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Il Covid19 ha ridotto l’attenzione sul cancro e sui tumori fumo correlati

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C’è una tragedia nella tragedia causata dal Covid-19 il cui conto sarà salatissimo nei prossimi anni.

La paura di contrarre il virus ha spostato l’attenzione per la prevenzione e la cura di malattie spesso più letali come il cancro ed i tumori fumo correlati.

Una ricerca condotta tra i pazienti di paesi membri dell’Unione Europea (tra cui circa 900 affetti da varie forme di tumore) ha evidenziato come la situazione attuale stia influenzando negativamente l’assistenza medica, con circa il 70% di pazienti che rinvia o annulla i trattamenti sanitari.

Circa 1/5 tra i pazienti oncologici ha optato per una terapia alternativa a causa del COVID-19, mentre quasi la metà ha considerato la possibilità di modificare le terapie per evitare di contrarre il virus durante le visite ospedaliere.

L’annullamento e il rallentamento nei trattamenti salvavita contro il cancro – al fine di ridurre al minimo il rischio di contagio – hanno generato un enorme arretrato nella cura e nella ricerca provocando un ritardo nelle diagnosi e un burnout tra i professionisti.

A causa di questi ritardi nella diagnosi e cura, è atteso un aumento sostanziale del numero di decessi per cancro nei prossimi anni. Un dramma nel dramma” – cosi il Prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, ha commentato rifacendosi al suo intervento in seno alla consultazione pubblica europea sul cancro.

Secondo modelli statistici, si stima un aumento significativo della mortalità per i tumori più comuni e spesso legati a stili di vita poco sani – come ad esempio quelli polmonari – con un incremento di 3500 decessi nei prossimi 5-6 anni rispetto ai dati pre-pandemici.

Sebbene la situazione odierna causata dalla diffusione incontrollata a livello mondiale del SARS-CoV-2 abbia creato una crisi sanitaria senza precedenti, molti esperti avvertono come questa possa non essere l’ultima. La vulnerabilità dei sistemi sanitari nazionali è stata evidenziata impietosamente e, senza miglioramenti e potenziamenti sistemici, qualsiasi futura pandemia potrebbe nuovamente causare crisi generalizzate come quella attuale.

In futuro dovremmo rafforzare la prevenzione primaria per ridurre il carico sui sistemi sanitari e gestire i fattori di rischio. Gli sforzi finanziari e programmatici dovrebbero essere dedicati alla prevenzione: aumentando l’immunizzazione, promuovendo diete e attività fisica più sane, riducendo la prevalenza del fumo” – ha spiegato Polosa.

In particolar modo, per quel che riguarda uno dei tumori più aggressivi e in rapida crescita come quello al polmone la prevenzione è fondamentale.

Nell’aprile 2020 è stato ideato un questionario online anonimo con il fine di comprendere gli effetti del lockdown sulle abitudini di fumo degli italiani. Ed è stata osservata una diminuzione della prevalenza di fumatori durante la prima fase del lockdown con una leggera contrazione dell’1,4%, che corrisponde a una stima di 630.000 fumatori in meno (circa 334.000 uomini e 295.000 donne).

Durante il lockdown però il numero di sigarette fumate ogni giorno è cresciuto dell’8,55%. L’assunzione media giornaliera di sigarette è passata dal 10,9% al 12,7%, corrispondente a un aumento percentuale del 9,1.

In parole povere, lo stress e l’ansia causate dall’attuale pandemia hanno causato un incremento nel consumo di sigarette tradizionali. Una situazione che ha nuovamente evidenziato l’assoluto bisogno di una chiara e coerente politica finalizzata alla riduzione del fumo e alla creazione di alternative meno dannose.

Il fumo rappresenta ancora la principale causa di cancro, oltre ad essere un importante contributo alle malattie cardiovascolari e respiratorie.

Dobbiamo accelerare la fine delle sigarette tradizionali prevenendo l’inizio della dipendenza, rafforzando gli strumenti e i servizi di cessazione statali, promuovere una regolamentazione sul controllo del tabacco basata sulla scienza, aiutando i fumatori che non riescono a smettere di fumare da soli ad utilizzare alternative meno dannose” – cosi ha concluso il Prof. Polosa.

World Wildlife Day: l’industria del tabacco che avvelena il pianeta

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world wildlife day tabacco

Oggi si celebra il “World Wildlife Day”, la giornata mondiale voluta dall’ONU per ricordarci della fondamentale importanza della biodiversità animale e vegetale e per celebrare l’importanza dell’ambiente selvatico.

Il tema della giornata di quest’anno è “Foreste e mezzi di sussistenza: sostegno delle persone e del pianeta”, voluta per sottolineare il ruolo fondamentale delle foreste per il sostentamento di milioni di persone nel mondo, in particolare della comunità indigene, che dalle foreste traggono non solo cibo, ma anche riparo e protezione.

Secondo le stime ONU si parla di oltre 200 milioni di persone che vivono sfruttando le foreste, grazie alle quali alimentano anche le proprie identità culturali.

Un ambiente che ad oggi risulta essere minacciato non solo dai cambiamenti ambientali, ma anche dalla deforestazione selvaggia compiuta dall’uomo, che sottrae spazio sia all’ambiente naturale sia alle popolazioni che abitano queste aree.

FORESTE E TABACCO

Discorso che non suona nuovo per quanto riguarda le piantagioni di tabacco: sappiamo che tale produzione alimenta un giro multimiliardario a livello globale, soprattuto grazie alla vendita dei derivati, come le sigarette, a loro volta causa di danni alla saluta umana.

L’impatto sulla salute ambientale della produzione del tabacco è incredibile: secondo l’OMS non solo la coltivazione di tabacco contribuisce alla deforestazione di vaste aree, aumentando quindi l’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche che inevitabilmente avvelenano l’ecosistema circostante; ma l’essiccazione delle foglie molte volte richiede l’utilizzo di grosse quantità di legna, circa 11,4 milioni di tonnellate l’anno.

Un processo che altera la fertilità e la produttività dei terreni interessati.

SFRUTTAMENTO DEL LAVORO MINORILE

Ma il risvolto peggiore riguarda lo sfruttamento del lavoro minorile: secondo dati risalenti al 2018, raccolti sia da Human Rights Watch che dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, in Asia, Africa e Centro America, circa 1 milione e 300 mila lavoratori sotto i 14 anni vengono impiegati nella catena produttiva del tabacco.

Ragazzi pagati circa 30 centesimi (dollari) per ogni kg di foglie raccolte: basti pensare che un 1 kg di foglie permette la produzione di circa 1200 sigarette.

Bambini che non solo devono abbandonare gli studi e che vengono sottoposti a ritmi di lavoro estenuanti, ma entrano anche in contatto prematuramente con il tabacco e le sostanze tossiche utilizzate nella produzione, con conseguenze gravi per la loro salute.

Inoltre il lavoro nei campi incentiva il consumo orale del tabacco anche in età prematura.

Un problema trasversale che riguarda moltissimi stati sparsi in diversi continenti, come Argentina, Bangladesh, Brasile, Cambogia, Ghana, Honduras, Kenya, Malawi, Mozambico, Tanzania, Tailandia, Uganda e Zimbabwe.

Una produzione ipocrita divisa tra il divieto di vendere sigarette ai minori e lo sfruttamento di bambini e ragazzi nella catena produttiva.

Accendere una sigaretta significa anche capire che tipo di industria vi è dietro. I cambiamenti sono possibili: smettere di fumare è una scelta che non riguarda solo la propria salute ma anche quella dei lavoratori sfruttati e dell’ecosistema.

Sport: il migliore alleato per chi vuole smettere di fumare

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sport

Chi, in questo momento della propria vita, sta pensando di smettere di fumare può trovare interessante sapere che uno studio recente condotto dalla Harvard School Of Public Health di Boston ha dimostrato che lo sport può essere fondamentale per chi vuole dire addio al vizio del fumo.

Lo studio, condotto su 25 fumatori di età compresa tra i 18 e 65 anni, ha dimostrato quanto la dedizione all’attività sportiva sia importante per tenere impegnata la mente e, di conseguenza, non cedere alla tentazione di fumare in continuazione.

Lo sport è in grado di aiutare sia a livello fisico, sia a livello psicologico. In questo particolare periodo di pandemia è gratificante praticare attività sportiva all’aperto.

Tra le attività più consigliate, ci sono la corsa, che permette di purificare l’organismo liberandosi dalle tossine e da tutte le sostanze nocive, e la bici.

Entrambe le attività citate sono alla portata di tutti e permettono di mantenere una sana routine quotidiana.

Ma soprattutto per chi vuole smettere di fumare, lo sport diventa uno dei migliori alleati e viene consigliato specialmente dopo i percorsi di cessazione. Gli studi che ne hanno dimostrato l’importanza sono tanti e diversi, ma sottolineano la sostanziale differenza tra chi fa semplicemente movimento e tra chi, invece, pratica sport con costanza e dedizione.

Nel primo caso, infatti, l’attività saltuaria comporterà una diminuzione della voglia di fumare, mentre una vera e propria routine di esercizi può portare alla cessazione definitiva.

Benessere, quello derivante dall’attività sportiva, che non si traduce solo nell’avere un corpo più magro e tonico, ma vengono abbassati i livelli di stress, solitamente accomunati ai percorsi di abbandono del fumo. Inoltre, un effetto collaterale del dire no alla sigaretta convenzionale risiede nel possibile aumento di peso: lo sport diventa così un alleato che combatte su più fronti aiutandoci a raggiungere il nostro obiettivo.

Leggi anche: Fare sport è tra i vantaggi delle sigarette elettroniche

SRNT 2021- Li Volti: “Un ruolo potenziale della nicotina come fattore protettivo da Covid-19”

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Catania 26 Febbraio, 2021 – Il Direttore del CoEHAR Giovanni Li Volti ha presentato oggi al meeting 2021 della Society for Research on Nicotine & Tobacco (SRNT) lo studio “Il ruolo del fumo di sigaretta sull’espressione della membrana proteica ACE-2 nelle cellule epiteliali bronchiali utilizzando un modello di interfaccia aria-liquido.”

Lo studio mira a valutare l’effetto del fumo delle sigarette sull’espressione della proteina ACE-2 nelle cellule epiteliali bronchiali.

La ricerca – presentata una delle sessioni del meeting dal titolo: “Impatto multisistemico dell’esposizione alla nicotina: Covid e Oltremira a comprendere l’espressione di ACE2 per dimostrare se vi è un collegamento pericoloso tra fumatori e  Sars-Cov-2 o vi è semplicemente una correlazione casuale.

Per arrivare a risultati ottimali, i ricercatori del CoEHAR utilizzano la “smoking machine”, uno strumento altamente innovativo che consente una perfetta riproduzione di quello che succede all’interno del tratto respiratorio del fumatore durante l’atto di fumare. In condizioni normali, questa macchina legge in pochi minuti le condizioni reali di esposizione.

L’analisi del CoEHAR (tra le prime in questo ambito) ha dimostrato la non -correlazione tra la riduzione dell’espressione di ACE 2, proteina attraverso il quale il virus del Covid-19 entra nel corpo umano, e la risposta infiammatoria.

Durante il suo intervento live, a margine della presentazione dello studio, il Professore Li Volti ha anche risposto ad alcune domande specifiche riguardo la capacità penetrativa del virus SARS-COV-2 all’interno delle cellule, sottolineando come:

Uno dei grossi limiti dei dati della letteratura è che non vengono riportati le abitudini da fumo delle corti che vengono studiate e questo spiega i dati discrepanti tra trial clinici e dati in vitro. Esiste la necessità sempre più urgente di riprodurre il più perfettamente possibile le abitudini reali dei tabagisti. I nostri studi si baseranno in futuro ancora di più su esposizioni in acuto al fine di comprendere definitivamente il ruolo della nicotina in tale processo“.

Al via la campagna di tesseramento Liaf 2021

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L’epidemia globale non ha reso meno gravi le conseguenze legate all’abitudine al tabagismo. Sebbene il Covid abbia cambiato le nostre vite, non ha reso meno dannose le cattivi abitudini. Il lockdown e i cambiamenti sociali hanno creato tantissime difficoltà anche per l’emergere e l’intensificarsi di molte delle più diffuse dipendenze.

Rafforzare la battaglia contro il fumo significa anche lavorare per ridurre gli accessi al sistema sanitario nazionale e prevenire tutta una serie di malattie fumo correlate che spesso possono condurre alla morte.

La LIAF (Lega Italiana Anti Fumo) è una organizzazione complessa che si batte da anni per far smettere di fumare milioni di persone in Italia e nel mondo. Presieduta dal dott. Ezio Campagna, è composta al suo interno da un gruppo di ricercatori esperti di Harm Reduction che promuovono, in collaborazione con l’Università di Catania ed il CoEHAR Centro di Ricerca per la Riduzione del danno da fumo, studi e progetti di ricerca con rilevanza internazionale.

Dal 2020, LIAF è anche informazione. LIAF Magazine infatti nasce con l’obiettivo di diffondere in Italia e nel mondo tutte le notizie e gli aggiornamenti che riguardano la ricerca antifumo, gli strumenti per combatterlo e quelli per ridurre i danni correlati.

Come passare ad uno stile di vita più sano? La risposta è nella scienza.

Mai come oggi la battaglia contro il fumo ha bisogno del sostegno di tutti. Diffondere la cultura antifumo in tutti i contesti sociali, nelle nostre famiglie, a scuola, a pranzo fuori, al bar, in ufficio o semplicemente nel nostro balcone di casa è importante oggi più che mai.

Diventare socio sostenitore LIAF significa essere un promotore della cultura antifumo ogni giorno, con i mezzi di cui disponi ma con le informazioni necessarie e corrette per farlo.

Da oggi diventare socio LIAF è semplicissimo.

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Dal 24 al 27 Febbraio online il meeting annuale SRNT

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Dal prossimo 24 al 27 Febbraio si terrà, come ogni anno, il meeting annuale della prestigiosa Society for Research On Nicotine and Tobacco, durante il quale scienziati di caratura mondiale nel campo si alterneranno in una tre-giorni all’insegna della scienza.

SRNT è una società scientifica la cui missione è quella di creare e diffondere conoscenza riguardo la nicotina ed il tabacco, con l’obiettivo finale di ridurre i danni provocati da quest’ultimi.

Tema di quest’anno sarà la “giustizia sociale”. Si discuterà sui problemi di disuguaglianza sanitaria e delle azioni da conseguire al fine di correggere le disparità di trattamento riguardanti gli strumenti per combattere il fumo di sigaretta convenzionale.

Durante il dibattito sarà presente il Direttore del CoEHAR – Giovanni Li Volti – che presenterà alla prestigiosa platea lo studio “The Role of cigarette smoke on ACE-2 protein-membrane expression in bronchial epithelial cells using an air-liquid interface model“.

La pioneristica ricerca – condotta nei laboratori del CoEHAR – ha per prima evidenziato il potenziale ruolo della nicotina come protezione nei confronti del CoVID-19, e potrebbe aprire nuovi scenari nel suo uso farmaceutico come trattamento anti-Covid.

Essere selezionati da SRNT per questo studio significa avere riconosciuto il ruolo del CoEHAR nella ricerca scientifica internazionale” ha spiegato il Prof. Li Volti raggiunto da Liaf Magazine.

Il CoEHAR è stato infatti il primo istituto di ricerca a concentrarsi sul processo che coinvolge il ruolo del recettore ACE-2 nell’infezione da SARS-CoV-2 come passaggio critico per l’ingresso del virus nel corpo umano” ha poi aggiunto.

All’interno delle giornate, accettati due abstract inviati da team di ricerca del CoEHAR. Oltre quello del direttore Li Volti, ci sarà spazio anche per parlare del ruolo della nicotina in ambito scientifico con il Dr. Pietro Zuccarello, ricercatore del CoEHAR.


Vaping e Covid-19: un misto di fake news e giornalismo ingannevole

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Può un aumento dell’1% riportato da uno studio ottenere un titolo drammatico su famosi quotidiani internazionali?

La risposta è si quando si tratta di demonizzare qualsiasi cosa relativa alle sigarette elettroniche.

La percentuale incriminata appare in uno studio di cui vi abbiamo dato ampiamente notizia nei giorni scorsi: “Aerial Transmission of the SARS-COV-2 Virus through Environmental E-Cigarette Aerosol: Implications for Public Policies” del Dr. Roberto Sussman, Prof. Riccardo Polosa, Eliana Golberstein.

Lo scopo dello studio era di quantificare quanto i vapers esalino rispetto ai chi non utilizza la sigaretta elettronica e se ciò avesse conseguenze sulla diffusione del Covid-19. La ricerca inoltre “contribuisce alla definizione di linee guida per le politiche pubbliche sullo svapo e sul fumo nel contesto delle strategie di contenimento, prevenzione e mitigazione della pandemia COVID-19“.

Il risultato ha dimostrato come per la maggior parte degli utenti nell’atto di svapare il rischio sia aumentato solo dell’1% in ambienti interni. In alcuni casi, il rischio è salito al 17% per i dispositivi ad alta potenza. Ma tali dispositivi vengono utilizzati solo dal 10% dei vapers.

Come comparazione, lo studio ha spiegato come il rischio aumenti del 176% quando si parla e del 260% quando si tossisce ogni due minuti in un’ora.

Come sottolineato dallo studio, le esalazioni tramite svapo producono una nuvola visibile facilmente evitata da altri. Ciò implica che al di fuori di questa particolare area il rischio di infezione è trascurabile.

La conclusione dei ricercatori è che lo svapo non necessita di interventi particolari se non la distanza sociale e l’utilizzo di maschere protettive.

Questo avviene mentre i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno fatto un passo indietro rispetto alla precedente dichiarazione, in cui indicavano le sigarette elettroniche come un fattore di incremento del rischio. Nella nuova valutazione, non vi è infatti nessuna raccomandazione generale riguardo la cessazione dello svapo.

La ricerca ha come scopo quello di implementare le politiche per contrastare la pandemia ed evitare qualsiasi panico irragionevole tra la popolazione“, ha detto il Prof. Riccardo Polosa, uno degli autori dello studio.

Tuttavia, il The Telegraph ha deciso di pubblicare un articolo con il titolo “Vapers with Covid-19 up to 20 per cent more likely to transmit it than infected non-smoker, study finds” citando erroneamente lo studio e diffondendo paure irragionevoli.

L’articolo del The Telegrapgh:” Secondo uno studio i vapers con Covid-19 hanno fino al 20% in più di probabilità di trasmetter il virus rispetto ai non fumatori infetti”

Interpretare male il lavoro scientifico in modo dannoso è controproducente. Distrugge e mette a repentaglio il duro lavoro che molti scienziati devono fare ogni giorno per scoprire verità universali. Diffondere una mezza verità nella tua narrativa è brutto come mentire o diffondere teorie del complotto” ha affermato Eliana Golberstein, una delle ricercatrici dello studio.

Il tabloid britannico “The Daily Mail” ha scelto il titolo: “Vapers up to 17% more likely to spread coronavirus because it gets blown around when they breathe out, study says” affermando anche – in maniera ingannevole- come lo studio sostenesse il divieto in ristoranti e stazioni ferroviarie.

Il titolo del Daily Mail: “I vapers hanno fino al 17% in più di probabilità di diffondere il coronavirus perché viene espulso quando si espira, afferma lo studio”

In risposta il Dott. Roberto Sussman, ricercatore principale dello studio, su Twitter:

“Citazione sbagliata del nostro articolo. Il 17% in piu’ di rischio solo nello svapo estremo, mentre l’1% di rischio in più nello svapo fatto dal 90% dei vapers. Emettere 80 goccioline per sbuffo, NON “migliaia di virus”. Non abbiamo mai consigliato divieti nei ristoranti e nelle stazioni ferroviarie”

Anche Chris Snowdon, dell’Institute of Economic Affairs in Gran Bretagna, nel suo blog Velvet Glove ha duramente criticato gli articoli del The Telegraph e del Daily Mail.

“Nei miei quindici anni leggendo e scrivendo di scienza spazzatura, mi sono chiesto occasionalmente se sarebbe arrivato il giorno in cui un rischio relativo dell’1% sarebbe stato considerato degno di nota. Quel giorno è finalmente arrivato grazie al Telegraph”

Il Regno Unito è da sempre in prima linea per quanto riguarda la riduzione del danno da tabacco e alternative più sicure alle sigarette tradizionali. Con sette milioni di persone che utilizzano sigarette elettroniche, il Regno Unito è anche il paese leader in Europa per numero di svapatori, sebbene ogni anno ci siano ancora 73.000 morti e 480.000 ricoveri ospedalieri.

Informazioni accurate basate su prove scientifiche sono un diritto innegabile per tutti i fumatori disposti a smettere o a passare ad alternative più sicure.

Diffondere paura con il giornalismo sensazionalistico causa molti danni, limitando l’efficacia delle politiche di Sanità Pubblica in grado di ridurre il carico dovuto dal fumo sui vari Sistemi Sanitari Nazionali.

L’articolo di The Telegraph mira solo a diffondere disinformazione e non è basato sulla scienza. Ancora una volta, stiamo assistendo a pregiudizi da parte dei media nei confronti del mondo dello svapo” – si esprime così commentando il titolo il Prof. Riccardo Polosa, principale scienziato in ambito mondiale sulla riduzione del danno al tabacco e fondatore del CoEHAR.

Non ti conosco mascherina

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mascherina

L’eterno dibattito sull’efficacia delle mascherine si è riaperto negli ultimi giorni, dopo il sequestro di un modello che potrebbe non rispettare il livello di protezione dichiarato.

Distinguiamo tra quelle di comunità, dispositivi medici e quelli di protezione individuale.

Le prime sono semplici mascherine di stoffa, che non devono rispettare nessun requisito di sicurezza o efficacia, anche se limitano comunque la circolazione del virus. I dispositivi medici sono le chirurgiche che proteggono noi, ma servono soprattutto a non infettare gli altri. Le mascherine di protezione individuale garantiscono uno scudo anche per chi li porta, offrendo il massimo della protezione. Le mascherine sono utili per proteggere le vie respiratorie impedendo o limitando l’ingresso di particelle nocive, proteggendo non solo dal Covid ma anche dal fumo di sigaretta.

Si può abbassare la mascherina per fumare?

Attenzione! Fumare una sigaretta in tempo di pandemia può costare cara, infatti si rischiano multe di 400 euro per violazione del Dpcm che ha imposto l’uso del dispositivo di protezione individuale sempre all’aperto.

I fumatori rischiano multe molto salate, quando si dà libero sfogo al vizio delle bionde.

Bisogna scegliere fra fumare oppure indossare correttamente la mascherina, in quest’ultimo caso più saggio e salutare per tutti. Abbassare la mascherina per strada si può, ma solo per mangiare. Non certo per fumare una sigaretta.

Questo il monito lanciato e condiviso da diversi sindaci di tutta Italia, come quello di Spino d’Adda in provincia di Cremona, Luigi Poli, che afferma:

Quando si esce bisogna indossare la mascherina correttamente. Incontro persone con la sigaretta e la mascherina abbassata, li richiamo e mi rispondono che stanno fumando. Ma chi fuma non ha il diritto di toglierla – ha spiegato – Non c’è autorizzazione a togliere la mascherina per fumare”.

Il consiglio?

Approfittate di questo divieto per trovare spunto per lasciare indietro le normali sigarette. Provate ad allontanare il tempo trascorso tra una sigaretta e l’altra e iniziate a diminuire il numero di sigarette fumate. Arrivare a zero non è così difficile!  

CoEHAR – La possibilità che svapare aumenti il rischio di trasmissione del virus è irrisoria, pari all’1%

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Catania, 15 Febbraio 2021 – Fumare e svapare all’aperto o nelle vicinanze di altre persone può aumentare il rischio di contagio o di trasmissione del virus? A chiederselo è stata tutta la comunità scientifica in questi mesi ma poche sono state le risposte. Secondo l’ultimo studio condotto all’interno dei laboratori del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania dal gruppo di ricerca coordinato dal prof. Riccardo Polosa, rispetto al normale respiro, svapare incrementa solo dell’1% il rischio connesso alla trasmissione del coronavirus. 

Per capire meglio i risultati dello studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, basta pensare che 2 minuti di tosse nell’arco di un’ora corrispondono a un aumento del rischio del 260% e parlare per 6 minuti comporta un aumento del rischio del 44%.

In considerazione della brevità dell’atto della svapata, del tempo di esposizione e dei dati statistici su carica virale e tassi di infezione, svapare comporterebbe un aumento di solo l’1% del rischio connesso alla trasmissione del coronavirus rispetto alla normale attività respiratoria a riposo” – afferma Polosa.  

Sia l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che il CDC, il Centro per il Controllo della Prevenzione e Malattie statunitense, hanno da tempo riconosciuto il ruolo che le goccioline di saliva emesse durante qualsiasi attività respiratoria hanno nella trasmissione del Covid-19. I ricercatori del CoEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania, si sono spinti oltre e grazie alla collaborazione con l’Istituto di Scienze Nucleari di Città del Messico e la Myriad Pharmaceuticals di Auckland hanno valutato la possibilità che le goccioline emesse da uno svapatore infetto durante l’esalazione dell’aerosol delle sigarette elettroniche possano aumentare il rischio di contagio.  

Il metodo

Mancando dati specifici relativi all’emissione di microparticelle nel vaping, sono stati presi come modello i dati di esalazione del fumo delle sigarette convenzionali: i fumatori solitamente espirano una miscela di fumo e aria con un volume del 30-40% maggiore del normale volume respiratorio a riposo. Sono stati utilizzati come parametri la quantità di sbuffi prodotta in media durante lo svapo, le dimensioni delle goccioline emesse, la temporalità limitata dell’azione e i dati sulla carica virale del Covid-19 e gli altri parametri di infezione per procedere a valutare il tasso di rischio considerando lo scenario classico di una abitazione o di un ristorante con normale ventilazione. 

Conclusioni

Nello studio sono stati valutati due diverse tipologie di scenario: sia abitazioni private che luoghi pubblici, chiusi e all’aperto. Lo scenario “casa” ha inciso moltissimo per la propagazione del virus: vivere in maniera rilassata la propria abitazione senza precauzioni ovviamente aumenta le probabilità di contagio. In tal caso, svapare non comporta significativi aumenti del rischio, in presenza di comportamenti, come il vivere insieme o il parlare, che comportano rischi maggiori.

L’altro scenario considerato è quello dei luoghi chiusi, con una sufficiente ventilazione naturale e meccanica: in presenza di tutte le norme di prevenzione, il vaping comporta solo l’1% di rischio aggiunto. Inoltre la possibilità di vedere il fumo emesso grazie allo svapo permette di visualizzare concretamente gli sbuffi e, nel caso, evitarli: molto più sicuro che attività quali il parlare o il tossire.

Studiare e comprendere quale sia il ruolo delle diverse attività respiratorie nella trasmissione del virus è di fondamentale importanza per migliorare le strategie dirette al contrasto della diffusione dell’infezione e per informare correttamente la popolazione – ha concluso il Prof. Riccardo Polosa – ciononostante sebbene lo svapo rappresenti un rischio di contagio irrisorio è comunque vitale il distanziamento sociale e le buone regole di comportamento contro il Covid19”.

Link: https://www.mdpi.com/1660-4601/18/4/1437/htm

Perché il Tobacco Harm Reduction deve cambiare per cambiare?

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Quando si tratta di descrivere la riduzione del danno da fumo ed i suoi limiti le domande principali da porsi sono sempre le stesse. Cosa è andato storto nell’attuazione delle politiche di sanità pubblica nel mondo? Perché esiste una feroce opposizione globale contro le sigarette elettroniche quando invece potrebbero potenzialmente arginare il vizio del fumo attraverso soluzioni più sicure?

La risposta non è né facile né diretta come sembra.

La situazione attuale

Mancanza di informazioni, opposizione irragionevole da parte dei governi, pesanti interventi statali sulla regolamentazione e controllo del settore collegato al tabacco. Questi alcuni dei motivi per cui negli ultimi anni le politiche da riduzione del danno causato dal fumo di sigaretta ha fallito nella sua implementazione, nonostante la disponibilità di alternative più sicure al fumo come le sigarette elettroniche.

Disinformazione

Soprattutto, sembra che i politici non abbiano ancora capito i prodotti che stanno cercando di regolamentare. Ciò è dovuto alla mancanza di esperienza e di competenza da parte dei giornalisti nell’interpretare le informazioni scientifiche? Oppure è la conseguenza della mancanza di volontà da parte delle istituzioni pubbliche e private che li informi o che offra formazione agli addetti ai lavori su come estrapolare i dati?

Di certo un ruolo fondamentale è stato svolto negli ultimi anni dalle Unità di comunicazione, che hanno agito come censure presso i media e hanno rotto il ponte tra esperti e stampa che fino a poco tempo fa agiva in maniera efficiente.

Un altro punto importante da sottolineare è il problema di comunicazione tra gli scienziati e l’altro capo della linea, ovvero il grande pubblico.

Come sottolineato da Giovanni Li Volti, Direttore del CoEHAR, “la sfida è riuscire a fornire gli strumenti per comprendere la ricerca scientifica a giornalisti e pazienti per veicolare informazioni chiare e comprensibili sulle questioni sanitarie alla società.”

Pregiudizi da parte dei governi

Anche l’approccio che separa rigidamente il settore del tabacco e consumatori in due diverse categorie invece di considerarli nel loro insieme ha peggiorato il problema invece di risolverlo. Demonizzare la nicotina senza offrire alcuna soluzione ai fumatori si è dimostrato negli anni un vicolo cieco, e limita qualsiasi politica di sanità pubblica che cerchi di alleviare il peso delle malattie legate alla salute del fumo sui sistemi sanitari nazionali.

Nonostante il settore delle sigarette elettroniche abbia il più alto tasso di sviluppo nella ricerca e nell’efficienza di tali dispositivi, la società vede ancora come potenzialmente pericoloso tutto ciò che proviene dall’industria del tabacco. Questo nonostante studi scientifici dimostrino chiaramente come la nuova generazione di sigarette elettroniche sia molto più sicura delle tradizionali sigarette combustibili.

Intervento statale sulla salute personale

Un altro grosso problema che potrebbe portare ad un disastro nel lungo periodo è il controllo pervasivo da parte delle autorità sul consumo di tabacco, senza considerare i diritti dei consumatori. Finora l’equilibrio tra il diritto dell’individuo e il benessere sociale è stato posto tutto in favore di quest’ultimo, senza dare alcuna possibilità ai consumatori di decidere cosa è nel loro migliore interesse.

A tredici anni dalla commercializzazione della prima sigaretta elettronica vi è ormai un segmento della società a cui piace ed è ormai abituata allo svapo. I governi devono tenerne conto quando si tratta di divieti e regolamentazione.

Come Harry Shapiro – giornalista britannico ed editore esecutivo del rapporto Global State of Tobacco Harm Reduction – ha suggerito durante un recente dibattito: “le persone dovrebbero avere la possibilità di prendersi cura della propria salute al di fuori dell’intervento statale.”