mercoledì, Giugno 25, 2025
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Stati Uniti: svolta alla Casa Bianca per le politiche di Harm Reduction?

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Li chiamano “morti invisibili“: sono tutte quelle persone che terminano la loro esistenza a causa di overdose.

Nonostante sia ormai una piaga sociale che negli Stati Uniti uccide decine di migliaia di persone ogni anno, il problema non ha mai avuto una seria risposta da parte delle amministrazioni che si sono succedute nelle ultime decadi.

Harm Reduction a Stelle e Strisce

Quando si discute di Harm Reduction, si intende un insieme di pratiche tese a limitare i danni provocati da una specifica sostanza come il fumo da sigaretta, l’alcool, o tutto quello che potrebbe arrecare danno per il corpo umano.

Di particolare importanza, sotto questo punto di vista, rivestono tutte quelle politiche che riguardano l’utilizzo di sostanze stupefacenti e, in particolare, di tutte quelle droghe che creano un alto tasso di dipendenza e sono potenzialmente letali.

Negli Stati Uniti, casi di overdose e crisi di astinenza negli ultimi anni hanno registrato un aumento del 35% con un picco di 70.630 casi registrati nel 2019. Un incremento che non trova riscontri in nessuna altra causa di morte nel Paese.

Fino ad oggi, le amministrazioni avvicendatesi alla Casa Bianca si sono fermamente rifiutate di sostenere la Riduzione del Danno provocato dalle droghe non solo a livello nazionale ma anche internazionale.

Washington ha avuto negli ultimi anni una influenza piuttosto negativa verso la Commissione sugli stupefacenti in sede ONU. In particolare, sotto la pressione del Dipartimento di Stato americano, termini come “riduzione del danno” sono state cancellate dai vari report prodotti dall’istituzione internazionale.

Perchè tanta reticenza nei confronti dell’Harm Reduction?

La storia dell’Harm Reduction negli Stati Uniti è particolarmente complessa, con gli ultimi due decenni che hanno visto una feroce resistenza all’implementazione di qualsiasi politica nel Paese.

Questo ha origine soprattutto nella demonizzazione di particolare droghe psicoattive che sono associate a determinati gruppi etnici/razziali. Ma anche ad una lunga tradizione di condanna morale e religiosa nei confronti delle droghe, tanto che lo stesso codice civile ha incorporato tali codici comportamentali.

L’insieme di queste due dinamiche- tra moralismo intollerante e stigmatizzazione di determinati gruppi sociali– ha prodotto una criminalizzazione del consumo di droghe ed una risposta repressiva piuttosto che preventiva.

Cosa potrebbe cambiare con la nuova Presidenza di Joe Biden?

Il neo-presidente Biden ha da subito chiarito che limitare le morti per overdose e la dipendenza da droghe è una priorità. In uno dei primi provvedimenti della sua Amministrazione, sono stati infatti stanziati 4 miliardi di dollari per implementare quei servizi di prevenzione vitali per i tossicodipendenti.

In aggiunta, il Presidente statunitense ha messo fin da subito in chiaro che non dovrebbe esserci l’incarcerazione per possesso di droghe ma la riabilitazione attraverso terapie specifiche.

Tra le priorità dell’Amministrazione Biden-Harris per il primo anno- secondo il recente comunicato stampa della Casa Bianca– la copertura sanitaria totale che aiuti le persone con dipendenza ad ottenere il giusto supporto medico e psicologico, l’implementazione dell’uguaglianza etnica/razziale nell’approccio alle politiche di Harm Reduction, migliorare gli sforzi sull’Harm Reduction basandosi sulle evidenze scientifiche, mettere in atto politiche di prevenzione sull’uso di sostanze stupefacenti tra i giovani, ridurre i canali di approvvigionamento internazionali di sostanze illecite.

Un approccio coraggioso e per certi versi rivoluzionario che potrebbe anche cambiare tutta l’impostazione delle politiche internazionali di Harm Reduction.

Gli Stati Uniti ed il resto del mondo

Senza ombra di dubbio, le scelte politiche a Washington influenzano in un verso o in un altro le istituzioni internazionali. Il nuovo approccio della nuova Amministrazione Biden cambia sicuramente le carte in tavola per un ripensamento di tutte le politiche di Harm Reduction a livello mondiale.

Tra gli esempi più eclatanti, le politiche di riduzione del danno da tabacco.

Secondo un rapporto del Global State of Tobacco Harm Reduction, le politiche di controllo dell’uso di tabacco presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono pesantemente influenzate dai miliardi di dollari provenienti dalle fondazioni statunitensi al fine di implementare le proprie campagne contro la riduzione del danno da tabacco, mentre la disinformazione scoraggia i fumatori dal passare a prodotti più sicuri.

Un cambio di direzione da parte di Washington, in questo senso, potrebbe sicuramente incoraggiare il perseguimento di politiche di Harm Reduction non solo contro il fumo, ma anche verso altre sostanze nocive, tra cui sicuramente le sostanze stupefacenti.

Arabia Saudita: il governo vara nuove norme anti-fumo nel Paese

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In Arabia Saudita è stretta sulla vendita di tabacco ai minori e la possibilità di fumare nelle aree dove sono presenti bambini.

Anche importare e vendere giocattoli o caramelle che abbiano la forma di sigaretta, o immagini che possano incoraggiare i minori a fumare, sono da oggi vietati per legge.

La nuova direttiva introduce inoltre una tassa sui prodotti da tabacco al fine di contrastare la dipendenza da fumo, aumentando il prezzo della shisha (un particolare tipo di tabacco aromatizzato che si fuma attraverso la pipa ed ha grande popolarità nei paesi arabi) del 100%.

Secondo osservatori del mondo arabo, se fumare shisha e sigarette in èta adolescenziale è abbastanza tollerato nelle società mediorientali, in Arabia Saudita ha una forte condanna sociale e religiosa, anche se ciò non toglie l’elevato numero di fumatori nel paese.

La visione wahabita, che è una particolare corrente ultraortodossa dell’Islam preponderante in Arabia Saudita, generalmente vieta l’utilizzo di qualsiasi sostanza dannosa per l’uomo come alcool, droghe o fumo” afferma Valerio Buemi, arabista, docente a contratto alla Sapienza Università di Roma ed esperto del Paese.

Le autorità saudite da anni cercano di dissuadere la popolazione dal fumare attraverso la condanna religiosa ma con scarsi risultati. Queste nuove misure anti-fumo muovono la questione da un piano prettamente di condanna sociale ad uno legale, in cui gli adulti dovranno riconsiderare i loro atteggiamenti di fronte ai minori.”

Recenti studi indicano come l’Arabia Saudita sia al terzo posto a livello mondiale per fumo tra i giovani, con un impressionante 19.3% di adolescenti fumatori.

Con questa mossa il paese spera di abbassare il consumo del tabacco tra la popolazione dal 21% al 5% entro il 2030.

Ad affiancarsi a questi divieti, con la nuova legge, il Ministero della Salute saudita ha anche istituito delle cliniche anti-fumo al fine di facilitare gli accessi ai servizi terapeutici e implementare insieme agli operatori sanitari tutti quei servizi in grado di aiutare i fumatori a smettere.

Il Comitato Nazionale Antifumo del paese lavora da anni per un controllo più rigoroso del tabacco in Arabia Saudita, e ha approvato una prima legge antifumo nel 2015 per combattere il fenomeno.

Da allora, regolamenti anti-tabacco sono stati implementati nel 2016, quando è stato vietato per legge di fumare in aree e spazi pubblici come moschee, ministeri, fabbriche di proprietà del governo, sedi di autorità pubbliche e loro succursali, scuole, ospedali, luoghi di lavoro.

Nel 2017, l’Arabia Saudita si è unita ad altri membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella campagna per aumentare la consapevolezza del pubblico sui pericoli del consumo di tabacco stanziando un considerevole budget per finanziare i vari programmi di controllo del tabacco nel paese.

Quali sono gli alimenti che contengono nicotina?

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nicotina

Si dibatte molto spesso dei danni che comporta l’assunzione di nicotina ma – in realtà – è la dipendenza da questa sostanza a creare seri problemi. Si muore – infatti – per il catrame e per le sostanze tossiche sprigionate durante il processo di combustione e non per la nicotina in sé.

Ma la nicotina che si trova anche in natura e spesso nelle nostre tavole che ruolo ha esattamente nella smoking cessation?

Lo abbiamo chiesto al prof. Massimo Caruso, ricercatore del CoEHAR dell’Università di Catania ed esperto anche di nutrizione.

La nicotina può essere assunta in piccole dosi anche in natura, in particolare da una famiglia di piante cui appartiene anche la pianta del tabacco: le solanaceae. Una naturale integrazione di nicotina può ridurre gli effetti iniziali dell’astensione da sigaretta, pur se a dosi molto più basse del tabacco. Ecco perché la nicotina si usa durante i processi di smoking cessation“.

Quali sono gli alimenti che contengono nicotina?

  • Cioccolato (da 0.000230 a 0.001590 mg/kg, dipende dal tipo di cioccolato)
  • Patata (contiene nicotina in minime quantità: 7,1 nanogrammi di nicotina per grammo di cibo; 1 microgrammo di nicotina per 140 grammi)
  • Pomodori verdi: 42,8 ng di nicotina per grammo di cibo; 1 microgrammo di nicotina per 23,4 grammi
  • Pomodori cotti: 4,3 ng di nicotina per grammo di cibo; 1 microgrammo di nicotina per 233,0 grammi
  • Salsa di pomodoro: 52,0 nanogrammi di nicotina per grammo di cibo; 1 microgrammo di nicotina per 19,2 grammi

Un microgrammo di nicotina equivale allo stare seduti in una stanza con un leggero odore di fumo per 3 ore. Ogni sigaretta contiene circa 7 milligrammi di nicotina, di cui circa 1 milligrammo viene assorbito” – ha spiegato Caruso.

Prendendo come esempio la melanzana, la quantità di nicotina contenuta in 10 chilogrammi di melanzana è equivalente alla quantità assorbita da una sigaretta.

La melanzana è l’alimento più ricco di nicotina e bisogna considerare che per via digerente l’assimilazione della nicotina è molto ridotta rispetto a quella polmonare.

Sebbene intorno al ruolo della nicotina si sia detto di tutto, e sebbene molte informazioni siano poco chiare e confuse va spiegato che, se in un percorso di cessazione da fumo bisogna puntare sulla disintossicazione e l’attenuazione del desiderio di nicotina, è molto importante chiarire che si muore per il catrame e non per la nicotina. La pericolosità delle sostanze sprigionate durante il processo di combustione è subdola e lenta ma spesso letale.

Queste sostanze, più di 90, a causa della combustione, rilasciano particelle che cambiano la loro composizione e diventano molto pericolose. A differenza della nicotina che ha un effetto immediato, gli effetti negativi del catrame non si riscontrano subito. Motivo per cui i danni sono visibili solo dopo anni di fumo di sigarette.

Hai smesso ma sogni ancora di fumare? Ecco perché

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C’è chi afferma che i sogni siano desideri nascosti, per riprendere la visione psicoanalitica Freudiana e chi invece afferma siano l’elaborazione di qualcosa che ci è accaduto, un trauma o un evento significativo, per riprendere la visione Jungana.

Da uno studio americano si apprende che esiste una correlazione tra il fumo e il sonno e che mette in evidenza la difficoltà degli ex fumatori ad addormentarsi. Dunque, tra i danni del fumo, anche quello di peggiorare la qualità del sonno.

Ma esiste anche una correlazione tra il fumare e il sognare?

Ne abbiamo parlato con il prof. Pasquale Caponnetto, ricercatore del CoEHAR e docente di Psicologia Clinica e delle Dipendenze Disfor dell’Università degli Studi di Catania: “Quando una persona prova a smettere di fumare accusa come primo sintomo, dovuto all’astinenza, l’insonnia ed ecco perché la qualità del sonno peggiora”.

Molti fumatori – ha aggiunto Caponnetto – tendono a concludere la propria giornata di lavoro fumando un’ultima sigaretta, altri fumano per conciliare il sonno, o perché la sigaretta rappresenta spesso nella routine di quella persona ciò che favorisce il passaggio tra lo stato di veglia e lo stato del sonno, un po’ come l’orsacchiotto per i bambini“.

Kamil Pulino è uno studente della facoltà di psicologia dell’ateneo di Catania e ci racconta: “Ho smesso di fumare tre anni fa ma sin da subito ho cominciato a sognare di fumare una sigaretta. Durante la notte mi svegliavo perché sentivo il peso dei sensi di colpa, avevo paura di ricadere nel vizio. Non riuscivo a credere di potercela fare. Evitare di fumare proprio in quei momenti mi ha aiutato molto“.

Ma perché il sonno coincide con la voglia di fumare? E perché molti fumatori quando smettono di fumare continuano a sognare di farlo?

Una delle cose che abbiamo osservato – aggiunge il prof. Caponnetto – è che gli ex fumatori che hanno iniziato un percorso di cessazione dal fumo, sognano spesso di ritornare a fumare e arrivano a provare anche dei sentimenti di timore. Il timore di ricadere in quella cattiva abitudine. In realtà, è come se l’inconscio continuasse a lavorare per farli smettere di fumare. Molti di loro immaginano quella sensazione di ricaduta ma non sanno che è una sorta di incoraggiamento per non riprendere. Si dice inoltre che smettere di fumare non sia un’attività superficiale ma che sia un’attività così importante e profonda che rappresenta una forma di cambiamento che coinvolge anche i processi psicologici più profondi.

Il sognare di fumare – conclude Caponnetto – non è in se un elemento di preoccupazione, anzi, se ben gestito, può rappresentare un elemento di prevenzione per la ricaduta.

Giornata della Ricerca italiana nel mondo: i numeri di CoEHAR

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Oggi 15 aprile – data di nascita di Leonardo Da Vinci – si celebra la quarta edizione della Giornata della ricerca italiana nel mondo. Una iniziativa che nasce dalla collaborazione tra la Farnesina e il MUR per sostenere e ringraziare tutti i ricercatori e gli accademici italiani impegnati all’estero e non solo.

I ricercatori italiani nel mondo rappresentano una grande eccellenza internazionale ma anche una risorsa fondamentale per il futuro del pianeta. L’Italia è oggi al 7° posto nelle classifiche mondiali per numero di pubblicazioni scientifiche e di ricerca, nonché all’8° posto per la qualità di queste pubblicazioni. 

Ma quanto ha influito la scienza della Riduzione del danno da fumo in questo sviluppo della scienza italiana nel mondo?

Per comprendere fino in fondo il clamoroso sviluppo di questo settore, basta pensare che le prime sigarette elettroniche sono entrate in commercio solo nel 2003 ed è solo nel 2013 che si sono iniziati a studiare gli effetti dello strumento. ECLAT, firmato dal prof. Riccardo Polosa, è stato il primo studio al mondo che ha valutato l’efficacia e la sicurezza della sigaretta elettronica come strumento per smettere di fumare.

Sono passati meno di 10 anni e PubMed (il motore di ricerca di letteratura scientifica più usato al mondo) alla voce “ecigarettes” conta più di 5000 pubblicazioni.

Un ambito di studio completamente nuovo che continua ad espandersi coinvolgendo centinaia di ricercatori italiani di differenti atenei impegnati a trovare risposte efficaci, non solo sulla riduzione del danno da fumo, ma anche sull’utilizzo degli strumenti a rischio ridotto in settori diversi per la cura e la prevenzione della salute.

Ed è in questo scenario che si inserisce l’attività dei ricercatori italiani del CoEHAR e della LIAF che ormai da anni lavorano alla creazione e standardizzazione di un network di elevato spessore scientifico internazionale che collabora insieme per lo scambio di scienza e conoscenza.

Una rete globale di enti e ricercatori che vanta oggi più di 100 ricercatori impegnati in tutto il mondo, più di 300 pubblicazioni scientifiche sulla riduzione del danno, migliaia di fumatori che hanno smesso definitivamente di fumare e centinaia di pazienti coinvolti in numerosi progetti di ricerca.

Un network internazionale, quello del consorzio CoEHAR che, partendo da Catania (ormai capitale della ricerca sulle sigarette elettroniche), ha segnato e guidato il percorso storico e rivoluzionario della scienza della Riduzione del danno da fumo nel mondo.

Una posizione di prestigio ottenuta grazie all’attività di migliaia di ricercatori che non si sono mai fermati nemmeno durante questo difficile e ormai lungo lockdown generalizzato.

L’Università degli Studi di Catania, ricordiamo, è considerata ancora oggi, nonostante la proliferazione di studi in materia, l’ente più autorevole al mondo nel campo della ricerca applicata alla riduzione del danno da fumo ed il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, è lo scienziato più produttivo al mondo in questo settore. Nato nel 2018, il CoEHAR ingloba al suo interno più di 80 ricercatori dell’ateneo di Catania tra medici, professori e operatori tecnici afferenti a diversi dipartimenti che collaborano insieme per avviare progetti di internazionalizzazione che consentono di creare scienza e innovazione.

Questa però è la giornata di tutti i ricercatori impegnati nel mondo su temi e ambiti diversi ed è a tutti loro che va il nostro più sincero GRAZIE.

Al via al CoEHAR il progetto “Smile Study”

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Il CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania) presenta “Smile Study”, il nuovo progetto di ricerca dedicato alla riduzione dei danni provocati dal fumo alla salute dentale.

Giovedì 22 Aprile dalle ore 9,30 alle 16,00 sulla piattaforma zoom, il CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania) organizza il kick off meeting del progetto di ricerca internazionale Smile Study.

Smile Study” è uno studio randomizzato controllato internazionale progettato per determinare se i fumatori di sigarette convenzionali che passano a sistemi a rischio ridotto (i.e. sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato) hanno un miglioramento misurabile dei parametri di salute orale e aspetto dentale, come conseguenza della mancata esposizione alle sostanze tossiche del fumo di sigaretta.  

L’evento è dedicato alla presentazione ufficiale di tutte le attività previste dal primo studio al mondo sugli effetti dei prodotti a rischio ridotto su denti e cavo orale, coinvolgendo sei partner internazionali.

Tra i partecipanti al meeting internazionale saranno presenti i delegati di: Università di Bologna, Università di Modena Reggio Emilia, Addendo Dental Clinic (Italia), Universitas Padjajaran (Indonesia),University Hospital of Warsaw (Polonia), Fala Dental Clinic (Moldavia).

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Fare jogging all’aperto: mascherina si oppure no?

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jogging mascherine photo Unsplash by @gemilang

Secondo le linee guida del Ministero, per fare jogging all’aperto da soli, non è necessario indossare la mascherina. Ma la comunità scientifica e l’opinione pubblica si dividono sul tema. La mascherina influisce sulla prestazione? Correre da soli causa un aumento del rischio di contagio?

È passato circa un anno da quando le restrizioni imposte a causa della diffusione coronavirus hanno modificato radicalmente le nostre abitudini. Tra le prime norme di prevenzione, la mascherina si è rivelata essere uno tra gli strumenti più efficaci per limitare il contagio.  

Un misura preventiva fondamentale sia per il personale impiegato in prima linea nel combattere l’epidemia sia per la popolazione.

Da quando però è stato possibile riprendere l’attività motoria, la necessità di impedire il contagio e le fattibilità di praticare sport con o senza mascherina hanno alimentato un dibattito che non solo ha diviso l’opinione pubblica, ma anche la stessa comunità scientifica.

Indossare la mascherina durante una corsa influenzerebbe la prestazione? Non indossarla comporterebbe un aumento del rischio di contrarre l’infezione? 

Uno studio pubblicato sull’European Respiratory Journal ha monitorato lo sforzo fisico di 6 uomini e 6 donne attraverso una batteria di test respiratori in diverse condizioni: senza mascherina, con mascherina chirurgica e con mascherina FFP2.

I risultati confermano un lieve effetto della mascherina sull’attività respiratoria, non tale però da creare un affaticamento considerevole o una limitazione importante alla ventilazione cardiopolmonare.

Uno studio che mostra però alcune limitazioni importanti: al di là del campione abbastanza ristretto, i normali test da sforzo eseguiti al chiuso non tengono conto delle condizioni di esecuzione che aumentano l’affaticamento durante lo sforzo.

La mascherina è uno strumento che ancora oggi permette di limitare la diffusione dell’infezione e va sempre indossata, insieme al mantenimento della distanza di sicurezza.

Considerando, dunque, una normale attività di jogging all’aperto, in solitaria, con una andatura di circa 10km/h per un tempo di 20-30 minuti, quanto si amplifica il rischio diffusione del virus?

Non esistono ad oggi studi specifici che possono fornirci valori numerici significativi. D’altronde troppe sono le condizioni che possono intervenire a modificare i parametri.

Il nostro ragionamento dunque deve orientarsi su altre valutazioni: in primis, indossare la mascherina durante l’esercizio all’aperto è fastidioso. La mascherina dopo poco si impregna dell’umidità del respiro, si bagna, aumentando effetti come il naso che cola e compromettendo gravemente l’efficacia della mascherina già dopo pochissimo tempo.

Esiste anche una forte componente psicologica: l’imposizione forzata durante lo sport, in condizioni di relativa sicurezza, potrebbe causare un effetto opposto. Le difficoltà del periodo, sommate all’ansia e allo stress, generano un senso di rifiuto che porta a non voler indossare la mascherina anche in situazioni dove è necessario.

È chiaro che il discorso cambia se consideriamo luoghi chiusi come le palestre, dove però già alcune misure avevano dimostrato di funzionare, tra le quali una maggior ventilazione, l’obbligo di ridurre la capienza e di presentarsi con appuntamento

La mascherina è senza dubbio uno degli strumenti più efficaci per contenere la diffusione del virus – dichiara il Prof. Riccardo PolosaEd e’ sacrosanto utilizzarle a tappeto in luoghi affollati o a rischio. E’ ridicolo pensare che una corsetta all’aperto possa rientrare in una di queste due categorie. Inoltre, sfido chiunque a fare del jogging indossando la mascherina. Nel giro di 10-15 diventa così satura di condensato respiratorio che diventa difficile anche respirare! Bene quindi pensare ad altre precauzioni, correre all’ aria aperta, respirando dal naso, e rispettare le distanze di sicurezza quando incrociamo altre persone. Il buon senso e il rispetto devono essere alla base delle nostre azioni“.

Praticità e buon senso devono dunque essere le direttive che guidano le nostre azioni, per non rischiare di compromettere il lavoro compiuto fino ad oggi.

Vista l’attuale situazione è bene prendere tutte le precauzioni necessarie, nel rispetto degli altri: si all’attività fisica all’aperto, meglio se da soli. Teniamo sempre una mascherina a portata di mano da indossare all’evenienza o se attraversiamo zone densamente frequentate, e scegliamo orari o zone in cui l’affluenza non è al massimo.

E consideriamo sempre di mantenere la distanza tra chi corre e le persone sul marciapiede o nelle aree pedonali.

In ultimo, potrebbe essere utile scegliere fasce della giornata non densamente frequentate.

Non sottovalutiamo il potere dell’aiuto reciproco e del rispetto: grazie alla collaborazione siamo riusciti a superare fasi delicate, e tutt’ora il rispetto rappresenta la nostra arma più efficace per combattere l’epidemia.

In Malesia, l’88% dei fumatori ha smesso grazie al vaping

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Un recente sondaggio commissionato dalla Malaysian Vape Industry Advocacy (MVIA) riporta che tra gli intervistati, l’88% ha smesso di fumare grazie al vaping.

Risultati ottimi in un paese, la Malesia, vicina geograficamente a stati dove la percentuale di fumatori è altissima e l’utilizzo del vaping nella politiche di cessazione è osteggiato o ignorato.

Evidenze in linea con i risultati dei centri di ricerca sul tabagismo e sulla cessazione che promuovono il vaping come strumento utile per abbandonare il fumo tradizionale, ottenendo benefici in termini di salute nel giro di poco tempo.

Ottimi anche i dati relativi agli utilizzatori duali: il 79% degli intervistati dichiara che ha diminuito il numero di sigarette fumate.

Questi risultati hanno spinto molti governi in tutto il mondo a lanciare campagne di sensibilizzazione a livello nazionale per incoraggiare i fumatori a smettere passando allo svapo” – ha dichiarato Rizani Zakaria, presidente MVIAC’è una reale necessità per il governo malese di riconoscere i benefici dello svapo, in particolare il potenziale che ha per aiutare i fumatori a smettere di fumare passando a un prodotto meno dannoso“.

Il questionario Malaysian Insights & Perspectives on Vape survey, e condotto dalla società di ricerche di mercato Green Zebras, indica anche che il 56% dei malesi in generale, afferma che lo svapo è aumentato negli ultimi anni e il motivo principale che contribuisce a questo è perché lo svapo è percepito come meno dannoso del fumo di sigaretta.

Il governo dovrebbe espandere la struttura fiscale per includere e-liquid da svapo contenenti nicotina e introdurre regole chiare per questo prodotto. In questo modo, il governo può massimizzare la riscossione delle entrate e, allo stesso tempo, garantire che i consumatori utilizzino prodotti regolamentati in Malesia“, dichiara Rizani.

Fumo elettronico, Anafe: bene report UK sul vaping. L’Oms non può ignorare il rischio ridotto dello svapo

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Umberto Roccatti: “Tempi maturi per la riduzione del rischio nelle politiche antifumo”

Roma, 13 aprile 2021. ANAFE – Associazione Nazionale Produttori Fumo Elettronico aderente a Confindustria – accoglie con favore il rapporto sul vaping rilasciato dall’intergruppo parlamentare inglese Aapg (Party Parliamentary Group) che ha l’obiettivo di promuovere la sigaretta elettronica come strumento di riduzione del rischio nelle politiche antifumo, in aperta opposizione all’OMS, che invece intende limitare aspramente lo svapo, messo ideologicamente sullo stesso piano del fumo tradizionale.

“Il Regno Unito, grazie ad un approccio scientificamente laico e progressista, si dimostra ancora una volta all’avanguardia nei confronti delle politiche antifumo, sottolineando come il vaping sia un’ottima opportunità per ridurre significativamente il numero di fumatori, nonché le spese sanitarie correlate al fumo”. Così ha commentato l’iniziativa dell’intergruppo parlamentare inglese il Presidente di ANAFE, Umberto Roccatti.

“Insieme al Parlamento inglese, condividiamo l’obiettivo di garantire uno strumento a rischio ridotto – del 95% meno dannoso rispetto al tabacco tradizionale – al miliardo di persone in tutto il mondo che non vogliono o non riescono a smettere di fumare, quasi 10 milioni solo in Italia”.

“Condividiamo in particolare le raccomandazioni del rapporto all’OMS che includono l’affermazione del principio di riduzione del rischio e l’abbandono di posizioni proibizioniste, la limitazione di qualsiasi decisione relativa al divieto di svapo e di altre alternative a rischio ridotto del fumo, il coinvolgimento di esperti e consumatori durante l’evento internazionale delle parti (COP) e l’istituzione di un gruppo di lavoro per esaminare la scienza e le prove per i prodotti nuovi ed emergenti.

Dopo tutte le evidenze scientifiche, non solo è grave considerare la sigaretta elettronica marginale nella lotta al fumo e continuare ad esporre milioni di fumatori al rischio di cancro, ma ancor più assurdo che siano paragonate al fumo tradizionale, che causa quasi 1/3 dei casi di cancro in Europa”. Ha aggiunto il Roccatti.

“L’iniziativa inglese assume particolare rilevanza in questo momento storico in cui ci stiamo avvicinando a importanti appuntamenti internazionali nel corso dei quali le istituzioni di tutto il mondo saranno chiamate ad affrontare il tema. Ricordo infatti che a novembre ci sarà la COP9 (Conferenza delle parti), il più importante evento istituzionale di confronto sul settore, in merito al quale non solo auspico che la posizione inglese possa essere presa finalmente in considerazione ma soprattutto che anche altri Paesi dove la cultura della riduzione del rischio è già realtà possano condividere gli effetti positivi dell’utilizzo delle sigarette elettroniche nelle campagne antifumo, contribuendo così ad un cambio di passo da parte dell’OMS”. Ha concluso Roccatti.

È la combustione che fa la differenza, e non la nicotina

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Sondaggi effettuati negli anni in diverse parti del mondo hanno dimostrato che la maggior parte delle persone intervistate sulla percezione della nicotina crede che essa sia il fattore di rischio determinante collegato ai danni da fumo.

Il risultato di questi sondaggi ci dice, infatti, che il 38% degli intervistati crede che la nicotina sia un fattore di rischio per infarto e ictus; il 50% la ritiene un fattore di rischio moderato ed il 40% la ritiene la principale causa di tumori.

Va detto altresì che un paper intitolato “Tobacco Harm Reduction in the 21st century” (e realizzato dalla ricercatrice Renée O’Leary e dal prof. Riccardo Polosa) offre una visione a 360 gradi della dipendenza da tabacco che parte dalla definizione chiara del ruolo che ha la nicotina nei danni fumo correlati.

La comunità scientifica da sempre dibatte su questo tema ed è molto importante che chi fornisce servizi sanitari sia preparato sull’argomento, proprio per evitare che passi una comunicazione sbagliata.

Se analizzassimo la nicotina, sapremmo che è uno stimolante ed è il principale componente della pianta del tabacco. Si trova in quasi tutti i prodotti a base di tabacco, ma anche in diversi tipi di medicinali, come quelli che vengono utilizzati dai centri antifumo e nei percorsi di smoking cessation, si pensi alle gomme o ai cerotti. La nicotina può avere anche degli effetti positivi, utile nella gestione di patologie depressive” – si legge nel report.

Quand’è, allora, che bisogna fare attenzione?

La nicotina è velenosa se assunta in elevate concentrazioni, e può aggravare lo stato di salute quando un individuo presenta già dei problemi correlati. Se assunta durante la gravidanza, ad esempio, risulta dannosa e può causare danni al feto.

La nicotina crea dipendenza? Sì.

Questo è, infatti, uno dei fattori più complessi per chi prova a smettere di fumare.

Il grado di dipendenza da nicotina dipende dalla velocità con cui viene introdotta nell’organismo e raggiunge il cervello. Nei fumatori l’assunzione avviene rapidamente e questo è ciò che causa la dipendenza a tutti gli effetti. Naturalmente questo processo non avviene durante le terapie dei centri antifumo. In quel caso la nicotina viene rilasciata a dosi, gradualmente.

Le barriere socio-culturali ed economiche, tra cui tasse elevate e percezioni sbagliate sulla nicotina, hanno influenzato negativamente la comunicazione e questo ha impedito che tali prodotti fossero accessibili a tutti.

Gli strumenti a rischio ridotto sono il 95% meno dannosi rispetto alle sigarette convenzionali. Per chi non riesce a smettere di fumare da solo, passare a prodotti senza combustione consente di ridurre i danni fumo correlati e nel mondo questo consente di salvare milioni di vite. Questo è il principio su cui si basa l’Harm Reduction (la teoria scientifica della Riduzione del Danno).