venerdì, Giugno 6, 2025
Home Blog Pagina 31

Charles Gardner: “Per cambiare l’approccio della riduzione del danno bisogna sottolineare gli aspetti positivi della nicotina”

0


Differenti narrazioni, conclusioni diametralmente opposte sugli effetti delle sigarette elettroniche e della nicotina sul corpo umano, scelte controverse da parte dei legislatori. Tutti elementi che hanno spinto molti consumatori a perdere la fiducia nei governi, nelle istituzioni internazionali e negli scienziati riguardo i prodotti da cessazione da fumo.

Cosa è andato storto? Perché esiste una difficoltà di fondo per il pubblico a trovare una informazione corretta e coerente per quanto riguarda le sigarette elettroniche e, in generale, tutti quei dispositivi di rilascio di nicotina alternativi alla sigaretta convenzionale?

Liaf Magazine intervista Charles Gardner, esperto di lunga data in comunicazione istituzionale, Segretario Generale e Amministratore Delegato della Rete internazionale delle organizzazioni dei consumatori di nicotina (INNCO), ONG internazionale che supporta e rappresenta i diritti di oltre novanta milioni di svapatori in trentacinque paesi.

Mr Gardner, perché esiste un “gap informativo” tra una parte di comunità scientifica e i consumatori quando si tratta di Riduzione del Danno da Tabacco?

Ci sono differenti ragioni dietro questo fenomeno. Il primo è la lotta durata oltre quarant’anni contro le multinazionali del tabacco, che negli scorsi decenni hanno influenzato pesantemente la ricerca scientifica al fine di instillare una “teoria scientifica del dubbio” riguardo la tossicità dei loro prodotti. Questo ha giustamente prodotto una narrazione che ha demonizzato fortemente l’utilizzo della nicotina è ha screditato la credibilità di qualsiasi informazione proveniente dall’industria del tabacco.

Oggi, tuttavia, non è più così poiché anche all’interno di questa industria si è capita l’importanza della riduzione del danno.

Un secondo aspetto riguarda la scarsa conoscenza di una parte della comunità scientifica riguardo i dispositivi alternativi alla sigaretta convenzionale e le false credenze, prive di evidenze, che la nicotina sia la causa di cancro e delle malattie polmonari.

Un ultima considerazione da fare sul perché il grande pubblico non sia informato abbastanza riguardo la Riduzione del danno da Tabacco va ricercata sulla informazione parziale che ricevono dalle Istituzioni Pubbliche a proposito dei benefici e rischi dei prodotti alternativi alle sigarette convenzionali, nonostante questi dati siano ormai assodati da molte ricerche.

Tutti questi elementi, messi insieme, impediscono agli utenti finali non solo di poter fare una scelta informata ma anche, in conclusione, di poter smettere di fumare.

Comunicazione e politica (vedi istituzioni internazionali e pregiudizi di alcuni governi) sono troppo spesso indissolubilmente legate: quali sono le possibilità che questa situazione possa essere modificata a beneficio di tutti?

Secondo la mia esperienza quando si creano delle evidenze scientifiche allo stesso tempo si crea anche politica. Così come la ricerca scientifica, anche le politiche legate ad essa dovrebbero cambiare e migliorare, diventando molto più efficienti nel corso del tempo. Tuttavia, quello che ho imparato negli ultimi tre anni è l’esatto contrario poiché per cambiare l’approccio ad una determinata politica devi prima cambiare la percezione dell’opinione pubblica. Tutto questo può essere fatto attraverso la combinazione di prove scientifiche, storie personali, e dimostrazioni pratiche.

Questo è quello che è successo nei tre decenni in cui si sono sviluppate le politiche di riduzione del danno da droghe: l’adozione del metadone come terapia alternativa per le persone dipendenti da eroina o l’introduzione della cannabis legale per specifiche patologie. Allo stesso modo, anche la nicotina ha delle proprietà benefiche di cui non si parla e di cui si dovrebbe discutere con il grande pubblico al fine di trovare, come avvenuto per altre sostanze, un utilizzo positivo. La nicotina infatti si è dimostrata efficace nel prevenire il Parkison e la demenzia con relativamente bassi rischi per la salute. Sono sicuro che le sigarette elettroniche e gli altri dispositivi di rilascio di nicotina senza combustione saranno adottati infine da governi e istituzioni pubbliche. E’ solo una questione di tempo.

Perchè nonostante l’80% dei fumatori globali sia concentrato in paesi a basso e medio reddito le istituzioni internazionali continuano a negare od ostacolare lo sviluppo di politiche di riduzione del danno in queste nazioni?

Le politiche di riduzione in tali paesi sono ancora in una fase iniziale nonostante ogni anno si hanno milioni di morti causate dal fumo. Centinaia di milioni di persone in questi paesi continuano ad assumere nicotina nella forma più tossica, ovvero attraverso sigarette combustibili o altri prodotti a base di tabacco. La nicotina è presente e, nonostante divieti e restrizioni, il problema della dipendenza non andrà via facilmente in questi paesi. L’idea paternalistica alla base dell’approccio da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per cui questi paesi non sono pronti per la regolazione di questi prodotti, è assolutamente fuori luogo e non risolverà il problema.

C’è qualche buona pratica che i ricercatori dovrebbero seguire al fine di fornire informazioni scientifiche che siano non solo accurate ed efficaci, ma anche capaci di raggiungere i governi ed i consumatori?

La mia esperienza lavorativa mi ha portato a collaborare con numerosi ricercatori in Africa, Asia, America Latina, su studi condotti per malattie come HIV, malaria, febbre dengue, rabbia, malattie nei bambini e denutrizione. Quello che organizzavo come prassi era l’istituzione di un ufficio di comunicazione all’interno del budget per quel progetto da affiancare alla ricerca pura. Sfortunatamente, molti scienziati hanno l’abitudine di pensare che una volta completata e poi pubblicata la ricerca il loro lavoro sia terminato. La creazione di questo ufficio era quello di organizzare conferenze e meeting che mettessero i ricercatori in grado di “portare fuori” il loro lavoro e raggiungere quante più persone possibili e non solo gli addetti ai lavori. Questo è importante da sottolineare: gli scienziati sono estremamente bravi a comunicare tra di loro ma non abbastanza da raggiungere il grande pubblico. Un linguaggio semplice e chiaro è quello che ci vuole quando bisogna spiegare le proprie ricerche e conclusioni al maggior numero di persone.

La malsana abitudine di fumare prima di dormire

0

Il regista Ferzan Ozpetek nel suo film “La finestra di fronte“ in alcune scene evidenzia la protagonista, Giovanna Mezzogiorno, intenta a fumare prima di andare a dormire guardando proprio la finestra del palazzo di fronte, sognando Raul Bova, l’altro protagonista del film.

La scena si ripete con lei che dopo che fuma spegne la sigaretta nel lavandino della cucina, un abitudine presente in molti tabagisti, accompagnata da quella di fumare prima di dormire.

Fumo e alcol sono da considerarsi i peggiori nemici del riposo notturno.  

Diversi studi hanno dimostrato che la durata del sonno viene ridotta di quasi un’ora, la nicotina essendo stimolante non aiuta in questo processo, anzi, lo peggiora.

Far passare un paio d’ore e sostituire questa malsana abitudine, con un bel bagno rilassante e ovviamente l’intenzione di smettere di fumare, nonostante sia risaputo che l’astinenza da nicotina provochi insonnia e difficoltà ad addormentarsi. Ma questo è solo temporaneo, gli effetti positivi della cessation si vedono già solo dopo una settimana. Soprattutto le donne 40 enni e over 50, che così non rischiano di sviluppare 25 anni dopo, insonnia, dovuta alla quantità e al tipo di sigarette fumate.

L’Associazione Italiana Medicina del Sonno ha rimarcato l’impatto del fumo sull’apparato respiratorio e come l’apnea morfeica ostruttiva possa determinare una pessima qualità del sonno, con microrisvegli e sensazione di soffocamento, dovuta ad una carente aria inspirata.

Attraverso un elettroencefalogramma si è documentata una continua irritazione dei tessuti del cavo orale e nasale, che gonfiandosi inibiscono il flusso d’aria in entrata e rendono i fumatori in una fase di sonno più leggera rispetto a chi non fuma.

Questo vizio abitudinale che ci fa svegliare anche a notte fonda, ci rende schiavi di un rituale che si può interrompere con uno sforzo di volontà, non fumando quando ci si sveglia, passando poi a destarsi e rigirarsi nel letto, alzarsi solo un attimo, fino a quando si riposerà bene non svegliandosi più e soprattutto non sentendo il bisogno di fumare, i nostri polmoni hanno bisogno di rilassarsi, almeno la notte!

Perché la scelta di Biden a favore dell’Harm Reduction per i tossicodipendenti apre nuovi scenari nella lotta al tabagismo?

0

Che un cambio di rotta fosse già nell’aria si era intuito fin dalle prime dichiarazioni del neo-presidente Joe Biden. Adesso, però, è realtà. Per la prima volta nella storia del Paese il Congresso statunitense ha stanziato fondi specifici per programmi di Harm Reduction tesi alla protezione dei tossicodipendenti. Un risultato storico accelerato dalla pandemia, che negli Stati Uniti ha visto un aumento esponenziale dei casi di morte per overdose.

Programmi di assistenza ai tossicodipendenti sono da sempre sotto attacco da differenti fronti interni alla società americana, e hanno limitato negli ultimi decenni qualsiasi tentativo di implementazioni di tali politiche.

Il Presidente statunitense Joe Biden è stato il primo inquilino della Casa Bianca ad aver fatto delle politiche di riduzione del danno una priorità sul fronte delle droghe e tossicodipendenze.

L’American Rescue Act include 30 milioni di dollari specificatamente per la Riduzione del Danno e sebbene sia una somma limitata di denaro, racchiude un significato altamente simbolico per il futuro. Ma soprattutto è un cambio di mentalità che modifica le basi su cui fino ad ora si è affrontato il problema.

Da un approccio repressivo si passa ad uno di supporto: chi fa uso di droghe non viene criminalizzato a priori ma aiutato e supportato per un percorso di riabilitazione.

Una linea di pensiero che si rispecchia in maniera più ampia per tutta una serie di dipendenze tra cui quella dalla nicotina e, in particolare, per i tabagisti affetti da disturbi mentali.

Un contesto nella quale si inserisce il progetto Genesis, coordinato dal prof. Pasquale Caponnetto dell’Università degli Studi di Catania, che cercherà di aiutare i fumatori affetti da schizofrenia a smettere di fumare dando loro supporto con alternative meno dannose rispetto alla sigaretta convenzionale.

Le sigarette elettroniche negli ultimi anni hanno continuato ad aumentare in popolarità e consenso tra tutti quei fumatori che cercano alternative più sicure alla sigaretta tradizionale.

Mentre la sicurezza di questi dispositivi è migliorata notevolmente dalla loro introduzione sul mercato più di 10 anni fa, anche il numero di studi che esaminano l’efficacia di questi prodotti come alternative meno dannose alla sigaretta convenzionale è corposo.

In differenti studi, il prof. Pasquale Caponnetto ha evidenziato come le persone affette da schizofrenia sono maggiormente dipendenti dall’assunzione di nicotina e dall’abitudine al fumo (arrivano a fumare fino a 60 sigarette al giorno) e riscontrano conseguenze molto più gravi.

Nonostante la difficoltà ad inquadrare le motivazioni sottointese alla maggiore incidenza, Caponnetto ha più volte evidenziato come il passaggio a strumenti alternativi, come le sigarette elettroniche, rappresenti per questi pazienti una soluzione meno dannosa per ridurre i danni fumo correlati e per migliorare la loro qualità di vita.

I progressi nella riduzione della prevalenza del fumo nelle persone con diagnosi di salute mentale sono state negli anni molto più lenti rispetto a quelle della popolazione generale.

In primo luogo, perché nelle persone con schizofrenia le conseguenze psicosociali derivanti dalla cessazione del fumo sono molto più accentuate, sfociando in una recidività maggiore. Ma anche e soprattutto perché le strategie di sanità pubblica tese a limitare l’incidenza del fumo tra la popolazione non sono altrettanto efficaci tra le persone con disturbi mentali.

La decisione del Presidente Joe Biden, seppur simbolica, apre nuovi scenari a livello internazionale che possono apportare benefici non solo a chi soffre di dipendenze da droghe, ma anche per i centinaia di milioni di fumatori in tutto il mondo che cercano di smettere di fumare non trovando adeguate politiche di supporto.

Pfizer: sospesa la pillola antifumo Chantix

0

L’azienda farmaceutica Pfizer ha sospeso in tutto il mondo la distribuzione della pillola antifumo Chantix e ha ritirato alcuni lotti dopo aver scoperto che contenevano livelli elevati di un probabile cancerogeno.

A richiedere i test per determinare se alcuni lotti contengano quantità elevate di nitrosammine, l’agente cancerogeno incriminato, è stato l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, Food and Drug Administration.

Chantix: cos’è?

Chantix è un farmaco su prescrizione che è stato approvato dalla FDA nel maggio 2006 e che aiuta gli adulti di età pari o superiore a 18 anni a smettere di fumare. Il farmaco impiegato nei percorsi di smoking cessation, in genere viene utilizzato per 12-24 settimane. Le entrate globali del farmaco sono diminuite del 17% a $ 919 milioni nel 2020 poiché i limiti del COVID-19 hanno ostacolato la domanda e la società ha perso la protezione dei brevetti negli Stati Uniti a novembre. Pfizer ha affermato che la pausa nella distribuzione è dovuta all’abbondanza di cautela e in attesa di ulteriori test.

Anche perché: “I benefici di un farmaco come Chantix superano i rischi potenziali che sono bassi, se presenti, rispetto a quelli posti dall’esposizione alla nitrosamina da vareniclina oltre ad altre fonti comuni nel corso della vita”, ha dichiarato il portavoce di Pfizer, Steven Danehy.

Infatti, quanto alle nitrosammine, le stesse si possono trovare in componenti naturali degli alimenti, come le birre e i salumi o i formaggi, e possono generarsi da pratiche culinarie come la frittura e l’arrostimento.

In attesa di ulteriori chiarimenti, le confezioni giacenti presso le farmacie dovranno essere predisposte per il ritiro.

Fumare il mozzicone? In Nuova Zelanda è allarme

0

In Nuova Zelanda, un articolo pubblicato dalla rivista Herald ha denunciato la tendenza di riutilizzare il tabacco di scarto avanzato nei mozziconi di sigaretta.

Una pratica connessa all’innalzamento dei prezzi del fumo, che nella terra dei Kiwi raggiungono il secondo posto nella classifica dei più cari al mondo, secondi solo a quelli australiani.

Abitudine che implica insidie non indifferenti in termini di salute: nel tabacco avanzato, infatti, molto spesso sono presenti le tossine prodotte dalla combustione.

In periodi economici sfavorevoli, questa forma distorta di riciclo è connessa a situazioni sociali svantaggiose, a una scarsa educazione e alla mancanza di un impiego, rappresentando un comportamento tabagico spesso poco conosciuto e studiato.

Nel 2013, il Cancer Institute of New Jersey pubblicava uno studio su un campione di 496 pazienti, il 46% dei quali riportava di riaccendersi le sigarette avanzate o di riutilizzarne il tabacco. Una decisione che, secondo i ricercatori, aumenta le possibilità di sviluppare cancro ai polmoni e bronchiti.

Tra gli intervistati neozelandesi, molti ammettono di ricorrere a questa pratica per impossibilità di sostenere i prezzi elevati dei pacchetti, ammettendo che, di fronte alla scelta se comprare cibo sano o un pacchetto, preferirebbero la sigaretta.

Una situazione che illustra molto bene quanto la scelta di alzare la tassazione sui prodotti del tabacco non crei una soluzione nel lungo periodo, ma agisca a sfavore sopratutto dei substrati sociali più poveri, dando luogo ad atteggiamenti e pratiche malsane.

Prevenzione ed educazione sono le armi che possono creare un cambiamento duraturo nella scelta di accendere o meno una sigaretta: ad oggi, politiche di cessazione efficaci favoriscono l’accesso a soluzioni alternative e meno dannose, veicolando contemporaneamente una corretta informazione sui danni del fumo.

Vaping e disinformazione: quando l’informazione scientifica incontra la politica

0
Lung Cancer. Doctor check up x-ray image have problem lung tumor of patient.

Contrordine per tutti consumatori. Non vi è nessuna associazione tra lo svapare ed avere maggiori probabilità di contrarre il Covid-19. A dirlo uno studio dell’autorevole Mayo Clinic che ha analizzato un campione di 70 mila pazienti in base al loro consumo di differenti prodotti a base di nicotina. L’obiettivo, rilevare se e quali tipi di tabacco potevano portare ad un maggiore rischio di contrarre un infezione da SARS-CoV-2.

Risultato, oltre a non trovare nessuna associazione tra vaping e aumento delle probabilità di contrarre il virus, lo studio ha evidenziato come i fumatori siano risultati meno esposti al rischio di infezione da Covid-19, inclusi gli utilizzatori di sigarette elettroniche. Un ottima notizia, che capovolge totalmente la narrazione portata avanti durante la prima fase della pandemia, quando eminenti testate internazionali come il New York Times, USA Today, e la stessa CNN pubblicavano a suon battente come l’utilizzo delle sigarette elettroniche potesse aumentare le probabilità di contagio.

Eppure, il danno era già stato fatto. Lo scorso anno si è infatti assistito ad un drastico calo nelle vendite – e quindi nell’adozione di alternative maggiormente sicure- delle sigarette elettroniche a causa di notizie incontrollate e poco veritiere.

Lo studio indicato inizialmente, e che ha provocato questa ingiustificata ondata di paura, è quello prodotto dall’Università di Stanford, e pubblicato sul Journal of Adolescent Health. La ricerca indicava come il campione di 4.351 persone di età compresa tra 13 e 24 anni che utilizzavano abitualmente sigarette elettroniche avessero “una probabilità cinque volte maggiore di avere una diagnosi positiva da COVID-19.”

Nonostante le buone intenzioni dello studio (si era in una fase iniziale della pandemia e con poche ed incerte informazioni riguardo il virus) non sono stati pochi gli scienziati che hanno criticato il campione relativamente piccolo e altamente sotto-rappresentativo della popolazione totale. Tra questi, il Prof. Riccardo Polosa, fondatore del Centro di Eccellenza per l’Accelerazione della Riduzione del Danno da Fumo (CoEHAR) dell’Università di Catania che in un tweet dello scorso Marzo rispondeva al Sindaco di New York De Blasio che supportava le conclusioni della ricerca di Stanford.

Il Sindaco di New York afferma che fumare o svapare aumenta le possibilità di avere sintomi gravi da Coronavirus. Ma dove sono le prove? Bisogna smettere di mettere sullo stesso livello il fumo tradizionale con lo svapo. Metti i fatti in ordine, sindaco.

In quell’occasione, il Prof. Polosa andava dritto al punto affermando la mancanza di basi scientifiche a supporto delle dichiarazioni di De Blasio. Le successive ricerche condotte da differenti istituti di ricerca hanno poi confermato le parole dello scienziato catanese.

“Sebbene sia stato dimostrato come il fumo aumenti la suscettibilità alle infezioni respiratorie da agenti patogeni batterici e virali e smettere di fumare sembra ridurre il rischio di infezione respiratoria, lo stesso non si applica allo svapo” aveva aggiunto Polosa durante il suo intervento.

Una recente ricerca statunitense ha confermato come gli studi che non possono essere replicati e quindi con scarsa attendibilità sono citati 153 volte in più rispetto a quelli più autorevoli. Il motivo starebbe nella maggiore capacità di attirare l’attenzione dei lettori.

Sempre secondo lo studio californiano, le ragioni alla base di questa tendenza sarebbero anche la pressione esercitata su giornali e giornalisti nel pubblicare risultati interessanti, situazione che si ripercuote anche per gli accademici in cerca di fondi e prestigio.

India e Riduzione del danno da Tabacco: una difficile sfida

0

La professoressa Sree Sucharitha del Tagore Medical College Hospital di Chennai discute con Liaf Magazine l’attuale situazione della Riduzione del danno in India.

Con 120 milioni di fumatori e 1,35 milioni di persone che muoiono ogni anno a causa del tabacco, l’India rappresenta la sfida più difficile nella lotta alla dipendenza da nicotina a livello mondiale. Ma anche un’opportunità per sperimentare politiche e strumenti efficaci per l’adozione della Riduzione del danno nei Paesi a basso e medio reddito.

In India il fumo è la prima causa di morte prematura ed è profondamente intrecciato con la religione, la cultura e la società. Come secondo maggior consumatore di prodotti a base di tabacco a livello globale, il consumo nel Paese include prodotti senza fumo come il khaini, gutkha, betel quid con tabacco e zarda.

Nel 2010, il Ministero della salute e del benessere della famiglia (MHFW) ha lanciato il programma nazionale di controllo del tabacco per facilitare l’attuazione delle leggi anti-fumo e per adempiere agli obblighi previsti dai quadri dell’OMS-FCTC.

Nel paese è infatti vietato fumare nei luoghi pubblici e in posti di lavoro come scuole, strutture governative e di trasporti. La pubblicità attraverso i mass media è vietata così come la sponsorizzazione delle sigarette. La legge vieta anche la vendita di sigarette tramite distributori automatici in prossimità di scuole.

Tuttavia, nonostante le rigide normative e divieti, l’elevata tassazione, l’accesso restrittivo a determinati prodotti correlati al tabacco, il consumo di sigarette non ha registrato un calo significativo negli ultimi anni.

Gli esperti e i sostenitori della riduzione del danno da tabacco hanno chiesto al governo una strategia diversa basata su alternative meno dannose alle sigarette convenzionali. Questo per alleviare il carico sul sistema sanitario nazionale e proteggere le fasce più deboli della popolazione, che sono anche i maggiori consumatori.

“Le popolazioni vulnerabili come i migranti e le minoranze non si riflettono adeguatamente nelle politiche sul tabacco e la riduzione del danno diventa ancora una volta una scelta salvavita per questi gruppi sociali”, ha spiegato Sree Sucharitha, professore presso il Dipartimento di Medicina di Comunità presso il Tagore Medical College Hospital di Chennai, ed esperta in riduzione del danno.

Il dibattito sulle Ecig ed, in particolare, sul diritto dei fumatori ad avere alternative più sicure alla sigaretta tradizionale non si limita solo a una questione di salute pubblica ma si inserisce in un più ampio dibattito di giustizia sociale per i paesi più poveri. La maggior parte dei fumatori è infatti concentrata nei paesi a basso e medio reddito.

L’80% dei fumatori vive nel sud-est asiatico, in Africa, nel Medio Oriente e nell’area del Mediterraneo. In paesi come Cina, India e Indonesia, i fumatori rappresentano il 46% del numero globale. In queste regioni, la mortalità per fumo è anche la più alta al mondo.

Priorità sulle politiche sanitarie nazionali che, secondo molti osservatori, potrebbero essere influenzate da quello che viene comunemente definito “colonialismo filantropico occidentale”.

“Ci sono molti report che hanno portato all’attenzione del grande pubblico il ruolo del coinvolgimento filantropico occidentale nell’influenzare le politiche sanitarie nazionali per il tabacco, in particolare nei Paesi a basso e medio reddito. Riconosciamo il bisogno di ulteriori indagini e discussioni sul ruolo dannoso svolto da questi attori non statali nel aumentare le disparità di accesso alla sanità” ha affermato Sucharita.

Gli sforzi di prevenzione, controllo e cessazione sono stati finora i pilastri delle strategie per ridurre l’incidenza dei fumatori nel paese, lasciando fuori dalla porta tutte quelle politiche di riduzione del danno. Negare tali politiche nelle scelte sanitarie nazionali rappresenta però un irragionevole pregiudizio verso strumenti che potrebbero potenzialmente avere un forte impatto sulla strategia di salute pubblica.

“La mancanza di visibilità e di articolazione della riduzione del danno tra le politiche sanitarie riflette una forte inclinazione verso i pilastri della prevenzione, del controllo e della cessazione piuttosto che l’accettazione della riduzione del danno come una strategia di prevenzione pubblica. Dobbiamo cambiare l’approccio del governo ed espandere le politiche di Riduzione del Danno da Fumo al più presto,” ha sottolineato la Professoressa Sucharitha.

Il cocco, la frutta che ci aiuta a smettere di fumare

0

È il simbolo dell’estate, con il suo guscio marroncino e la sua polpa bianca. Parliamo del cocco o cocos nucifera, una pianta che appartiene alla famiglia delle palmaceae, tipica dei paesi tropicali, dove viene anche chiamata “albero della vita“, con la fama di essere una delle dieci piante più utili per il sostentamento dell’uomo.

In Europa questo frutto si conosce solo dopo la scoperta dell’America, ed è molto apprezzato anche per l’acqua, l’olio e il latte di cocco.

La prima è un potente integratore di sali minerali, ricca di antiossidanti contrastando l’azione pro-ossidante del fumo, bilancia il livello della pressione sanguigna, aumenta il metabolismo dando un senso di sazietà e assorbe il glucosio nel sangue evitando ci si depositi. Favorisce la diuresi ottimizzando il lavoro dei reni, purificando così la vescica ed eliminando tossine, scorie e il sale in eccesso.

L’olio di cocco, invece, favorisce l’aumento dei livelli di colesterolo buono, contrastando quello cattivo, rafforza il sistema immunitario, aiuta a controllare il peso, combatte l’herpes labiale è un idratante naturale.

Dai molteplici usi viene estratto dalla palma del cocco, pianta che può vivere fino a 100 anni.

Per disintossicarsi dal fumo di sigaretta e rimettersi in forma seguire una dieta più vegetariana, per rallentare lo smaltimento della nicotina dall’organismo, il latte di cocco vegetale è un ottimo alleato, una valida alternativa al latte vaccino, ha un effetto preventivo sul rischio di contrarre malattie cardiovascolari. Contiene vitamina C ed E apporta, inoltre minerali, quali selenio, antiossidante e regolatore delle funzioni tiroidee, acido laurico, potassio e magnesio utili per la corretta funzionalità di cuore e circolazione cardiaca, proteggendo i vasi sanguigni.

Ma tutti, soprattutto, conosciamo la polpa del cocco fresca, croccante e succulenta, contenente carboidrati, fibre, zuccheri, sali minerali, vitamine, aminoacidi e proteine. Il tutto per un apporto calorico di circa 350 calorie per 100gr.

Da sgranocchiare sotto l’ombrellone, ora ne conosciamo le virtù e le innumerevoli proprietà, per uno stile di vita più sano e naturale…cocco bello a tutti!

Leggi anche: Le ciliegie, la frutta che ci aiuta a smettere di fumare

Genitori italiani a LIAF: dire “smetto quando voglio” non è realistico

0
AGe giovani

Sentirsi parte di un gruppo, avere un assaggio di qualcosa di proibito: il vizio del fumo è subdolo e, nel corso dell’ultimo decennio, ha trovato sempre più adepti tra i giovanissimi.

Soprattutto negli anni ’80 e ’90, la simbologia ricorrente associata alla sigaretta identificava il fumo come tipico del mondo degli adulti, un atteggiamento che immediatamente garantiva il raggiungimento di uno status symbol.

Un trend che, negli ultimi anni, ha portato l’età media dei ragazzi che provano per la prima volta a fumare ad abbassarsi ulteriormente: secondo i dati della rilevazione HBSC-Italia del 2018, promossa dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS, circa uno studente su cinque tra i 13 e i 15 anni di età ha fumato più di una sigaretta nel corso del mese precedente l’indagine.

A 15 anni si rileva una spiccata differenza di genere, con il 31,9% delle ragazze intervistate che fuma rispetto al 24,8% dei ragazzi.

Le motivazioni che spingono i ragazzi a provare sono riconducibili alla necessità, in fasi delicate come la preadolescenza e l’adolescenza, di superare quel senso di non appartenenza, quella difficoltà di relazione e interazione che molto spesso si sperimenta nel periodo transitorio di passaggio all’età adulta.

E per quanto riguarda l’acquisto di un pacchetto, il limite di età minimo consentito dalla legge non sembra essere un problema: circa il 15% degli intervistati è riuscito ad acquistare le sigarette al distributori automatici, mentre il 68% degli stessi ammette di aver comprato le sigarette presso i tabaccai.

Non serve uscire di casa per trovare una sigaretta: molti giovani vengono esposti al fumo passivo anche all’interno delle mura domestiche. L’abitudine al fumo degli adulti di casa, inoltre, garantisce che i ragazzi abbiano accesso alle sigarette facilmente: e pensare che nel nostro apparato normativo l’istigazione viene sanzionata o punita.

Ma come approcciarsi nei confronti di un figlio che fuma?

Sicuramente non attraverso il divieto: meglio un approccio più fondato sul dialogo e sulla percezione dei rischi connessi al fumo, magari sfruttando attività come il gaming e la realtà virtuale per aumentare l’impatto dialogico.

Per meglio comprendere che relazione intercorre tra giovani e fumo anche all’interno del contesto famigliare, abbiamo intervistato Rosaria D’Anna, Presidente Nazionale AGe, Associazione Genitori italiani.

Rosaria D’Anna, Presidente Nazionale AGe

Che dati possediamo in merito alla diffusione del fumo tra i giovani italiani?

Dai dati in nostro possesso, recepiti durante la Giornata Mondiale contro il tabacco, l’approccio alla prima sigaretta è sceso ulteriormente in termini di età , ben al di sotto dei 18 anni. È un dato preoccupante perché l’approccio medio in molti casi avviene a partire dai 12 anni.

Quali sono i fattori di rischio che aumentano le probabilità di approccio?

Innanzitutto, credo che in generale si sia abbassata la guardia: nelle scuole si avviavano progetti di prevenzione che informavano sui pericoli connessi al tabagismo. Adesso percepisco una vera e propria mancanza di campagne educative all’interno delle scuole. Noi privilegiamo l’approccio educativo rispetto al mero divieto: inutile vietare senza instillare nei ragazzi la consapevolezza che stanno approcciando un atteggiamento molto dannoso. Grazie al confronto con pediatri e medici, abbiamo rilevato che il fumo è strettamente connesso a problematiche relative allo sviluppo, se si accende la prima sigaretta troppo presto.

Quali azioni si potrebbero implementare per evitare che i ragazzi inizino a fumare, anche all’interno del contesto famigliare?

La famiglia dovrebbe essere il primo esempio, cercando di sviluppare un dialogo costruttivo per evitare le problematiche che abbiamo individuato. Dal nostro punto di vista, inoltre, non basta mettere semplici foto sui pacchetti di sigaretta: servono campagne preventive serie, iniziando sin dalle scuole medie. Gli adolescenti provano per sentirsi grandi, ma più vanno avanti più si ritrovano ad essere prigionieri di un vizio. Dovremmo iniziare con campagna preventive e di sensibilizzazione: senza un’opportuna consapevolezza dei pericoli della dipendenza non possiamo creare un cambiamento significativo. Non sarebbe quindi meglio educare prima piuttosto che trovarci con un problema più grande dopo?

Che invito si sente di rivolgere ai ragazzi?

Credo, per quanto mi riguarda, che i ragazzi prima di approcciare le sigarette dovrebbero essere più consapevoli delle conseguenze a lungo termine e della difficoltà di smettere. Molti pensano di poter smettere quando vogliono, in realtà quando si fuma si sviluppa sin da subito una dipendenza con gravi conseguenze a livello di salute.

Come mamma e come Presidente posso dire questo: non approcciate, nemmeno per scherzo, pensando di riuscire a smettere quando volete, perché non è cosi”.

Stato del Maryland: quando anche lo svapo diventa un atto discriminatorio

0

Ocean City (Stato del Maryland) – Il caso Black Lives Matter torna al centro delle mobilitazioni mediatiche a causa di un agente di polizia che usa il teaser su un adolescente per imporre il divieto di svapo.

A un anno dalla morte dell’afroamericano George Floyd, un altro incidente ripreso in video è diventato subito virale sui social.

Adrienne A. Jones, portavoce del partito democratico nel Maryland, ha dichiarato:

“Il video di questo fine settimana a Ocean City è profondamente inquietante. Svapare sul lungomare non è un reato penale. Nessun adolescente dovrebbe essere tasato mentre le loro mani sono alzate. Gli ufficiali non dovrebbero inginocchiarsi sulla schiena di un minore. Lo svapo non dovrebbe condurre ad un atto razziale né discriminatorio”.

Dalle dichiarazioni della città di Ocean City, si evince che i codici locali vietano lo svapo e il fumo in quel tratto, e che un gruppo di adolescenti ha rispettato i comandi originali degli ufficiali per smettere di svapare mentre si trovavano lungo la strada, hanno detto i funzionari. Ma mentre si allontanavano, un ragazzo del gruppo ha ricominciato a svapare, portando a un altro scontro, secondo la dichiarazione della città.

L’episodio non sembrerebbe l’unico, altri video testimoniano che quanto accaduto nei giorni precedenti è quello che sta accadendo spesso sul lungomare di Ocean City. Tre video di due incidenti, avvenuti sabato 12 giugno e domenica 6 giugno, hanno iniziato a circolare sui social media durante il fine settimana, suscitando indignazione. Almeno quattro diciannovenni sono stati arrestati in quell’incidente e ulteriori filmati catturati da astanti mostrano che un taser viene utilizzato su uno di loro.

Il presidente della NAACP Maryland State Conference, Willie Flowers, ha chiesto che gli ufficiali coinvolti nell’incidente vengano rimossi dai loro incarichi fino al completamento dell’indagine. 

L’arresto per un atto come svapare non può e non dovrebbe portare alla violenza verso nessuno, né tantomeno nei confronti di un minore.