Dal prossimo 24 al 27 Febbraio si terrà, come ogni anno, il meeting annuale della prestigiosa Society for Research On Nicotine and Tobacco, durante il quale scienziati di caratura mondiale nel campo si alterneranno in una tre-giorni all’insegna della scienza.
SRNT è una società scientifica la cui missione è quella di creare e diffondere conoscenza riguardo la nicotina ed il tabacco, con l’obiettivo finale di ridurre i danni provocati da quest’ultimi.
Tema di quest’anno sarà la “giustizia sociale”. Si discuterà sui problemi di disuguaglianza sanitaria e delle azioni da conseguire al fine di correggere le disparità di trattamento riguardanti gli strumenti per combattere il fumo di sigaretta convenzionale.
Durante il dibattito sarà presente il Direttore del CoEHAR – Giovanni Li Volti – che presenterà alla prestigiosa platea lo studio “The Role of cigarette smoke on ACE-2 protein-membrane expression in bronchial epithelial cells using an air-liquid interface model“.
La pioneristica ricerca – condotta nei laboratori del CoEHAR – ha per prima evidenziato il potenziale ruolo della nicotina come protezione nei confronti del CoVID-19, e potrebbe aprire nuovi scenari nel suo uso farmaceutico come trattamento anti-Covid.
“Essere selezionati da SRNT per questo studio significa avere riconosciuto il ruolo del CoEHAR nella ricerca scientifica internazionale” ha spiegato il Prof. Li Volti raggiunto da Liaf Magazine.
“Il CoEHAR è stato infatti il primo istituto di ricerca a concentrarsi sul processo che coinvolge il ruolo del recettore ACE-2 nell’infezione da SARS-CoV-2 come passaggio critico per l’ingresso del virus nel corpo umano” ha poi aggiunto.
All’interno delle giornate, accettati due abstract inviati da team di ricerca del CoEHAR. Oltre quello del direttore Li Volti, ci sarà spazio anche per parlare del ruolo della nicotina in ambito scientifico con il Dr. Pietro Zuccarello, ricercatore del CoEHAR.
Può un aumento dell’1% riportato da uno studio ottenere un titolo drammatico su famosi quotidiani internazionali?
La risposta è si quando si tratta di demonizzare qualsiasi cosa relativa alle sigarette elettroniche.
La percentuale incriminata appare in uno studio di cui vi abbiamo dato ampiamente notizia nei giorni scorsi: “Aerial Transmission of the SARS-COV-2 Virus through Environmental E-Cigarette Aerosol: Implications for Public Policies” del Dr. Roberto Sussman, Prof. Riccardo Polosa, Eliana Golberstein.
Lo scopo dello studio era di quantificare quanto i vapers esalino rispetto ai chi non utilizza la sigaretta elettronica e se ciò avesse conseguenze sulla diffusione del Covid-19. La ricerca inoltre “contribuisce alla definizione di linee guida per le politiche pubbliche sullo svapo e sul fumo nel contesto delle strategie di contenimento, prevenzione e mitigazione della pandemia COVID-19“.
Il risultato ha dimostrato come per la maggior parte degli utenti nell’atto di svapare il rischio sia aumentato solo dell’1% in ambienti interni. In alcuni casi, il rischio è salito al 17% per i dispositivi ad alta potenza. Ma tali dispositivi vengono utilizzati solo dal 10% dei vapers.
Come comparazione, lo studio ha spiegato come il rischio aumenti del 176% quando si parla e del 260% quando si tossisce ogni due minuti in un’ora.
Come sottolineato dallo studio, le esalazioni tramite svapo producono una nuvola visibile facilmente evitata da altri. Ciò implica che al di fuori di questa particolare area il rischio di infezione è trascurabile.
La conclusione dei ricercatori è che lo svapo non necessita di interventi particolari se non la distanza sociale e l’utilizzo di maschere protettive.
Questo avviene mentre i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno fatto un passo indietro rispetto alla precedente dichiarazione, in cui indicavano le sigarette elettroniche come un fattore di incremento del rischio. Nella nuova valutazione, non vi è infatti nessuna raccomandazione generale riguardo la cessazione dello svapo.
“La ricerca ha come scopo quello di implementare le politiche per contrastare la pandemia ed evitare qualsiasi panico irragionevole tra la popolazione“, ha detto il Prof. Riccardo Polosa, uno degli autori dello studio.
Tuttavia, il The Telegraph ha deciso di pubblicare un articolo con il titolo “Vapers with Covid-19 up to 20 per cent more likely to transmit it than infected non-smoker, study finds” citando erroneamente lo studio e diffondendo paure irragionevoli.
L’articolo del The Telegrapgh:” Secondo uno studio i vapers con Covid-19 hanno fino al 20% in più di probabilità di trasmetter il virus rispetto ai non fumatori infetti”
“Interpretare male il lavoro scientifico in modo dannoso è controproducente. Distrugge e mette a repentaglio il duro lavoro che molti scienziati devono fare ogni giorno per scoprire verità universali. Diffondere una mezza verità nella tua narrativa è brutto come mentire o diffondere teorie del complotto” ha affermato Eliana Golberstein, una delle ricercatrici dello studio.
Il tabloid britannico “The Daily Mail” ha scelto il titolo: “Vapers up to 17% more likely to spread coronavirus because it gets blown around when they breathe out, study says” affermando anche – in maniera ingannevole- come lo studio sostenesse il divieto in ristoranti e stazioni ferroviarie.
Il titolo del Daily Mail: “I vapers hanno fino al 17% in più di probabilità di diffondere il coronavirus perché viene espulso quando si espira, afferma lo studio”
In risposta il Dott. Roberto Sussman, ricercatore principale dello studio, su Twitter:
“Citazione sbagliata del nostro articolo. Il 17% in piu’ di rischio solo nello svapo estremo, mentre l’1% di rischio in più nello svapo fatto dal 90% dei vapers. Emettere 80 goccioline per sbuffo, NON “migliaia di virus”. Non abbiamo mai consigliato divieti nei ristoranti e nelle stazioni ferroviarie”
Anche Chris Snowdon, dell’Institute of Economic Affairs in Gran Bretagna, nel suo blog Velvet Glove ha duramente criticato gli articoli del The Telegraph e del Daily Mail.
“Nei miei quindici anni leggendo e scrivendo di scienza spazzatura, mi sono chiesto occasionalmente se sarebbe arrivato il giorno in cui un rischio relativo dell’1% sarebbe stato considerato degno di nota. Quel giorno è finalmente arrivato grazie al Telegraph”
Il Regno Unito è da sempre in prima linea per quanto riguarda la riduzione del danno da tabacco e alternative più sicure alle sigarette tradizionali. Con sette milioni di persone che utilizzano sigarette elettroniche, il Regno Unito è anche il paese leader in Europa per numero di svapatori, sebbene ogni anno ci siano ancora 73.000 morti e 480.000 ricoveri ospedalieri.
Informazioni accurate basate su prove scientifiche sono un diritto innegabile per tutti i fumatori disposti a smettere o a passare ad alternative più sicure.
Diffondere paura con il giornalismo sensazionalistico causa molti danni, limitando l’efficacia delle politiche di Sanità Pubblica in grado di ridurre il carico dovuto dal fumo sui vari Sistemi Sanitari Nazionali.
“L’articolo di The Telegraph mira solo a diffondere disinformazione e non è basato sulla scienza. Ancora una volta, stiamo assistendo a pregiudizi da parte dei media nei confronti del mondo dello svapo” – si esprime così commentando il titolo il Prof. Riccardo Polosa, principale scienziato in ambito mondiale sulla riduzione del danno al tabacco e fondatore del CoEHAR.
L’eterno dibattito sull’efficacia delle mascherine si è riaperto negli ultimi giorni, dopo il sequestro di un modello che potrebbe non rispettare il livello di protezione dichiarato.
Distinguiamo tra quelle di comunità, dispositivi medici e quelli di protezione individuale.
Le prime sono semplici mascherine di stoffa, che non devono rispettare nessun requisito di sicurezza o efficacia, anche se limitano comunque la circolazione del virus. I dispositivi medici sono le chirurgiche che proteggono noi, ma servono soprattutto a non infettare gli altri. Le mascherine di protezione individuale garantiscono uno scudo anche per chi li porta, offrendo il massimo della protezione. Le mascherine sono utili per proteggere le vie respiratorie impedendo o limitando l’ingresso di particelle nocive, proteggendo non solo dal Covid ma anche dal fumo di sigaretta.
Si può abbassare la mascherina per fumare?
Attenzione! Fumare una sigaretta in tempo di pandemia può costare cara, infatti si rischiano multe di 400 euro per violazione del Dpcm che ha imposto l’uso del dispositivo di protezione individuale sempre all’aperto.
I fumatori rischiano multe molto salate, quando si dà libero sfogo al vizio delle bionde.
Bisogna scegliere fra fumare oppure indossare correttamente la mascherina, in quest’ultimo caso più saggio e salutare per tutti. Abbassare la mascherina per strada si può, ma solo per mangiare. Non certo per fumare una sigaretta.
Questo il monito lanciato e condiviso da diversi sindaci di tutta Italia, come quello di Spino d’Adda in provincia di Cremona, Luigi Poli, che afferma:
“Quando si esce bisogna indossare la mascherina correttamente. Incontro persone con la sigaretta e la mascherina abbassata, li richiamo e mi rispondono che stanno fumando. Ma chi fuma non ha il diritto di toglierla – ha spiegato – Non c’è autorizzazione a togliere la mascherina per fumare”.
Il consiglio?
Approfittate di questo divieto per trovare spunto per lasciare indietro le normali sigarette. Provate ad allontanare il tempo trascorso tra una sigaretta e l’altra e iniziate a diminuire il numero di sigarette fumate. Arrivare a zero non è così difficile!
Catania, 15 Febbraio 2021 – Fumare e svapare all’aperto o nelle vicinanze di altre persone può aumentare il rischio di contagio o di trasmissione del virus? A chiederselo è stata tutta la comunità scientifica in questi mesi ma poche sono state le risposte. Secondo l’ultimo studio condotto all’interno dei laboratori del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania dal gruppo di ricerca coordinato dal prof. Riccardo Polosa, rispetto al normale respiro, svapare incrementa solo dell’1% il rischio connesso alla trasmissione del coronavirus.
Per capire meglio i risultati dello studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, basta pensare che 2 minuti di tosse nell’arco di un’ora corrispondono a un aumento del rischio del 260% e parlare per 6 minuti comporta un aumento del rischio del 44%.
“In considerazione della brevità dell’atto della svapata, del tempo di esposizione e dei dati statistici su carica virale e tassi di infezione, svapare comporterebbe un aumento di solo l’1% del rischio connesso alla trasmissione del coronavirus rispetto alla normale attività respiratoria a riposo” – afferma Polosa.
Sia l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che il CDC, il Centro per il Controllo della Prevenzione e Malattie statunitense, hanno da tempo riconosciuto il ruolo che le goccioline di saliva emesse durante qualsiasi attività respiratoria hanno nella trasmissione del Covid-19. I ricercatori del CoEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania, si sono spinti oltre e grazie alla collaborazione con l’Istituto di Scienze Nucleari di Città del Messico e la Myriad Pharmaceuticals di Auckland hanno valutato la possibilità che le goccioline emesse da uno svapatore infetto durante l’esalazione dell’aerosol delle sigarette elettroniche possano aumentare il rischio di contagio.
Il metodo
Mancando dati specifici relativi all’emissione di microparticelle nel vaping, sono stati presi come modello i dati di esalazione del fumo delle sigarette convenzionali: i fumatori solitamente espirano una miscela di fumo e aria con un volume del 30-40% maggiore del normale volume respiratorio a riposo. Sono stati utilizzati come parametri la quantità di sbuffi prodotta in media durante lo svapo, le dimensioni delle goccioline emesse, la temporalità limitata dell’azione e i dati sulla carica virale del Covid-19 e gli altri parametri di infezione per procedere a valutare il tasso di rischio considerando lo scenario classico di una abitazione o di un ristorante con normale ventilazione.
Conclusioni
Nello studio sono stati valutati due diverse tipologie di scenario: sia abitazioni private che luoghi pubblici, chiusi e all’aperto. Lo scenario “casa” ha inciso moltissimo per la propagazione del virus: vivere in maniera rilassata la propria abitazione senza precauzioni ovviamente aumenta le probabilità di contagio. In tal caso, svapare non comporta significativi aumenti del rischio, in presenza di comportamenti, come il vivere insieme o il parlare, che comportano rischi maggiori.
L’altro scenario considerato è quello dei luoghi chiusi, con una sufficiente ventilazione naturale e meccanica: in presenza di tutte le norme di prevenzione, il vaping comporta solo l’1% di rischio aggiunto. Inoltre la possibilità di vedere il fumo emesso grazie allo svapo permette di visualizzare concretamente gli sbuffi e, nel caso, evitarli: molto più sicuro che attività quali il parlare o il tossire.
“Studiare e comprendere quale sia il ruolo delle diverse attività respiratorie nella trasmissione del virus è di fondamentale importanza per migliorare le strategie dirette al contrasto della diffusione dell’infezione e per informare correttamente la popolazione – ha concluso il Prof. Riccardo Polosa – ciononostante sebbene lo svapo rappresenti un rischio di contagio irrisorio è comunque vitale il distanziamento sociale e le buone regole di comportamento contro il Covid19”.
Quando si tratta di descrivere la riduzione del danno da fumo ed i suoi limiti le domande principali da porsi sono sempre le stesse. Cosa è andato storto nell’attuazione delle politiche di sanità pubblica nel mondo? Perché esiste una feroce opposizione globale contro le sigarette elettroniche quando invece potrebbero potenzialmente arginare il vizio del fumo attraverso soluzioni più sicure?
La risposta non è né facile né diretta come sembra.
La situazione attuale
Mancanza di informazioni, opposizione irragionevole da parte dei governi, pesanti interventi statali sulla regolamentazione e controllo del settore collegato al tabacco. Questi alcuni dei motivi per cui negli ultimi anni le politiche da riduzione del danno causato dal fumo di sigaretta ha fallito nella sua implementazione, nonostante la disponibilità di alternative più sicure al fumo come le sigarette elettroniche.
Disinformazione
Soprattutto, sembra che i politici non abbiano ancora capito i prodotti che stanno cercando di regolamentare. Ciò è dovuto alla mancanza di esperienza e di competenza da parte dei giornalisti nell’interpretare le informazioni scientifiche? Oppure è la conseguenza della mancanza di volontà da parte delle istituzioni pubbliche e private che li informi o che offra formazione agli addetti ai lavori su come estrapolare i dati?
Di certo un ruolo fondamentale è stato svolto negli ultimi anni dalle Unità di comunicazione, che hanno agito come censure presso i media e hanno rotto il ponte tra esperti e stampa che fino a poco tempo fa agiva in maniera efficiente.
Un altro punto importante da sottolineare è il problema di comunicazione tra gli scienziati e l’altro capo della linea, ovvero il grande pubblico.
Come sottolineato da Giovanni Li Volti, Direttore del CoEHAR, “la sfida è riuscire a fornire gli strumenti per comprendere la ricerca scientifica a giornalisti e pazienti per veicolare informazioni chiare e comprensibili sulle questioni sanitarie alla società.”
Pregiudizi da parte dei governi
Anche l’approccio che separa rigidamente il settore del tabacco e consumatori in due diverse categorie invece di considerarli nel loro insieme ha peggiorato il problema invece di risolverlo. Demonizzare la nicotina senza offrire alcuna soluzione ai fumatori si è dimostrato negli anni un vicolo cieco, e limita qualsiasi politica di sanità pubblica che cerchi di alleviare il peso delle malattie legate alla salute del fumo sui sistemi sanitari nazionali.
Nonostante il settore delle sigarette elettroniche abbia il più alto tasso di sviluppo nella ricerca e nell’efficienza di tali dispositivi, la società vede ancora come potenzialmente pericoloso tutto ciò che proviene dall’industria del tabacco. Questo nonostante studi scientifici dimostrino chiaramente come la nuova generazione di sigarette elettroniche sia molto più sicura delle tradizionali sigarette combustibili.
Intervento statale sulla salute personale
Un altro grosso problema che potrebbe portare ad un disastro nel lungo periodo è il controllo pervasivo da parte delle autorità sul consumo di tabacco, senza considerare i diritti dei consumatori. Finora l’equilibrio tra il diritto dell’individuo e il benessere sociale è stato posto tutto in favore di quest’ultimo, senza dare alcuna possibilità ai consumatori di decidere cosa è nel loro migliore interesse.
A tredici anni dalla commercializzazione della prima sigaretta elettronica vi è ormai un segmento della società a cui piace ed è ormai abituata allo svapo. I governi devono tenerne conto quando si tratta di divieti e regolamentazione.
Come Harry Shapiro – giornalista britannico ed editore esecutivo del rapporto Global State of Tobacco Harm Reduction – ha suggerito durante un recente dibattito: “le persone dovrebbero avere la possibilità di prendersi cura della propria salute al di fuori dell’intervento statale.”
Allo stadio si tornerà senza sigarette. La città di Milano ha approvato, di recente, il regolamento che mette in atto una serie di disposizioni per migliorare la qualità nell’aria della metropoli con restrizioni e pene severe per chi fuma all’aperto. Tutto ciò per evitare e ridurre il Pm 10, ossia le particelle inquinanti nocive per i polmoni, tutelando la salute dei cittadini dal fumo di sigaretta attivo e passivo, nei luoghi pubblici frequentati pure da minori.
Il primo ad adeguarsi a questa nuova normativa sarà lo stadio San Siro di Milano
Attraverso dei router Wi-Fi, telecamere che riescono ad identificare tutte le persone sedute e non all’interno dello stadio, saranno individuati e segnalati tutti i sospettati fumatori.
L’obiettivo è rendere Milano e lo sport della città smoke free prima delle olimpiadi 2026.
Smettere di fumare è un grande traguardo da conquistare innanzitutto per la salute, ma anche per il portafoglio e per la propria autostima. Tuttavia, l’obiettivo non è sempre facile da raggiungere e una delle paure di chi si appresta a rinunciare a questa cattiva abitudine è quella di ingrassare.
Ma quali sono i cibi consigliati e quelli da evitare durante il processo di cessazione da fumo?
Lo abbiamo chiesto al prof. Massimo Caruso, ricercatore del CoEHAR dell’Università di Catania ed esperto anche di nutrizione.
Una scorta di cibi rinfrescanti e ricchi di acqua, come: frutta fresca, verdure (per lo più a crudo, dunque insalate), e ortaggi, di cui molti sono ricchi anche di nicotina, può aiutare l’aspirante ex-fumatore a sopperire alla sua carenza.“Tenere sempre il metabolismo in attività con alimenti freschi, ipocalorici e ricchi di acqua ci aiuterà ad evitare di eccedere con alimenti ipercalorici che, fra l’altro, spesso aumentano il desiderio della bionda” – spiega Caruso.
Tenete lontane gomme e caramelle. Di solito è la prima cosa in cui si sbaglia. Il bisogno di rinfrescare una bocca che desidera una sigaretta ci porta ad allungare le mani verso caramelle e gomme che però, seppur rinfrescanti, contengono zuccheri che non ci aiutano.
In un percorso di cessazione dell’utilizzo delle bionde, bisogna puntare su:
Disintossicazione
Contenimento dello stress ossidativo
Attenuazione del desiderio di nicotina.
Come raggiungere questi obiettivi?
Mangiando frutta fresca, e verdure come i broccoli e verdura a foglia verde in genere (con alto potere disintossicante), pomodori, peperoni, peperoncini, melanzane e patate (ricchi di nicotina), a cui è utile associare alimenti alcalinizzanti come il limone, gli spinaci, l’aglio, etc., che aumentano la permanenza in circolo della nicotina stessa, e infine alimenti come pomodori, (in particolare la salsa), broccoli, agrumi, mirtilli, frutti di bosco, zucca, salmone, trota, peperoncino, peperoni, melograno, carote, tè, verde cioccolato fondente (alimenti ricchi di antiossidanti).
La regola di base è: mangiare cibi salutari e ipocalorici perché aiutano ad eliminare le tossine accumulate con anni di fumo.
Liaf da anni combatte per aiutare i fumatori a smettere e per trovare soluzioni alternative e meno dannose per chi non riesce a smettere di fumare da solo. Ma a volte, si può smettere anche da soli. L’importante è conoscere le conseguenze alle quali si può andare incontro.
Liaf – raccontaci la tua storia nasce con lo scopo di condividere con voi lettori la storia di chi è riuscito a vincere la battaglia contro il fumo.
Oggi vi presentiamo la storia di Florinda. Una donna di 48 anni a cui è stato riscontrato un tumore al polmone dopo anni di fumo di sigaretta convenzionale.
“Sarei molto lieta di poter raccontare la mia esperienza” – ci scrive in una lunga email arrivata alla redazione di LIAF Magazine.
“Oggi posso dire di aver vinto la battaglia contro il tumore al polmone, faccio chemioterapia adiuvante per le recidive e tutta questa esperienza mi ha portata ad avere e poi affrontare la mia più grande paura, ma questa paura mi ha permesso di sconfiggere anche la battaglia contro il fumo. Anche se sono passati solo 5 mesi, la mia decisione è quella di vivere“.
Testimonianze come quella di Florinda possono essere d’aiuto, soprattutto quando la forza di volontà non basta e sarebbe opportuno un confronto con medici specialisti e ricercatori dei centri antifumo.
“Le mie priorità oggi sono altre, come affrontare una chemioterapia e tornare a riprendere la vita in mano, il mio lavoro e i miei affetti”.
Chi smette di fumare non è mai un “non fumatore” ma un “ex fumatore” e questo perché uscire definitivamente dalla porta del tabagismo e non rientrarci mai più è una battaglia costante che solo con grande determinazione e forza di volontà può essere vinta.
“Sono convinta e consapevole che la battaglia contro il fumo non è ancora del tutto vinta perché sono passati solo 5 mesi ed il pensiero di sconfiggere il mio mostro più grande è ben più importante”
Forse nel caso di Florinda, la sua esperienza sfortunata è stata determinante.
Ma la domanda che vi poniamo è: siete davvero consapevoli delle conseguenze, spesso gravi, alle quali si può andare incontro fumando?
Il famosissimo smoking da uomo, l’abito da sera per eccellenza, ha a che fare con l’abitudine degli uomini di fumare?
Per rispondere a questa domanda, è necessario risalire alla nascita di quello che a tutti gli effetti, per design e usi comuni, può essere considerato lo smoking da uomo così come lo intendiamo oggi.
Il termine “smoking” viene da smoking jacket (“giacca da fumo”), una veste da camera che nell’Ottocento veniva rigorosamente indossata dagli uomini nelle stanze per soli fumatori, con lo scopo di preservare l’abito dall’odore del tabacco. In Inghilterra l’abito da sera non si chiama smoking ma ‘black tie’, e ‘tuxedo’ è invece il termine in uso in America dove fu indossato per la prima volta nel 1929, dall’industriale Griswold Lorillard al Tuxedo Club nel New Jersey, da qui infatti l’origine del nome.
La diffusione di questo capo d’abbigliamento è da collegarsi alla Guerra di Crimea e ai contatti con la popolazione turca, soprattutto per alcune loro abitudini, tra cui quella di accompagnare dopo il pasto un buon alcolico con una fumata di tabacco.
Gli uomini presero l’abitudine di indossare una giacca da fumo anche per evitare che il cattivo odore del tabacco arrivasse alle donne. Per galanteria e buona educazione.
Da sottolineare che in quegli anni non erano ancora noti gli effetti dannosi del fumo di sigaretta convenzionale, erano gli anni in cui anzi fumare significava essere attraente, di talento, elegante. Fu solo dopo molti decenni che le gravi conseguenze del fumo di sigaretta convenzionale vennero resi noti dalle organizzazioni di salute pubblica mondiali. E solo dopo anche le compagnia cinematografiche furono costrette a rivedere le loro politiche ed i loro prodotti. Ma di quel tempo ignaro delle conseguenze, ci resta almeno l’abito da uomo più famoso al mondo. Fu così, infatti, che lo smoking, sin dalle sue prime manifestazioni per i membri che componevano l’alta nobiltà, diventò l’abito per eccellenza della mondanità e dell’eleganza, ancora oggi molto gettonato.
Lo scontro politico tra i favorevoli alla sigaretta elettronica e quelli contrari entra in una nuova fase.
Negli Stati Uniti è una lotta che si rinnova ad ogni cambio d’inquilino alla Casa Bianca quella tra svapatori e chi vorrebbe un divieto totale di vendita dei prodotti da svapo. Un braccio di ferro che va avanti da anni, e che vede nell’equilibrio tra diritto dei fumatori ad una alternativa meno dannosa ed il contrasto al boom di vapers tra i teenagers la sua ragione d’essere.
Vaping si, vaping no: un problema politico.
Negli Stati Uniti il vaping è oggetto di dibattito feroce da anni. A partire dall’Agosto del 2016, la US Food and Drug Admistration, l’ente federale che regola le politiche di salute pubblica nel paese, ha dichiarato le sigarette elettroniche come prodotti da tabacco e quindi soggette allo stesso tipo di regolamentazione delle sigarette tradizionali. Un giro di vite che ha prodotto non solo una ulteriore tassazione sui prodotti ma anche una demonizzazione della sigaretta elettronica in-toto. Questo approccio, tuttavia, ha provocato delle conseguenze non previste come l’aumento della compravendita di prodotti non regolamentati e la creazione di un mercato al di fuori del controllo statale. Tutto a discapito dell’implementazione di alternative più sicure per la salute rispetto alla sigaretta tradizionale.
Nonostante il governo statunitense abbia a disposizione tutti gli strumenti necessari al fine di mettere in campo una regolamentazione e una tassazione dei prodotti da svapo accuratamente calibrata ed equilibrata, le conseguenze politiche di uno sdoganamento della sigaretta elettronica pesano come un macigno sull’intero settore. Soprattutto per la scottante questione del crescente uso di svapo tra giovani e giovanissimi, che rallenta ogni passo in avanti verso questa direzione.
La tassazione negli Stati Uniti cambia da stato a stato. (Taxfoundation.org)
Secondo una recente ricerca dell’Università di San Diego in California, il numero di adolescenti che iniziano a fumare sigarette è costantemente diminuito negli anni parallelamente al crescente utilizzo delle e-cig. Dal 2016 al 2019, il numero di fumatori di sigarette tra i ragazzi delle scuole superiori statunitensi è sceso dal 28% al 22%, mentre l’uso di sigarette elettroniche è aumentato dal 39% al 46%.
La distribuzione di svapatori negli Stati Uniti per fascia d’età (Statista.com)
Un fenomeno da non sottovalutare, ma che non può oscurare i molti studi scientifici che da anni ormai sottolineano i benefici apportati dalle sigarette elettroniche rispetto alle tradizionali, e che considerano questi strumenti come efficaci mezzi alternativi per una progressiva riduzione del danno causato dal fumo combustibile ed una successiva eliminazione della dipendenza da nicotina.
La retromarcia di Trump
Lo scorso Gennaio, con una mossa a sorpresa il Presidente Donald J. Trump dopo una iniziale chiusura a qualsiasi tipo di prodotto da svapo riformulava la sua proposta di legge, proibendo solo quegli aromi preferiti dai giovani e mantenendo quelli più utilizzati tra gli adulti. Una mossa che ha causato molto scalpore e che non è piaciuta affatto ad entrambi gli schieramenti.
“Non avrei mai dovuto fare quella cosa dello svapo” avrebbe detto Trump durante una telefonata con Alex Azar, segretario del Health and Human Services. Trump probabilmente si riferiva al fatto di aver pubblicamente dichiarato il proprio sostegno al divieto delle sigarette elettroniche aromatizzate piuttosto che lasciare la questione alla Food and Drug Administration.
Trump/Azar (Tom Brenner/Reuters, FILE)
Una frase che evidenzia inequivocabilmente il fatto che nessun legislatore statunitense voglia essere considerato dall’opinione pubblica come “tollerante” nei confronti del mondo dello svapo, e che ha riproposto ancora una volta l’estrema necessità di un bilanciamento tra la protezione dei minori sull’uso della sigaretta elettronica e l’offerta di una valida alternativa alla sigaretta tradizionale per i fumatori.
Il nuovo approccio del neo-presidente Joe Biden
Nonostante siano passate poco piu’ di due settimane dall’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti siamo già in una nuova fase per il mondo dello svapo. La scelta della US Food and Drug Administration di alzare i requisiti minimi per l’accesso al mercato dei prodotti di tabacco il giorno prima dell’insediamento di Biden, non è infatti passata inosservata. Come inosservata non è stata la scelta di undici senatori democratici, appena una settimana dopo il giuramento di Biden, di scrivere una lettera aperta alla FDA “sollecitando la rimozione dal mercato di tutti i nuovi prodotti da tabacco non autorizzati”.
(Somodevilla/Getty)
Il pugno duro del Partito Democratico statunitense rispecchia senza dubbio un atteggiamento di sospetto nei confronti della Big industry in generale e del Big Tobacco in particolare. Questo approccio potrebbe però rivelarsi un boomerang. Innalzare i requisiti e stringere le maglie aumenterebbe infatti i costi di entrata nel mercato e quindi tagliare fuori le piccole compagnie indipendenti che sono alla base del business delle e-cigarettes. In ultima istanza, i vincitori di questo nuova politica sarebbero proprio le grandi compagnie del tabacco.