scegliere a cosa dare priorità: al lato sanitario e non a quello economico, oppure viceversa.

Filo conduttore dell’intera indagine è sicuramente l’altalenanza di ottimismo e pessimismo di tutti i paesi colpiti dal Covid-19, ma indubbiamente ciò che prevale è il principio della salute nelle città intesa come bene comune.

Il governo italiano, per esempio, ha avuto una grande crescita di popolarità proprio perché è stato uno dei governi con grande propensione alla chiusura e quindi alla sicurezza dei cittadini.

Ma quando sarà possibile ritornare completamente alla normalità?

Se consideriamo altri dati molto importanti, sappiamo che il 62% degli italiani vorrebbe un supporto psicologico per ritornare alla normalità. 7 italiani su 10 vedono il Covid-19 come causa di stress.

La preoccupazione che abbiamo provato durante l’intero periodo ha contribuito a cambiare i nostri stili di vita, ma quello che emerge oggi è che in periodi di emergenza a seguito di catastrofi o di guerre succede esattamente ciò che sta capitando al nostro paese e in altri: aumenta la fiducia nei confronti di chi decide.

Cresce la fiducia nei confronti del Presidente del Consiglio, cresce nei confronti delle forze dell’ordine, nei confronti della sanità pubblica, cresce nei confronti di tutto quello che è pubblico. Anche nel giornalismo, per esempio, si registra una maggiore fiducia rispetto a quanta ce n’era prima.

In conclusione, quello che è emerso dall’indagine, secondo la maggioranza delle risposte, questa situazione ci accompagnerà almeno per un altro anno. Inoltre, è emerso gli italiani vorrebbero che i sindaci (le figure più vicine al cittadino) di ogni paese avessero più autorità di natura sanitaria e non solo di natura amministrativa locale.

Storie di ex fumatori: anche i politici smettono

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LIAF e CoEHAR da anni combattono per aiutare i fumatori a smettere e per trovare soluzioni alternative e meno dannose per chi non riesce a smettere di fumare da solo. Ma si può, si può riuscire a smettere anche da soli.

In questi giorni di lockdown c’è stata una polemica generale per le famose serie TV che su Netflix (soprattutto) ripropongono gli stereotipi di alcune figure professionali (come i giornalisti, i detective, le spie o gli eroi) che continuano a mostrarsi con una sigaretta in mano.

Ma il mondo è cambiato e anche lo stile di vita di alcune categorie professionali è cambiato.

Oggi LIAF, tra le storie di ex fumatori vi propone quella dell’On. Salvo Fleres, giornalista e già Senatore della Repubblica Italiana:

“Da giovane ho lavorato per 17 anni alla Manifattura Tabacchi di Catania ma, provenendo da una vita da atleta praticante, sono riuscito a non farmi prendere dalla tentazione neanche quando, alla fine di ogni mese, l’Azienda, a me come a tutti gli altri dipendenti, regalava 15 pacchetti di MS.

Insomma, fino all’età di quarant’anni, sapevo tutto delle sigarette, dei sigari, del tabacco da pipa, ma non ne facevo uso. Sì, fino a quarant’anni, perché fu proprio subito dopo il quarantesimo compleanno che ebbe inizio la mia esperienza di fumatore e non di banalissime sigarette, come accade alla maggior parte delle persone, bensì di sigari, preferibilmente toscani, ma anche cubani.

Il pretesto fu la mia rinite allergica che, non so bene per quale ragione scientifica, riduceva i suoi effetti grazie al fumo dei sigari. Ma si trattò solo di un pretesto, perché, quasi immediatamente, il sigaro cominciò a diventare il mio compagno preferito durante le lunghe riunioni politiche, le notti insonni, i momenti di riflessione, trasformandosi in una costosa, pericolosa e puzzolente abitudine, dei cui danni ero perfettamente consapevole, ma dai quali non riuscivo ad allontanarmi.

Il fumatore sa perfettamente che fumare fa male, ma non gliene importa nulla. La paura non è un deterrente sufficiente, così come non lo è il costo.  

Per quanto mi riguarda, le cose andarono avanti così per 20 anni esatti, durante i quali ero arrivato a consumare circa 10 mezzi toscani al giorno: fumavo senza soluzione di continuità in ogni luogo ed in ogni circostanza, rendendo irrespirabile l’aria del mio ufficio, della mia automobile, persino della mia camera da letto ed ammorbando qualsiasi cosa mi stesse addosso o intorno. 

Smisi pochi anni addietro, tutto ad un tratto, senza pensarci sù neanche un momento, spegnendo immediatamente il sigaro che stavo fumando quando, purtroppo, la mia più stretta collaboratrice, Gloria, 52 anni ancora non compiuti, una brillante e preparata funzionaria regionale, che lavorava con me da circa 20 anni, mi comunicò che le avevano diagnosticato un tumore al polmone e che le restavano pochi mesi di vita. 

Sì, anche lei fumava: sigarette al mentolo, meno puzzolenti dei mie sigari, ma altrettanto pericolose. In quel momento rimasi paralizzato dal dolore, ricordo che a stento seppi pronunziare poche parole, forse senza senso, come tutte quelle che ci capita di balbettare in circostanze come quelle. Nella vita, infatti, ci sono occasioni nelle quali le parole non bastano e soprattutto non servono.

No, non credo che smisi di fumare per paura che mi potesse accadere la stessa cosa che stava accadendo a Gloria, forse lo feci per rispettare il suo dolore, la sua giovinezza bruciata ed i suoi due ragazzi rimasti troppo presto senza madre. Credo che si possa smettere di fumare non tanto per sé, quanto per gli altri.”

Lockdown controverso in Sud Africa: a farne le spese sono gli svapatori

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sud africa vaping

In ambito internazionale, molti paesi hanno deciso in piena autonomia come portare avanti il lockdown a seguito dell’epidemia di COVID-19, prendendo molto spesso decisioni contestabili.

In Italia, prima della rettifica governativa, i negozi dedicati al vaping erano stati chiusi, giudicati “non essenziali”. La scelta comportava in rischio di far ricadere migliaia di fumatori nel vizio del fumo: l’ansia e lo stress generati dalla situazione insieme alla chiusura dei vapeshops mettevano i tabagisti in una difficile posizione.

Situazione diversa in Sud Africa: la vendita di alcol e tabacco è stata vietata ad inizio quarantena. Nella categoria “prodotti del tabacco” rientrano anche le sigarette elettroniche e snus. Un paese dove il tasso di fumatori è estremamente elevato e la situazione critica a causa dalla possibilità di accedere a prodotti contraffatti sul mercato nero.

Molti svapatori attendevano con ansia la revoca del bando con l’ingresso nella FASE 4 del lockdown, pianificata per il primo di maggio, ma il dietrofront del governo ha suscitato non poco clamore, tanto da portare a una petizione online firmata già da migliaia di persone.

Una decisone che, secondo la VPASA, l’associazione che riunisce produttori e venditori del settore del vaping in Sud Africa, creerà “più danno che beneficio”.

“Siamo molto contrariati dal dietrofront del governo di non permettere la vendita dei prodotti per il vaping con l’entrata in vigore della Fase 4 del lockdown il primo di maggio. Ciò significa che anche l’alternativa meno dannosa delle sigarette elettroniche rimane bandita. Limitarne la vendita non tiene conto della riduzione del danno”. (Dichiarazione della VPSA)

Covid-19: l’isolamento è da considerarsi pericoloso?

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In un interessante articolo del quotidiano inglese Telegraph, il professor di psicologia sociale Stephan Reicher rilascia un’intervista in cui afferma che l’isolamento a cui siamo stati costretti per via del lockdown da Covid-19 risulterebbe pericoloso quanto fumare 15 sigarette al giorno.

In questo caso specifico, il professore Reicher, si rivolge al governo inglese che, come tutti gli altri governi, ha chiesto ai cittadini di rinchiudersi in casa per affrontare la quarantena.

È vero che il distanziamento sociale, come tante altre utili disposizioni, aiuterebbe a bloccare il virus, ma secondo Reicher non dovremmo sottovalutare un altro fattore molto importante, ovvero: la pericolosità dell’isolamento per l’essere umano.

Il professor Reicher che studia le strategie sociali più utili per rendere il periodo della quarantena il meno pesante possibile per i cittadini, afferma che:

“Secondo gli studi, rimanere isolati in casa, accresce la percentuale di mortalità del 30%. Questa percentuale è simile al tasso di mortalità dovuto al fumo o all’obesità”.

Il non avere contatti con gli altri comporterebbe gravi problemi al corpo ma soprattutto alla mente, lo stesso danno che provocherebbe il fumare 15 sigarette durante la giornata.

Reicher, riconosce l’importanza che la tecnologia può avere in un periodo storico come quello attuale, difatti considera la comunicazione online un metodo innovativo che permette alle persone di restare connesse.

Il governo inglese ha, infatti, riscontrato che l’interazione online è molto cresciuta rispetto agli anni precedenti e che per una questione di esigenze, l’essere umano sta cercando nuove vie per vedere l’altro, come le videochiamate, per esempio.

Già nel 2015, uno studio americano della Brigham Young University, aveva fatto presente la gravità dell’isolamento, della solitudine, soprattutto per gli anziani. Il non avere nessun tipo di rapporto sociale può portare a una morte prematura, o il non avere la possibilità di fare esercizio fisico può provocare problemi alla pressione del sangue o problemi di tipo cardiovascolare.

Le severe disposizioni dei governi sono state messe in atto per evitare una seconda emergenza di contagi da Covid-19, ma quello che vorrebbe far presente il professor Stephan Reicher è anche la natura pratica della questione.

In che senso?

Restare a casa, forse si può. Ma a un certo punto, quando l’essere umano si renderà conto di dover provvedere a quelli che sono i bisogni primari, cosa farà? Inizierà a non rispettare le regole? Il problema è pratico, è vero. Ma è anche psicologico. L’ansia e la preoccupazione causati dallo scoppio della pandemia influisce sullo stato mentale di ognuno di noi.

Per far sì che questa situazione possa risultare più accettabile, Reicher consiglia al governo inglese di assicurarsi che l’intera popolazione abbia la possibilità di comunicare online, questo permetterebbe di vivere meglio il periodo di isolamento.

Per capire se questa forma di isolamento risulti veramente pericolosa quanto il fumare 15 sigarette al giorno, ci siamo rivolti al prof. Pasquale Caponetto, coordinatore del Centro Antifumo del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania.

Secondo il prof. Caponetto, non si può quantificare esattamente o associare il danno psicologico a un numero preciso di sigarette fumate durante il giorno, però quello che è certo è che l’elemento di “ritiro sociale” è da non sottovalutare, perché può provocare seri danni alla natura mentale dell’essere umano.

L’elemento psichico, in questo momento di non interazione umana, è seriamente a rischio.

Come affrontare la fase 2: quale mascherina indossare nella nostra nuova quotidianità?

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mascherina covid-19 epidemia

Finalmente ci si appresta a uscire di casa e ritornare alla quotidianità. Ma non illudiamoci, la nuova normalità che ci attende sarà differente da quella vissuta prima che la tumultuosa e rapida diffusione del coronavirus condizionasse le nostre vite.

Ci aspetta un periodo caratterizzato da una forte attenzione alle misure di distanziamento sociale e igienico-sanitarie che devono essere adottate per prevenire una eventuale ripresa del numero dei contagi. A queste misure vanno aggiunte quelle di protezione personale.

Data la natura particolarmente aggressiva del coronavirus e la dinamica della sua diffusione, è opportuno affrontare seriamente il tema delle misure di protezione personale: le mascherine sono il primo vero scudo di difesa individuale.

Nelle settimane passate, si è parlato incessantemente di mascherine. La loro domanda ha raggiunto picchi elevatissimi con ricadute importanti sia sull’approvvigionamento del prodotto che sul loro prezzo di vendita.

Una situazione che ha allarmato già da tempo Federfarma nazionale, che richiede non solo un controllo maggiore sui prezzi, ma anche l’abolizione dell’IVA, allo scopo di evitare speculazioni sia per i farmacisti che le vendono che per i cittadini che le acquistano.

“Purtroppo – dichiara Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma – il Paese deve affrontare gli eventi senza un’adeguata preparazione. Ad oggi in molte farmacie le mascherine non sono arrivate. La distribuzione intermedia avrebbe dovuto distribuire quelle della Protezione civile ma, a causa dei ritardi degli enti certificatori, non può ancora immetterle nel circuito. Le mascherine continuano a essere vendute nelle poche farmacie che ne sono fornite, ad un prezzo pubblico di 50 centesimi più Iva, quindi a 61 centesimi, non essendo stata ancora abolita, come promesso dal governo, l’aliquota del 22%”.

Con la riapertura graduale delle attività, il ritorno agli ambienti di lavoro e la maggiore libertà di circolazione, le mascherine diventeranno un accessorio obbligatorio, parte integrante del nostro nuovo abbigliamento quotidiano. Nelle prossime settimane saremo in tanti ad essere “mascherati”. Forse anche una opportunità per i nostri bravi stilisti da Armani a Gucci, da Prada a Dolce&Gabbana, che potranno contribuire – con la loro creatività – a questa lotta contro il coronavirus sfoderando mascherine “stilose” e di elevata indossabilità a tutto vantaggio di una migliore aderenza al loro uso quotidiano.

Ma quali mascherine indossare? Quali scegliere per proteggersi dall’odiato coronavirus?

Le classiche mascherine chirurgiche sono state spesso oggetto di raccomandazioni variegate e contrastanti. Proprio oggi in tv è partita la campagna informativa nazionale che ne spiega meglio l’utilizzo. E’ bene sapere che sono progettate per filtrare l’aria che viene espirata (non quella inspirata) e pertanto sono generalmente indicate per le persone infettate e quelle che sospettano di essere a rischio di infezione.

In questo caso le mascherine – fungendo da schermo – evitano la dispersione di saliva o di microparticelle infette da parte di chi le indossa. E riducono quindi la possibilità di eventuali contagi.

Di contro le mascherine protettive di tipo FFP2 (denominate anche di tipo N95 negli standard americani), sono concepite per filtrare l’aria in entrambe le direzioni (quindi anche quella inspirata) e pertanto indicate per quelle persone sane che intendono proteggersi dal contagio (ad esempio il personale medico-sanitario in forza ai reparti allestiti per fronteggiare la emergenza COVID-19).

Tutto chiaro? Non proprio… In realtà, vanno fatte alcune importanti considerazioni alla luce delle evidenze scientifiche che – sorprendentemente – non dimostrano alcuna significativa differenza tra i due tipi di mascherina in termini pratici.

Cumulativamente tutti gli studi (tre in totale) sulla mascherine protettiva di tipo FFP2 dimostrano oltre un 80% di riduzione del rischio di contagio. Ottima protezione quindi. Ma, le analisi riassuntive su studi (sette in totale) condotti con le classiche mascherine chirurgiche dimostrano pure una importante riduzione del rischio di contagio, quasi il 70%.

Questi studi – condotti nel corso dell’epidemia di SARS del 2002 – rimettono in discussione il dogma della inefficacia delle mascherine chirurgiche nel prevenire il contagio e incidendo fortemente sul dibattitto su quale tipologia di mascherina indossare per la Fase 2.

In previsione della crescita esponenziale nella domanda di mascherine per i prossimi mesi, fornire una raccomandazione specifica per le elaborate e costose FFP2 comporterebbe problemi sia in termini di scarso approvvigionamento del prodotto che di controllo del loro prezzo di vendita. Quindi rassicurare il pubblico sulla efficacia delle mascherine chirurgiche è di fondamentale importanza.

Prescindendo dalla tipologia di mascherina, un punto fondamentale sul quale va posto l’accento è che bisogna indossarle sempre e in modo appropriato, coprendo naso e bocca. Il loro uso è limitato nel tempo, quindi bisogna cambiare mascherina almeno una volta al giorno. Infine, non dimentichiamoci di lavare bene le mani prima di indossarle e subito dopo averle rimosse.

Interpellato al riguardo, il Prof. Riccardo Polosa docente dell’Università di Catania, ha dichiarato:

“Sono convinto che una delle misure chiave da adottare nel corso della Fase 2 sia quella dell’uso su larga scala di mascherine chirurgiche, per proteggere noi stessi e gli altri.

Se indossate correttamente e quotidianamente da larghe fasce della popolazione, si potrà interrompere la diffusione del coronavirus sino ad eradicarlo completamente già nel giro di 6-8 settimane. In pratica, si potrà ritornare velocemente alle nostre abitudini – senza essere costretti a rinunciare a importanti limitazioni della libertà personale e favorendo sin da subito la ripresa di numerose attività produttive e ricreative.”

Non si può parlare di correlazione fumo e COVID-19. Li Volti: “Stiamo solo facendo confusione”

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Un recente studio del Prof. Brake SJ ha studiato la correlazione tra il fumo e l’enzima 2 convertitore dell’angiotensina e le relative implicazioni per il COVID-19. L’ipotesi dell’autore collegherebbe l’aumento del rischio di COVID-19 per i tabagisti. Ma non è così.

A dimostrarlo una nuova pubblicazione dei ricercatori del CoEHAR.

Secondo l’articolo “Smoking and SARS-COV-2 Disease: Dangerous Liaisons or Confusing Relationships?” del Prof. Giovanni Li Volti (e in collaborazione con il prof. Massimo Caruso e il prof. Riccardo Polosa) tale ipotesi presenterebbe alcuni problemi.

Ad oggi, non esistono dati o prove sperimentali che suggeriscano un impatto significativo del fumo nel complesso meccanismo di correlazione tra l’enzima ACE-2 e il virus SARS-COVID-2.

Dati sperimentali suggeriscono che l’infezione da COVID-19 generi una deplezione dell’attività dell’ACE-2, dannosa poiché aumenterebbe l’attività non controllabile dell’enzima in oggetto.

È stato osservato che la diminuzione della presenza di ACE-2 contribuisce allo sviluppo di lesioni polmonari e BPCO. Al contrario, una maggiore espressione dell’enzima potrebbe paradossalmente proteggere da lesioni polmonari gravi causate dal COVID-19.

Secondo studi recenti, il fumo, o meglio, la nicotina presente nel fumo, potrebbe avere un’azione protettiva, invece che dannosa, in termini di possibilità di contrarre l’infezione da coronavirus.

Ma il fumo di sigaretta convenzionale, come sappiamo, contiene migliaia di altre sostanze cancerogene dovute al processo di combustione.

A tal proposito, secondo Brake, le sigarette elettroniche, e similari, sembrerebbero non più sicure di quelle convenzionali, poiché causa di danni equiparabili in un organismo che ha contratto il COVID-19.

“Associazione quanto mai sbagliata – sostiene il prof. Giovanni Li Volti, direttore del CoEHAR dell’Università di Catania – perché in primo luogo le sigarette elettroniche come sappiamo sono meno dannose di quelle convenzionali e ancora più importante: non esiste nessuno studio che correli l’utilizzo di tali dispositivi con un rischio maggiore di contrarre forme gravi di coronavirus”.

“Lo studio di Brake – spiega Li Volti – parte dall’assunto che i pazienti con BPCO sono più ricettivi al Covid 19. Non tutti i fumatori però sono affetti da BPCO e questo ci porta a pensare che le affermazioni seguite alla pubblicazione dello studio del collega siano speculative. Oggi non esistono dati che dimostrano che i fumatori siano più sensibili al contagio di coronavirus, anzi. I dati epidemiologici che provengono dalla Cina ci dicono proprio il contrario, che i fumatori sono in larga maggioranza i meno colpiti dal Covid-19. Ed il ruolo protettivo della nicotina sembra essere molto rilevante“.



“La nicotina allontana il virus”: il commento del prof. Polosa

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Oggi vogliamo partire da quel binomio caffè e sigaretta, il rito quotidiano per eccellenza, fonte di piacere e relax per la maggior parte dei fumatori, ma che in realtà dovrebbe essere un’abitudine da non prendere, per arrivare ad affrontare delle questioni molto attuali come la tossicità delle sigarette, causata dalla combustione e non dalla nicotina.

È risaputo che una sostanza psicoattiva come la nicotina causi dipendenza e che questo sia il motivo per cui molte persone trovino molto difficile smettere di fumare, ma anche la caffeina è una sostanza che crea dipendenza e che non bisogna sottovalutare.

Nulla di nuovo in questo, ma è utile sapere che la dipendenza causata dalla nicotina non è tanto inferiore rispetto a quella causata dalla caffeina.

Recentemente abbiamo letto di diversi studi che vedono una correlazione tra il COVID-19 e il tabagismo, ma anche di nuovi studi che non solo affermano la non correlazione tra il virus e il tabacco, ma precisano che il fumo potrebbe addirittura svolgere una funzione protettiva.

Il fumo allontanerebbe il contagio da COVID-19?

A tal proposito, il prof. Riccardo Polosa, direttore del CoHEAR, è stato ospite della trasmissione televisiva regionale siciliana Insieme, per chiarire e specificare alcune questioni sull’argomento e tanto altro.

“Alcuni ricercatori si sono resi conto che prendendo in considerazione i primi pazienti ospedalizzati per malattia da COVID-19, si è notata una prevalenza di pazienti fumatori quattro volte inferiore a quello che normalmente si registra nella popolazione cinese” – ha spiegato Polosa in diretta.

Stiamo parlando di una riduzione del quattrocento per cento, di un dato veramente impressionante per uno scienziato che – come Polosa – ha sempre creduto che il fumo di sigaretta fosse un fattore di rischio per le malattie infettive polmonari e ne è ancora pienamente convinto.

Proprio in questi giorni, i ricercatori dell’Università di Catania stanno conducendo degli studi in laboratorio per cercare di capire cosa ci sia di vero in questo interessante fenomeno.

Quello che si chiedono è: la protezione della nicotina è un fatto reale?

In verità, una risposta certa non c’è ancora ma i dati lasciano pensare di si.

“Sicuramente quello che non dobbiamo dimenticare è che la nicotina è percepita dalla popolazione come uno psicostimolante al pari della caffeina. Dunque, stiamo parlando di una sostanza che al dosaggio comunemente utilizzato può risultare tranquilla” – ha aggiunto lo scienziato.

Sebbene la nicotina non sia particolarmente dannosa, sappiamo bene che i fumatori attraverso la combustione delle sigarette convenzionali assumono migliaia di sostanza tossiche che causano le più gravi malattie fumo correlate. Ma usare metodi alternativi, non solo potrebbe ridurre il danno da fumo ma, in questo caso – secondo i primi dati – potrebbe addirittura influire come fattore protettivo nei confronti del virus.

Sesso e fumo: quanto influisce il COVID sulle coppie?

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Se qualche mese fa ci avessero detto che avremmo passato i successivi 50 giorni chiusi in casa, forse avremmo per tempo provveduto a organizzarci meglio. C’è chi avrebbe comprato libri, chi set per la pittura o chi avrebbe anticipato tutti ordinando su Amazon gli ormai introvabili set da palestra. Quello su cui proprio non potevamo lavorare era smussare i lati più spigolosi del nostro carattere: eh si, perché siamo chiusi in casa con uno dei nostri peggiori nemici, noi stessi. Ansie, paure, stress, comportamenti ritualistici, abitudini, il pregresso: abbiamo imbottigliato tutto all’interno di quattro mura. E per quanto la maggior parte del popolo italiano viva in case più o meno comode e funzionali, ci siamo dovuti adattare e confrontarci H24 con le persone con cui conviviamo, molto spesso il/la partner. 

Per alcuni la quarantena si è trasformata in una riscoperta dell’altro e delle gioie della vita insieme, influenzando positivamente il rapporto sessuale, quell’intimità che ci lega alla persona che abbiamo scelto. Per altri invece, esser confinati in casa e gestire un carico sempre maggiore di stress emotivo si è tradotto in un progressivo allontanamento dalle lenzuola.

Cosa ha influito veramente sull’approccio al sesso delle coppie? Tra 9 mesi avremo un boom di nascite o sarà il contrario??

Per rispondere a questa serie di domande ci siamo rivolti al Prof. Emmanuele Jannini, ordinario di Endocrinologia e Sessuologia Medica all’Università di Roma Tor Vergata. Il Prof. Jannini ha reso disponibile online un survey in forma anonima, ad oggi già compilato da oltre 8000 persone, dove i comportamenti sessuali e sentimentali vengono messi in relazione con la personalità.

Prof. Emmanuele Jannini

“Lo studio vuole spiegare per quale motivo molti sperimentano un calo di desiderio mentre per altri vale esattamente l’opposto. Non siamo tutti uguali: gli stili di attaccamento, ovvero le modalità con cui la nostra personalità si è formata, le nostre esperienze pregresse, influenza in maniere estremamente precisa quali saranno i nostri comportamenti da adulti, soprattutto in condizioni di crisi. Uno studio che alla fine regala anche una piccola sorpresa: un profilo di personalità psicosessuologica per meglio capire quale carattere conferisce una sorta di immunità, per utilizzare un termine che va per la maggior in questo periodo, nei confronti dell’obbligo di essere tutti i giorni accanto al nostro compagno o compagna, spiegando il motivo per cui per alcuni tale situazione è frustrante, trasformandosi in noia e insofferenza, mentre per altri vale l’opposto”.

I questionari sono tutti psicometrici validati: invece di rispondere semplicemente alla domanda “quante volte fai sesso?”, con scarsa rilevanza scientifica, si misurano lo stato di ansia, depressione, la capacità erettile, l’orgasmo o la mancanza di desiderio, cioè tutti quei parametri che sono oggetto si crisi durante la quarantena. 

L’obiettivo è superare quota 10.000 questionari compilati per poter procedere sulla base di un dato statisticamente rilevante e correlare le abitudini sessuali della quarantena alle caratteristiche indogene della personalità, elaborando un modello che aiuti a superare le situazioni di crisi.

“Non c’è animale più plastico dell’uomo: le nostre capacità di adattamento sono straordinarie. Ci lamentiamo tanto di essere confinati in una casa più o meno confortevole mentre ci sono popolazioni che da millenni resistono in condizioni più estreme come gli inuit negli igloo.

Uno dei trucchi dell’adattamento è non borbottare o lamentarsi. E resistere al desiderio infantile di trovare un colpevole a tutti i costi. L’idea della personalità è una cifra di ognuno di noi: iniziare a valutare le scelte considerando che sono dettate da una spettro predominante nel nostro carattere può aiutarci a modificare le nostre risposte future”.

Stress e ansia che giocano un ruolo fondamentale anche nelle dipendenze, come quelle da fumo: la quarantena potrebbe aver fatto ricadere nel vizio molti ex fumatori, oppure averli dissuasi dall’intraprendere un percorso di smoking cessation grazie all’ausilio di strumenti a rischio ridotto, come le e-cig. E il fumo è un fattore che incide sulla vita sessuale in quarantena?

“Difficile immaginare un nemico peggiore della sessualità del fumo si sigarette bruciata.

L’associazione diabolica dei veleni che esso contiene e della nicotina sono dimostrati essere feroci nemici del sesso. Abbiamo anche in mente di allargare il survey a questi comportamenti mal adattativi, quali il fumo. Pensiamo ad atteggiamenti autolesionisti: di fronte alla scelta di metterci a dieta, alcuni riescono mentre altri desistono. Di fronte a tali situazioni stressanti, la nostra reazione dipende dal carattere, dalla personalità. Ci sono persone che approfittano di questa situazione per fare sacrifici, ci sono invece altri che rimangono totalmente schiacciati dalla situazione. Anzi avendo magari pianificato di cambiare stile o smettere di fumare, sdraiati o schiacciati dall’epidemia non lo fanno e falliscono. E questo è uno degli effetti collaterali del COVID-19: lo dovremo documentare, ma potremo inserire anche la relazione con il fumo da sigaretta”