mercoledì, Novembre 5, 2025
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Alla sigaretta preferisco una partita a Burraco

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Abbiamo iniziato da qualche settima un appuntamento con le storie di ex fumatori. Un modo come altri di raccontarvi storie di vita vera, di chi è riuscito ad aprire la porta d’uscita dal tabagismo.

Francesco Sorbello

Ospite di Gabriella Finocchiaro oggi è Francesco Sorbello, vice Direttore Provinciale di Confcommercio Catania:

”Era la primavera del 75′ e studiavo insieme ad un compagno per gli esami di terza media. Fu proprio questo compagno che mi introdusse nel mondo del fumo. Ricordo che ognuno di noi  comprava un pacchetto di MS da 10 che riuscivamo a fumare in meno di un’ora, solitamente alla Villa Belvedere di Acireale.  Sapevo che era proibito, ed infatti cercavamo gli angoli più remoti per le nostre tirate restando sempre in allerta. Finita la terza media, con l’arrivo dell’estate e avendo poi frequentato licei diversi, ci siamo allontanati ed io smisi di fumare definitivamente.

I nuovi compagni ed amici della vita non erano fumatori e non ci siamo condizionati negativamente. Eppure, a casa papà era un fumatore incallito, uno di quelli che faceva la scorta di sigarette per il week-end perchè allora i negozi la domenica ed i festivi restavano chiusi e lui non poteva rischiare di restare senza sigarette. Anche quando stava male fumava, di nascosto e nelle condizioni più impensabili per non sottoporsi ai miei rimproveri. 

A casa mia, insomma, ero io a richiamare papà per il fumo, solitamente è all’incontrario. 

La mia esperienza di fumatore si è ridotta quindi a meno di due mesi. Devo dire che sono stato fortunato!!! Purtroppo i miei figli qualche sigaretta se la fanno. Scherzando dico loro che fanno bene, così contribuiscono a foraggiare le casse dello Stato.  Purtroppo sottovalutano i danni, sapendo benissimo che il tabacco avvelena e provoca tumore al polmoni; eppure hanno conosciuto in tal senso il triste epilogo dei nonni fumatori.

Io alla sigaretta preferisco la barca, la pesca o una partita a Burraco, mi rilassano di più”.

E-cig: uno studio ne analizza l’effetto sui fumatori dei centri antifumo

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e-cig

Che effetto hanno le e-cig sui pazienti fumatori che si rivolgono ai centri antifumo per smettere di fumare?

Uno studio molto interessante, pubblicato di recente sulla celebre rivista Tumori Journal, ne ha spiegato l’impatto.

L’iniziativa è partita dal protocollo d’intesa che è stato siglato tra l’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO-ITS) e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri (IRFMN), e che ha come scopo sia l’ampliare le conoscenze legate alle abitudini dei tabagisti sia il contrastare le malattie fumo correlate.

Compito specifico dell’AIPO-IS è stato coinvolgere i centri antifumo italiani e aiutare l’IRFMN a creare una documentazione necessaria per avviare la ricerca.

In cosa consiste esattamente la ricerca?

Paola Martucci, Dirigente Medico dell’ospedale Cardarelli di Napoli e che risulta tra i firmatari dello studio, ha spiegato che sono stati coinvolti tra il 2016 e il 2018 esattamente 12 centri antifumo e che sono stati selezionati 395 fumatori di età superiore ai 18 e consumatori abituali, occasionali ed ex svapatori.

Aggiungendo inoltre che:

Dei 395 soggetti, il 12,4% erano regolari utilizzatori di sigarette elettroniche intendendo per regolare il consumo in 5 o più giorni negli ultimi 30 giorni, il 9,4% utilizzatori occasionali (meno di 5 giorni di utilizzo nell’ultimo mese) e il 78,2% utilizzatori pregressi di e-cig (non nell’ultimo mese).

Il 22% era invece formato da fumatori di sigarette tradizionali e utilizzatori di e-ecig, dunque dual users.

Il campione di fumatori che è stato preso in esame non ha riportato differenze di genere tra uomini e donne. Per quanto riguarda il periodo medio di consumo, invece, siamo attorno ai 3-4 mesi e il tipo di liquido utilizzato per la ricarica risulta essere quello a base di nicotina.

Il dato evidente che è emerso da questo studio riguarda gli ambienti destinati allo svapo: 3 su 4 fumatori (un numero abbastanza consistente) ha dichiarato di avere fumato la sigaretta elettronica in un ambiente in cui non era consentito fumare.

Le percentuali fanno principalmente riferimento all’ambiente di lavoro, secondariamente a bar e ristoranti, e infine agli aeroporti e alle stazioni di servizio. Tutti luoghi in cui la legge non consente di fumare sigarette tradizionali dove la normativa riguardante le e-cig è ancora poco chiara.

Percentuali più alte si registrano invece tra chi fuma in auto e nell’abitazione propria o di amici.

La dott.ssa Martucci puntualizza che in Italia il numero di fumatori che utilizza la sigaretta elettronica in almeno uno degli ambienti in cui è vietato fumare è più alto rispetto ad altri paesi come il Giappone, Stati Uniti e Australia. Tenendo in considerazione, però, che il campione utilizzato è quello dei fumatori che si sono rivolti a un centro antifumo, dunque non la popolazione generale che ne fa uso regolarmente.

Secondo il prof. Pasquale Caponnetto, coordinatore del Centro Antifumo del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania, il riferimento ai 395 fumatori dello studio non si può intendere come un numero realmente consistente.

E aggiunge che il dato realmente rilevante dovrebbe essere quello che fa capire quanto questi prodotti alternativi stiano aiutando i fumatori di sigarette tradizionali a smettere di fumare o a modificare le proprie abitudini legate al tabagismo.

Che dovrebbero esserci delle norme abbastanza chiare sui divieti delle e-cig, è vero. Ma è anche vero che chi fuma la sigaretta elettronica, alla fine, non ha un comportamento tanto diverso dal fumatore tradizionale. Gli ambienti risultano essere gli stessi, come le abitudini.

I dati dello studio, dovrebbero essere rapportati ai comportamenti dei fumatori di sigarette tradizionali e il ruolo dei centri antifumo dovrebbe assumere un’importanza diversa: il messaggio da fra passare è del tutto positivo, perché tali strumenti risultano essere di grande aiuto per chi vuole provare a smettere di fumare.

World No Tobacco Day 2020: proteggiamo i più giovani

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world no tobacco day

Come ogni anno, domenica 31 maggio ricorre il World No Tobacco Day 2020, giornata creata dall’ONU per richiamare l’attenzione sul tabagismo e sui danni che crea, soprattutto tra le nuove generazioni.

E sono proprio i più giovani il focus dell’edizione di quest’anno: una fascia di popolazione sensibile e suscettibile di manipolazione da parte dell’industria del settore. 

La campagna lanciata dall’OMS intende creare una nuova consapevolezza tra i ragazzi, dotandoli degli strumenti per riconoscere le tattiche manipolative e i tranelli nelle campagne di marketing dell’industria del tabacco, aiutandoli a non finire intrappolati in una dipendenza che causa 8 milioni di morti l’anno.

Aromi, linee grafiche accattivanti, contenuti sponsorizzati da influencer, punti vendita a ridosso di luoghi frequentati da adolescenti e pubblicità in tv sono solo alcuni dei meccanismi utilizzati dalle major del tabacco per vendere i loro prodotti: una strategia che attira, però, anche i più giovani.

Una chiamata quella dell’ONU per il World No Tobacco Day, che coinvolge gli stessi influencer, veicoli primari di informazioni e messaggi sui social: perché non collaborare per creare una nuova consapevolezza sul tabagismo e i suoi effetti nocivi?

I dati ad oggi parlano chiaro: in Italia ci sono 1,6 milioni di fumatori, con un aumento di fumatrici tra la popolazione femminile e sono circa 80 mila i morti ogni anno. È vero che le strategie fino ad ora attuate hanno portato a importati risultati, come il calo delle vendite di prodotti dal 9% al 4%, ma ancora siamo lontani dal raggiungere l’obiettivo. 

L’invito di questa giornata rimane quello di provare ad astenersi per 24 ore dal fumo di sigaretta e iniziare a pensare di rivolgersi a servizi di smoking cessation, durante i quali il fumatore è accompagnato in un percorso graduale di abbandono del vizio attraverso un counselling individuale , terapie di gruppo e prescrizione di prodotti sostitutivi della nicotina o di farmaci per la disassuefazione.

Percorso che, come dimostrano i dati dei centri antifumo di Catania, può avvenire grazie all’utilizzo di strumenti a rischio ridotto, come la sigaretta elettronica, ormai riconosciuta come un’alternativa valida e più sicura per smettere di fumare.

Quest’anno qual è la tua scelta?

Lo stress e l’ansia causati dal lockdown hanno portato a fumare di più

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lockdown The Foundation for a Smoke-Free-World-Global-Q35-5

Un sondaggio rivela che la pandemia sta avendo ripercussioni sulla salute mentale e fisica dei fumatori e milioni fumano di più

New York, 11 maggio 2020– Il caos provocato dalla pandemia di COVID-19 ha due risvolti: oltre a subire gli effetti diretti del virus, il mondo è alle prese con le difficoltà causate dell’allontanamento sociale e dal lockdown. Ansia e stress si sono tradotti in un costo mentale e fisico piuttosto alto per i fumatori di tutto il mondo.

Un recente sondaggio, promosso dalla Foundation for a Smoke-Free World, approfondisce il legame tra il distanziamento sociale dovuto al COVID-19 e la salute di 6.801 consumatori di tabacco e nicotina in 5 Paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Sudafrica e India). 

Oltre due terzi degli intervistati ricorrono al tabacco e alla nicotina come mezzo principale per far fronte a stress e ansia. Quasi il 40% dei fumatori ha aumentato il consumo di questi prodotti nelle ultime settimane

“Sondaggi recenti hanno dimostrato che i fumatori hanno continuato a fumare sigarette per far fronte al travolgente aumento di stress, ansia e paura a causa delle restrizioni dovute al lockdown da COVID-19. Vi era una grande aspettativa nei confronti di una nuova ondata di tentativi di smoking cessation nei prim giorni del lockdown, ma non si è mai concretizzata. Non sono sorpreso- ha dichiarato Riccardo Polosa, Direttore del COEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del danno da Fumo dell’Università di Catania– per i fumatori può essere difficile contrastare l’impulso a fumare, specialmente quando l’abitudine aiuta. gestire lo stress”

Stress e ansia causano un consumo maggiore di tabacco 

Da un lato i governi cominciano ad allentare le linee guida per l’allontanamento sociale, dall’altro gli intervistati hanno dichiarato di essere preoccupati di ammalarsi, di essere ricoverati in ospedale e di come gestire stress e ansia. 

“Con la discesa della curva pandemica, assisteremo a importanti conseguenze sulla salute mentale e fisica delle persone”, dichiara il Dott. Derek Yach, presidente della fondazione. “Prima della crisi COVID,i fumatori avevano un alto rischio di sviluppare tumori ai polmoni, malattie polmonari croniche e attacchi di cuore. Continueranno a correre questi maggiori rischi quando la pandemia si esaurirà. Non dimentichiamoci che 7 milioni di persone a livello mondiale quest’anno moriranno in conseguenza del consumo di tabacco”.  

Meccanismi poco salutari per far fronte a una pandemia globale

La nicotina e tabacco erano usati come mezzi per mitigare lo stress già prima della pandemia. Di conseguenza, molti hanno mantenuto o addirittura aumentato il consumo di questi prodotti.

I Paesi dove le autorità hanno posto dei divieti sull’acquisto di tabacco e alcol (India e Sudafrica) hanno registrato un consumo maggiore.

Si ricorre anche ad alternative sane per gestire lo stress

Con la chiusura di bar e ristoranti, quasi la metà degli intervistati in Italia e nel Regno Unito ha riferito di aver ridotto l’assunzione di alcolici. 

In tutti i Paesi, circa il 45% degli intervistati ha riferito di ricorrere normalmente all’attività fisica per affrontare stress e ansia. In India, dove l’isolamento ha precluso ogni attività all’aperto, oltre la metà degli intervistati ha cercato altre strategie sane per affrontare la situazione, come esercizi di respirazione, meditazione e yoga.

Uno sguardo al futuro

Tra gli intervistati, molti fumatori hanno preso in considerazione di smettere completamente di fumare durante il lockdown. Questi dati aumentano di 11-42 punti percentuali nelle case dove qualcuno è risultato positivo al virus. 

Una nota positiva arriva dall’India, dove il 66% dei fumatori ha indicato di aver preso in considerazione di smettere e il 63% ha fatto seguito con un tentativo concreto. 

Tuttavia, questi risultati indicano la voglia di milioni di persone di intraprendere percorsi di smoking cessation, ma la mancanza di una valida strategia li ha bloccati.

“Ma ora, mano a mano che le restrizioni del lockdown vengono allentate, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi e incoraggiare i fumatori a compiere piccoli passi per allontanarsi da comportamenti insalubri”. Il Prof. Polosa, che ha dedicato decenni alla ricerca nel settore della riduzione del danno della lotta al tabagismo, ha aggiunto: “Sappiamo che sono le sostanze tossiche prodotte con la combustione della sigarette convenzionali la causa della morte dei fumatori, non la nicotina, i cui effetti, peraltro, potrebbero anche essere protettivi nei confronti del contagio da COVID-19. Le autorità di salute pubblica di tutte le nazioni dovrebbero essere orientate ad aiutare i fumatori che non riescono a smettere di fumare per conto proprio a passare a prodotti meno dannosi come cerotti, gomme e sigarette elettroniche, garantendo al contempo che tali strumenti siano disponibili per i fumatori ovunque nel mondo”.

“Le limitazioni che impongono di rimanere a casa hanno fornito degli spunti su come potremmo aiutare i fumatori a smettere”, aggiunge Derek Yach. “Dobbiamo incoraggiarli in modo empatetico a smettere di consumare prodotti combustibili facendo loro conoscere i cerotti, le gomme da masticare e le sigarette elettroniche che provocano meno danni rispetto al fumo, assicurandoci che questi prodotti siano prontamente disponibili. Procedendo in questo modo, i fumatori potrebbero uscire dall’isolamento con prospettive migliori per la loro salute futura”.

Riaprire la porta di casa: l’ansia post lockdown del nemico invisibile

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lockdown fase 2

In un primo momento, sconcerto. Poi rabbia, frustrazione. Infine accettazione. Abbiamo attraversato molte fasi durante il lockdown e ci siamo ingegnati per sopravvivere, adattandoci a un nuovo stile di vita. Ognuno alla sua maniera. Ma adesso, le cose sono cambiate. E improvvisamente abbandonare l’interno delle nostre case, spazi sicuri in questi mesi, se per alcuni rappresenta un sollievo, per altri è fonte di molta ansia.

Cosa posso toccare? Chi posso vedere? Come comportarmi? Sarà pericoloso stare all’aria aperta?

Ciò che ad oggi preoccupa di più, è l’eventuale rischio di una ricaduta nelle prossime settimane. Per questo molti governi hanno deciso di approcciarsi gradualmente alla riapertura. Ma le perplessità rimangono: l’unica vera uscita gratis di prigione è rappresentata dalla creazione di un vaccino.

Sebbene molto ancora non si conosca sui meccanismi di questo virus, alcune cose le abbiamo imparate. Sappiamo, ad esempio, che i tassi di infezione sono più alti all’interno degli spazi chiusi o delle abitazioni, piuttosto che all’aria aperta: nel primo caso parliamo di un buon 20% di probabilità di contrarre il virus, mentre nel secondo caso si scende al 5%. 

Quindi se temete che uscire di casa significhi istantaneamente incontrare un nemico invisibile, non vi preoccupate. Rispettare le norme di distanziamento sociale e seguire i comportamenti igienici, come lavarsi le mani o non toccare la mascherina con i guanti, sono comportamenti sensati che permettono di ridurre le possibilità di contagio.

Uno studio Sud coreano ha dimostrato la maggior probabilità di contagio tra i membri di un ufficio con scrivanie attigue, piuttosto soggetti su piani diversi o con scrivanie non attigue.

Più andiamo avanti, però, più dovremo interfacciarci con situazioni sempre diverse e via via più complesse da post lockdown. Vediamone alcune.

Abitudini e stili di vita

Riprendere ad uscire si traduce in tornare piano piano ad alcune delle nostre abitudini. E magari continuare con alcune tra quelle più sane intraprese prima del lockdown. Durante le settimane passate, si temeva che le condizioni psicologiche stressanti potessero far ricadere nel vizio molti fumatori. Un pericolo che, almeno in parte, è stato arginato grazie all’attività della LIAF e del numero di assistenza psicologica gratuita creato apposta per fornire supporto a tutti coloro che ne necessitavano. Ma finita la quarantena, i fumatori possono ricominciare il loro percorso di smoking cessation o considerarne l’inizio.

Sport

Ormai si sa: lo stile di vita sedentario non è un amico della salute. Molti sono riusciti a mantenersi in forma, per altri il confino in casa si è tradotto in abbuffate pantagrueliche e binge watching su Netflix. 

L’attività sportiva non solo si traduce in un beneficio a livello fisico, ma aiuta a scaricare lo stress e mantenere intatta la salute mentale. Sport non di gruppo, come arrampicata, corsa, ciclismo e similari, da praticare all’aperto, non comportano rischi elevati. A New York si tengono quotidianamente lezioni di yoga nei parchi: certo le problematiche per i centri urbani più grandi rimangono, ma soluzioni simili non devono essere scartate.

Gite

Tutto quello che riguarda spostamenti o gite apre una discussione più ampia e articolata. Per quanto nei giorni festivi durante il lockdown, molti siano stati multati per aver violato le norme, ipotizzare scenari in cui il rischio di assembramento sia ridotto è fattibile.

Non entrare in contatto con persone che provengono da nuclei abitativi diversi è la ratio che dobbiamo tenere ben a mente: in Francia, ad esempio, si sta studiando di limitare gli sposamenti nel raggio di 100 km. Dividere le persone in gruppi su base casuale oppure sulla base del CAP e permettere gli spostamenti parcellizati è un’idea che richiede un grande sforzo organizzativo, ma almeno concederebbe l’allontanamento verso zone di villeggiatura.

Bar e ristoranti

Entriamo in un discorso molto scottante: da un lato un’intera categoria sta denunciando norme che impediscono di fatto a moti esercizi di poter lavorare e riaprire. Dall’altro, vale sempre la regola che i luoghi chiusi risultano essere più rischiosi di quelli aperti.

A Vilnius, vaste aree pubbliche sono state adibite ad ospitare bar e ristoranti: un’iniziativa che ha già ricevuto 160 domande.

E per i bar? Perchè non pensare di utilizzare le proprie tazze da asporto, lavate e igienizzate a casa, riducendo il contatto con le stoviglie del locale?

Servizi religiosi

L’influenza spagnola del 1918 a San Francisco rese necessario svolgere le funzioni religiose all’aperto. A New York, la decisione di chiudere vaste aree al traffico ha portato molti gruppi religiosi a svolgere, in piccoli gruppi, funzioni per strada.

Negozi 

Lunghe file fuori dai negozi: sono questi gli scenari che si prospettano con la riapertura e che già si vedono per quelle categorie di esercizi che sono rimasti aperti.

Leggendo le indicazioni dell’OMS, il rischio di contagio aumenta: per persone di case diverse che entrano in contatto fisico; se le persone rimangono faccia a faccia per più di 15 minuti; se i soggetti condividono uno spazio chiuso come un ufficio per più di 15 minuti.

Anche se all’interno nei negozi non possono entrare troppe persone, ci si dovrebbe concentrare più sulla sanificazioni dlele superfici o degli oggetti, come i pos, toccati da molti. 

Anche se all’interno nei negozi non possono entrare troppe persone, ci si dovrebbe concentrare più sulla sanificazioni dlele superfici o degli oggetti, come i pos, toccati da molti. 

Trasporti

Anche qui valgono le stesse regole: dispensatori di gel liquidi, panelli in plexiglass e mascherine per i conducenti, oltre che una costante sanificazione delle superfici come già sta avvenendo nella metro di New York, chiusa ogni notte dall’1 alle 5 del mattino per provvedere alla pulizia dei vagoni e delle aree comuni.

Ottimismo e pessimismo: l’altalena emotiva dei paesi colpiti dal Covid-19

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ottismo e pessimismo

Secondo alcune indagini è possibile calcolare i livelli di ottimismo e pessimismo dei vari stati sui tempi di ripresa post-epidemia.

A parlarci di questo è Livio Gigliuto, vice presidente dell’Istituto Piepoli, che proprio qualche giorno fa è stato ospite della diretta di Rai News 24 per raccontare il modo in cui il pianeta sta vivendo la fase di emergenza da pandemia Covid-19.

L’Istituto Piepoli fa parte di un network che si chiama The Researce Alliance e che comprende, a sua volta, un insieme di istituti di ricerca indipendenti di vari paesi del mondo. Gigliuto ha spiegato il tipo di ricerca condotta da tutti i vari istituiti del network, tra cui il Piepoli, per meglio chiarire l’indagine in oggetto.

Ma in cosa consiste esattamente?

Ciascuno di questi istituti ha avviato un sondaggio pubblico su un campione rappresentativo della popolazione del singolo paese, focalizzando però l’attenzione su sei paesi nello specifico, definiti “emblematici”.

I paesi presi in considerazione sono Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.

Ma qual è la ratio di base che lega questi paesi?

Questo virus, secondo le osservazioni del vice presidente Gigliuto, è paragonabile a una livella emotiva e i sentimenti che legano i vari paesi sono simili tra di loro. Ovviamente, parliamo di reazioni tra la popolazione legate al sentimento della paura. Non c’è un paese dove la paura non sia il trend che va per la maggiore.

Dunque, per prima cosa sono stati misurati i livelli di paura che si hanno del contagio. Nel caso specifico dell’Italia, la gente ha timore di uscire e, se lo fa, indossa la mascherina. Ma in realtà, il livello di paura che c’è in Italia è più basso rispetto al livello che si registra in altri paesi.

L’Italia risulta essere il paese meno “spaventato”. Il livello di paura del contagio è risultato molto elevato negli Emirati Arabi, Stati Uniti e nel Regno Unito, i paesi che hanno inizialmente dimostrato una tendenza più all’apertura che alla chiusura.

L’Italia e l’Australia stanno già affrontando quella fase di convivenza con il virus. Nel caso specifico del nostro paese, questo sta avvenendo perché i dati ci confermano che il numero dei contagi sta diminuendo, nel caso dell’Australia, il livello della paura risulta molto più basso perché sin dall’inizio la gestione si è svolta diversamente e le attività hanno ricominciato quasi a pieni ritmi.

Esistono dei paesi che sono più ottimisti e dei paesi che sono invece più pessimisti rispetto ai tempi di ripresa? “Assolutamente sì” ci spiega Gigliuto.

Ma questa percezione emotiva come si trasferisce quando guardiamo alle conseguenze economiche?

Dietro questa pandemia, un’emergenza sanitaria straordinaria, si nascondono i timori di una vera e propria pandemia economica. Anche in questo caso, ci sono i paesi che sono più ottimisti e dei paesi che sono invece più pessimisti. Secondo gli italiani, ma anche secondo molti altri paesi, la sensazione è che l’economia subirà una flessione simile a quella conseguente la crisi del 2008. Opinione condivisa dall’80% degli italiani e che risulta essere un approccio pessimistico rispetto al futuro dell’economia.

Aggiungendo, inoltre, che fondamentalmente il livello di paura riguardante la seconda pandemia (che è quella economica) è più elevato nei paesi che hanno avuto un lockdown più forte, rispetto ai paesi che hanno attuato un lockdown meno forte.

È come se i governi avessero dovuto scegliere a cosa dare priorità: al lato sanitario e non a quello economico, oppure viceversa.

Filo conduttore dell’intera indagine è sicuramente l’altalenanza di ottimismo e pessimismo di tutti i paesi colpiti dal Covid-19, ma indubbiamente ciò che prevale è il principio della salute nelle città intesa come bene comune.

Il governo italiano, per esempio, ha avuto una grande crescita di popolarità proprio perché è stato uno dei governi con grande propensione alla chiusura e quindi alla sicurezza dei cittadini.

Ma quando sarà possibile ritornare completamente alla normalità?

Se consideriamo altri dati molto importanti, sappiamo che il 62% degli italiani vorrebbe un supporto psicologico per ritornare alla normalità. 7 italiani su 10 vedono il Covid-19 come causa di stress.

La preoccupazione che abbiamo provato durante l’intero periodo ha contribuito a cambiare i nostri stili di vita, ma quello che emerge oggi è che in periodi di emergenza a seguito di catastrofi o di guerre succede esattamente ciò che sta capitando al nostro paese e in altri: aumenta la fiducia nei confronti di chi decide.

Cresce la fiducia nei confronti del Presidente del Consiglio, cresce nei confronti delle forze dell’ordine, nei confronti della sanità pubblica, cresce nei confronti di tutto quello che è pubblico. Anche nel giornalismo, per esempio, si registra una maggiore fiducia rispetto a quanta ce n’era prima.

In conclusione, quello che è emerso dall’indagine, secondo la maggioranza delle risposte, questa situazione ci accompagnerà almeno per un altro anno. Inoltre, è emerso gli italiani vorrebbero che i sindaci (le figure più vicine al cittadino) di ogni paese avessero più autorità di natura sanitaria e non solo di natura amministrativa locale.

Storie di ex fumatori: anche i politici smettono

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LIAF e CoEHAR da anni combattono per aiutare i fumatori a smettere e per trovare soluzioni alternative e meno dannose per chi non riesce a smettere di fumare da solo. Ma si può, si può riuscire a smettere anche da soli.

In questi giorni di lockdown c’è stata una polemica generale per le famose serie TV che su Netflix (soprattutto) ripropongono gli stereotipi di alcune figure professionali (come i giornalisti, i detective, le spie o gli eroi) che continuano a mostrarsi con una sigaretta in mano.

Ma il mondo è cambiato e anche lo stile di vita di alcune categorie professionali è cambiato.

Oggi LIAF, tra le storie di ex fumatori vi propone quella dell’On. Salvo Fleres, giornalista e già Senatore della Repubblica Italiana:

“Da giovane ho lavorato per 17 anni alla Manifattura Tabacchi di Catania ma, provenendo da una vita da atleta praticante, sono riuscito a non farmi prendere dalla tentazione neanche quando, alla fine di ogni mese, l’Azienda, a me come a tutti gli altri dipendenti, regalava 15 pacchetti di MS.

Insomma, fino all’età di quarant’anni, sapevo tutto delle sigarette, dei sigari, del tabacco da pipa, ma non ne facevo uso. Sì, fino a quarant’anni, perché fu proprio subito dopo il quarantesimo compleanno che ebbe inizio la mia esperienza di fumatore e non di banalissime sigarette, come accade alla maggior parte delle persone, bensì di sigari, preferibilmente toscani, ma anche cubani.

Il pretesto fu la mia rinite allergica che, non so bene per quale ragione scientifica, riduceva i suoi effetti grazie al fumo dei sigari. Ma si trattò solo di un pretesto, perché, quasi immediatamente, il sigaro cominciò a diventare il mio compagno preferito durante le lunghe riunioni politiche, le notti insonni, i momenti di riflessione, trasformandosi in una costosa, pericolosa e puzzolente abitudine, dei cui danni ero perfettamente consapevole, ma dai quali non riuscivo ad allontanarmi.

Il fumatore sa perfettamente che fumare fa male, ma non gliene importa nulla. La paura non è un deterrente sufficiente, così come non lo è il costo.  

Per quanto mi riguarda, le cose andarono avanti così per 20 anni esatti, durante i quali ero arrivato a consumare circa 10 mezzi toscani al giorno: fumavo senza soluzione di continuità in ogni luogo ed in ogni circostanza, rendendo irrespirabile l’aria del mio ufficio, della mia automobile, persino della mia camera da letto ed ammorbando qualsiasi cosa mi stesse addosso o intorno. 

Smisi pochi anni addietro, tutto ad un tratto, senza pensarci sù neanche un momento, spegnendo immediatamente il sigaro che stavo fumando quando, purtroppo, la mia più stretta collaboratrice, Gloria, 52 anni ancora non compiuti, una brillante e preparata funzionaria regionale, che lavorava con me da circa 20 anni, mi comunicò che le avevano diagnosticato un tumore al polmone e che le restavano pochi mesi di vita. 

Sì, anche lei fumava: sigarette al mentolo, meno puzzolenti dei mie sigari, ma altrettanto pericolose. In quel momento rimasi paralizzato dal dolore, ricordo che a stento seppi pronunziare poche parole, forse senza senso, come tutte quelle che ci capita di balbettare in circostanze come quelle. Nella vita, infatti, ci sono occasioni nelle quali le parole non bastano e soprattutto non servono.

No, non credo che smisi di fumare per paura che mi potesse accadere la stessa cosa che stava accadendo a Gloria, forse lo feci per rispettare il suo dolore, la sua giovinezza bruciata ed i suoi due ragazzi rimasti troppo presto senza madre. Credo che si possa smettere di fumare non tanto per sé, quanto per gli altri.”

Lockdown controverso in Sud Africa: a farne le spese sono gli svapatori

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sud africa vaping

In ambito internazionale, molti paesi hanno deciso in piena autonomia come portare avanti il lockdown a seguito dell’epidemia di COVID-19, prendendo molto spesso decisioni contestabili.

In Italia, prima della rettifica governativa, i negozi dedicati al vaping erano stati chiusi, giudicati “non essenziali”. La scelta comportava in rischio di far ricadere migliaia di fumatori nel vizio del fumo: l’ansia e lo stress generati dalla situazione insieme alla chiusura dei vapeshops mettevano i tabagisti in una difficile posizione.

Situazione diversa in Sud Africa: la vendita di alcol e tabacco è stata vietata ad inizio quarantena. Nella categoria “prodotti del tabacco” rientrano anche le sigarette elettroniche e snus. Un paese dove il tasso di fumatori è estremamente elevato e la situazione critica a causa dalla possibilità di accedere a prodotti contraffatti sul mercato nero.

Molti svapatori attendevano con ansia la revoca del bando con l’ingresso nella FASE 4 del lockdown, pianificata per il primo di maggio, ma il dietrofront del governo ha suscitato non poco clamore, tanto da portare a una petizione online firmata già da migliaia di persone.

Una decisone che, secondo la VPASA, l’associazione che riunisce produttori e venditori del settore del vaping in Sud Africa, creerà “più danno che beneficio”.

“Siamo molto contrariati dal dietrofront del governo di non permettere la vendita dei prodotti per il vaping con l’entrata in vigore della Fase 4 del lockdown il primo di maggio. Ciò significa che anche l’alternativa meno dannosa delle sigarette elettroniche rimane bandita. Limitarne la vendita non tiene conto della riduzione del danno”. (Dichiarazione della VPSA)

Covid-19: l’isolamento è da considerarsi pericoloso?

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In un interessante articolo del quotidiano inglese Telegraph, il professor di psicologia sociale Stephan Reicher rilascia un’intervista in cui afferma che l’isolamento a cui siamo stati costretti per via del lockdown da Covid-19 risulterebbe pericoloso quanto fumare 15 sigarette al giorno.

In questo caso specifico, il professore Reicher, si rivolge al governo inglese che, come tutti gli altri governi, ha chiesto ai cittadini di rinchiudersi in casa per affrontare la quarantena.

È vero che il distanziamento sociale, come tante altre utili disposizioni, aiuterebbe a bloccare il virus, ma secondo Reicher non dovremmo sottovalutare un altro fattore molto importante, ovvero: la pericolosità dell’isolamento per l’essere umano.

Il professor Reicher che studia le strategie sociali più utili per rendere il periodo della quarantena il meno pesante possibile per i cittadini, afferma che:

“Secondo gli studi, rimanere isolati in casa, accresce la percentuale di mortalità del 30%. Questa percentuale è simile al tasso di mortalità dovuto al fumo o all’obesità”.

Il non avere contatti con gli altri comporterebbe gravi problemi al corpo ma soprattutto alla mente, lo stesso danno che provocherebbe il fumare 15 sigarette durante la giornata.

Reicher, riconosce l’importanza che la tecnologia può avere in un periodo storico come quello attuale, difatti considera la comunicazione online un metodo innovativo che permette alle persone di restare connesse.

Il governo inglese ha, infatti, riscontrato che l’interazione online è molto cresciuta rispetto agli anni precedenti e che per una questione di esigenze, l’essere umano sta cercando nuove vie per vedere l’altro, come le videochiamate, per esempio.

Già nel 2015, uno studio americano della Brigham Young University, aveva fatto presente la gravità dell’isolamento, della solitudine, soprattutto per gli anziani. Il non avere nessun tipo di rapporto sociale può portare a una morte prematura, o il non avere la possibilità di fare esercizio fisico può provocare problemi alla pressione del sangue o problemi di tipo cardiovascolare.

Le severe disposizioni dei governi sono state messe in atto per evitare una seconda emergenza di contagi da Covid-19, ma quello che vorrebbe far presente il professor Stephan Reicher è anche la natura pratica della questione.

In che senso?

Restare a casa, forse si può. Ma a un certo punto, quando l’essere umano si renderà conto di dover provvedere a quelli che sono i bisogni primari, cosa farà? Inizierà a non rispettare le regole? Il problema è pratico, è vero. Ma è anche psicologico. L’ansia e la preoccupazione causati dallo scoppio della pandemia influisce sullo stato mentale di ognuno di noi.

Per far sì che questa situazione possa risultare più accettabile, Reicher consiglia al governo inglese di assicurarsi che l’intera popolazione abbia la possibilità di comunicare online, questo permetterebbe di vivere meglio il periodo di isolamento.

Per capire se questa forma di isolamento risulti veramente pericolosa quanto il fumare 15 sigarette al giorno, ci siamo rivolti al prof. Pasquale Caponetto, coordinatore del Centro Antifumo del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania.

Secondo il prof. Caponetto, non si può quantificare esattamente o associare il danno psicologico a un numero preciso di sigarette fumate durante il giorno, però quello che è certo è che l’elemento di “ritiro sociale” è da non sottovalutare, perché può provocare seri danni alla natura mentale dell’essere umano.

L’elemento psichico, in questo momento di non interazione umana, è seriamente a rischio.

Come affrontare la fase 2: quale mascherina indossare nella nostra nuova quotidianità?

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mascherina covid-19 epidemia

Finalmente ci si appresta a uscire di casa e ritornare alla quotidianità. Ma non illudiamoci, la nuova normalità che ci attende sarà differente da quella vissuta prima che la tumultuosa e rapida diffusione del coronavirus condizionasse le nostre vite.

Ci aspetta un periodo caratterizzato da una forte attenzione alle misure di distanziamento sociale e igienico-sanitarie che devono essere adottate per prevenire una eventuale ripresa del numero dei contagi. A queste misure vanno aggiunte quelle di protezione personale.

Data la natura particolarmente aggressiva del coronavirus e la dinamica della sua diffusione, è opportuno affrontare seriamente il tema delle misure di protezione personale: le mascherine sono il primo vero scudo di difesa individuale.

Nelle settimane passate, si è parlato incessantemente di mascherine. La loro domanda ha raggiunto picchi elevatissimi con ricadute importanti sia sull’approvvigionamento del prodotto che sul loro prezzo di vendita.

Una situazione che ha allarmato già da tempo Federfarma nazionale, che richiede non solo un controllo maggiore sui prezzi, ma anche l’abolizione dell’IVA, allo scopo di evitare speculazioni sia per i farmacisti che le vendono che per i cittadini che le acquistano.

“Purtroppo – dichiara Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma – il Paese deve affrontare gli eventi senza un’adeguata preparazione. Ad oggi in molte farmacie le mascherine non sono arrivate. La distribuzione intermedia avrebbe dovuto distribuire quelle della Protezione civile ma, a causa dei ritardi degli enti certificatori, non può ancora immetterle nel circuito. Le mascherine continuano a essere vendute nelle poche farmacie che ne sono fornite, ad un prezzo pubblico di 50 centesimi più Iva, quindi a 61 centesimi, non essendo stata ancora abolita, come promesso dal governo, l’aliquota del 22%”.

Con la riapertura graduale delle attività, il ritorno agli ambienti di lavoro e la maggiore libertà di circolazione, le mascherine diventeranno un accessorio obbligatorio, parte integrante del nostro nuovo abbigliamento quotidiano. Nelle prossime settimane saremo in tanti ad essere “mascherati”. Forse anche una opportunità per i nostri bravi stilisti da Armani a Gucci, da Prada a Dolce&Gabbana, che potranno contribuire – con la loro creatività – a questa lotta contro il coronavirus sfoderando mascherine “stilose” e di elevata indossabilità a tutto vantaggio di una migliore aderenza al loro uso quotidiano.

Ma quali mascherine indossare? Quali scegliere per proteggersi dall’odiato coronavirus?

Le classiche mascherine chirurgiche sono state spesso oggetto di raccomandazioni variegate e contrastanti. Proprio oggi in tv è partita la campagna informativa nazionale che ne spiega meglio l’utilizzo. E’ bene sapere che sono progettate per filtrare l’aria che viene espirata (non quella inspirata) e pertanto sono generalmente indicate per le persone infettate e quelle che sospettano di essere a rischio di infezione.

In questo caso le mascherine – fungendo da schermo – evitano la dispersione di saliva o di microparticelle infette da parte di chi le indossa. E riducono quindi la possibilità di eventuali contagi.

Di contro le mascherine protettive di tipo FFP2 (denominate anche di tipo N95 negli standard americani), sono concepite per filtrare l’aria in entrambe le direzioni (quindi anche quella inspirata) e pertanto indicate per quelle persone sane che intendono proteggersi dal contagio (ad esempio il personale medico-sanitario in forza ai reparti allestiti per fronteggiare la emergenza COVID-19).

Tutto chiaro? Non proprio… In realtà, vanno fatte alcune importanti considerazioni alla luce delle evidenze scientifiche che – sorprendentemente – non dimostrano alcuna significativa differenza tra i due tipi di mascherina in termini pratici.

Cumulativamente tutti gli studi (tre in totale) sulla mascherine protettiva di tipo FFP2 dimostrano oltre un 80% di riduzione del rischio di contagio. Ottima protezione quindi. Ma, le analisi riassuntive su studi (sette in totale) condotti con le classiche mascherine chirurgiche dimostrano pure una importante riduzione del rischio di contagio, quasi il 70%.

Questi studi – condotti nel corso dell’epidemia di SARS del 2002 – rimettono in discussione il dogma della inefficacia delle mascherine chirurgiche nel prevenire il contagio e incidendo fortemente sul dibattitto su quale tipologia di mascherina indossare per la Fase 2.

In previsione della crescita esponenziale nella domanda di mascherine per i prossimi mesi, fornire una raccomandazione specifica per le elaborate e costose FFP2 comporterebbe problemi sia in termini di scarso approvvigionamento del prodotto che di controllo del loro prezzo di vendita. Quindi rassicurare il pubblico sulla efficacia delle mascherine chirurgiche è di fondamentale importanza.

Prescindendo dalla tipologia di mascherina, un punto fondamentale sul quale va posto l’accento è che bisogna indossarle sempre e in modo appropriato, coprendo naso e bocca. Il loro uso è limitato nel tempo, quindi bisogna cambiare mascherina almeno una volta al giorno. Infine, non dimentichiamoci di lavare bene le mani prima di indossarle e subito dopo averle rimosse.

Interpellato al riguardo, il Prof. Riccardo Polosa docente dell’Università di Catania, ha dichiarato:

“Sono convinto che una delle misure chiave da adottare nel corso della Fase 2 sia quella dell’uso su larga scala di mascherine chirurgiche, per proteggere noi stessi e gli altri.

Se indossate correttamente e quotidianamente da larghe fasce della popolazione, si potrà interrompere la diffusione del coronavirus sino ad eradicarlo completamente già nel giro di 6-8 settimane. In pratica, si potrà ritornare velocemente alle nostre abitudini – senza essere costretti a rinunciare a importanti limitazioni della libertà personale e favorendo sin da subito la ripresa di numerose attività produttive e ricreative.”