mercoledì, Luglio 9, 2025
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Addio alla sigaretta? In 20 minuti già i primi benefici per il corpo

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sigaretta

Vale davvero la pena di accendere questa sigaretta? Possibile che una così piccola decisione possa cambiare qualcosa? D’altronde, sono vent’anni che fumo, non penso di poter davvero fare la differenza”.

Molto spesso i fumatori, soprattutto i più incalliti, sono scettici nei confronti del cambiamento. Certo, abbandonare il vizio del fumo non è facile. Ma soprattutto si instaura un meccanismo, tipico di tutti i comportamenti ritualistici, per cui pensare di dire “oggi smetto” non sembra realistico.

Ma il nostro corpo reagisce a qualsiasi cambio di abitudine, anche se lieve. Ecco perché, molto spesso, chi decide di usare la sigaretta elettronica nei percorsi di smoking cessation osserva dei cambiamenti nel giro di breve tempo.

Ma cosa succede al nostro corpo quando smettiamo di fumare?

Smettere di fumare si traduce in un’immediata boccata di ossigeno per il nostro organismo: in una recente intervista, il sessuologo Emanuele Jannini ci ha raccontato di un piccolo test che esegue sui pazienti fumatori.

Se un fumatore si reca presso il suo studio per un doppler, gli viene richiesto di lasciar passare qualche ora dall’ultima sigaretta fumata: all’esame i livelli sanguigni sono accettabili. Al paziente viene poi richiesto di ripetere il medesimo esame subito dopo aver fumato una sigaretta. In questo caso, si nota una diminuzione drastica del flusso sanguigno.

Scegliere di non fumare si traduce quindi in immediati benefici: scopriamo quali.

Dopo 20 minuti 

Nello stesso tempo che impieghiamo a preparare un piatto di pasta, dalla cottura all’impiattamento, il nostro corpo già reagisce: le pulsazioni e la pressione sanguigna iniziano a ritornare nei valori di norma. Piedi e mani riacquistano gradualmente la propria temperatura.

8 ore

Dalla mattina alla sera, non fumare comporta un dimezzamento della quantità di nicotina e di anidride carbonica nell’organismo. Meno monossido di carbonio si traduce in più apporto di ossigeno a muscoli e cervello.

Il risvolto negativo è che iniziano a manifestarsi i primi sintomi dell’astinenza: il nostro corpo reagisce ribellandosi alla mancanza di nicotina. Ecco perché, a chi decide di smettere, si consiglia di abbinare ai metodi tradizionali o alle sigarette una terapia comportamentale.

12 ore

Complimenti! Stai già ottenendo un grosso successo: il cuore inizia a sforzasi di meno per pompare sangue ricco di ossigeno nel corpo.

24 ore

Un fumatore ha il doppio delle possibilità di essere colpito da un infarto rispetto a un non fumatore. Anche un giorno senza fumo diminuisce tale probabilità.

48 ore

Dopo due giorni, i cambiamenti si fanno via via più importanti. I nervi cominciano a rigenerasi e il senso dell’olfatto e  quello del gusto iniziano ad acuirsi nuovamente. I livelli di nicotina si sono quasi azzerati e i polmoni si avviano verso un processo di guarigione.

Purtroppo, dopo due giorni, i sintomi dell’astinenza sono i peggiori: si avverte stanchezza, irritabilità, fame o ansia. Possono sopraggiungere mal di testa improvvisi o stati depressivi. È normale ed è qui che la lotta si fa più dura. 

In questa fase, è importante avere un network di riferimento che possa contribuire all’adozione di comportamenti che contrastino la voglia di fumare, attraverso distrazioni o attività alternative.

2 settimane – 3 mesi

La qualità della vita progressivamente migliora. Aumenta la tollerabilità alla fatica e allo sforzo fisico. Diminuisce anche il rischio di diabete.

1 anno

I polmoni si ripuliscono dalle sostanze nocive prodotte dalla combustione. La qualità e la durata dei respiri è diversa rispetto a quando si è detto addio al fumo.

5 anni

Dopo cinque anni, il rischio di infarto è lo stesso di quello di un non fumatore, a parità di età, sesso e stile di vita. Si dimezzano le possibilità di incorrere in cancro alla gola, alla bocca e all’esofago.

15 anni

Pensare che solo dopo 15 anni il fisico rientra nei parametri di un non-fumatore fa capire quanto il percorso di abbandono del fumo sia lungo e difficile. In questo lasso di tempo, però, si sono apprezzati tutti i benefici connessi allo smettere di fumare e si capisce l’importanza di aver preso una simile decisione. 

BPCO: Migliore qualità della vita, l’intervista al Prof. Polosa

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riccardo polosa

Articolo originale di  Dr. Denis Vitel

In Inghilterra, nei programmi per smettere di fumare, è raccomandato da medici e operatori sanitari l’uso di prodotti a basso rischio: “Speriamo di poter presto assistere allo stesso cambiamento in tutto il mondo”, afferma il Prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR.

Il professor Riccardo Polosa ha discusso i risultati del suo studio in un’intervista su Medical Tribune: I prodotti a tabacco riscaldato producono meno esacerbazioni e una migliore qualità della vita nei pazienti con BPCO rispetto alle sigarette convenzionali”.

Ci può presentare i risultati del recente studio, in cui pazienti con BPCO per tre anni hanno abbandonato completamente o in parte le sigarette convenzionali per passare a prodotti «heat-notburn»?

In base alla mia esperienza, molti pazienti con BPCO non possono o non vogliono smettere di fumare, sebbene sia noto che il fumo di sigaretta è un fattore di rischio primario della BPCO. In questo studio, il primo nel suo genere, sono stati monitorati indicatori di salute in pazienti con BPCO che dopo il passaggio a prodotti a tabacco riscaldato hanno smesso di fumare sigarette. Nel follow-up di tre anni si è constatato che l’uso di questi prodotti ha ridotto di più del 40 % il numero delle esacerbazioni acute di BPCO e si è accompagnato a un miglioramento della qualità della vita e delle capacità fi siche. Nei pazienti con BPCO che hanno continuato a fumare, invece, non è stato osservato alcun cambiamento.

Nella comunità medica e nelle organizzazioni di pazienti si percepisce l’interesse alla riduzione del rischio tramite le sigarette elettroniche nei pazienti con BPCO?

Di fronte al fatto che la maggior parte dei programmi di disassuefazione dal fumo non sembra funzionare in una larga maggioranza dei pazienti con BPCO e che molti continuano a fumare malgrado i loro sintomi, l’interesse verso approcci alternativi è alto e continuerà a esserlo. I pazienti affetti da BPCO devono convivere con una malattia molto gravosa e, se una disassuefazione dal fumo con l’aiuto di prodotti «heat-notburn» costituisce una possibilità per migliorare la loro salute, non vedo alcun motivo per non incentivare questo passaggio. In Inghilterra l’utilizzo di prodotti a basso rischio nei programmi di cessazione del fumo è raccomandato da medici e professionisti sanitari. La mia speranza è che questa filosofia venga presto abbracciata in tutto il mondo. Purtroppo circolano molte informazioni fuorvianti sul consumo di prodotti a tabacco riscaldato e di sigarette elettroniche, che spesso vengono equiparati alle sigarette a combustione. Ma l’uso di questi prodotti può migliorare la qualità della vita dei pazienti. In futuro sarà possibile inserire i prodotti a basso rischio in programmi terapeutici, soprattutto per alcune malattie specifiche: l’interesse delle organizzazioni di pazienti e pubbliche dimostra che stiamo andando in questa direzione. La pandemia ha aiutato molti fumatori a riflettere su uno stile di vita più sano e talvolta li ha spinti a passare ad alternative che presentano molti meno rischi rispetto alle sigarette.

In un altro studio ha applicato la stessa metodologia per descrivere gli effetti a lungo termine della sostituzione delle sigarette a combustione con sigarette elettroniche in una popolazione affetta da BPCO.

Sì, l’approccio metodico è lo stesso. Si tratta sempre della sostituzione di sigarette a combustione di tabacco con tecnologie di rilascio della nicotina che fanno a meno della combustione. I risultati positivi ottenuti in questi studi sono statisticamente significativi e clinicamente rilevanti. E soprattutto non sono una sorpresa. Le conclusioni coincidono con quello che abbiamo imparato negli ultimi 30-40 anni sulla composizione chimica del fumo di tabacco e sulla patogenesi della BPCO. Eravamo quasi sicuri che la sostituzione di sigarette convenzionali con fonti di nicotina non combustibili, ossia il vaping o i prodotti a tabacco riscaldato, avrebbe prodotto un miglioramento significativo.

Ci può dare un commento sui risultati dello studio appena pubblicato?

L’obiettivo dello studio era valutare ogni cambiamento soggettivo e obiettivo della BPCO. È ampiamente noto che evitare l’esposizione alle sostanze chimiche prodotte dalla combustione di sigarette rallenta la progressione della BPCO e migliora la salute dei pazienti. Quasi il 60 % dei pazienti con BPCO che hanno utilizzato prodotti a tabacco riscaldato ha rinunciato del tutto durante lo studio a fumare sigarette, mentre quelli che hanno continuato a fumare («dual user») hanno diminuito progressivamente il loro consumo giornaliero di sigarette. Abbiamo bisogno di più studi prospettici sugli effetti sulla salute a lungo termine dei prodotti a tabacco riscaldato, ma già ora abbiamo osservato una regressione delle esacerbazioni di BPCO, simile all’effetto della farmacoterapia standard. I prodotti a tabacco riscaldato diminuiscono la suscettibilità alle infezioni delle vie respiratorie. Lo studio, va detto, è relativamente piccolo con un follow-up limitato a tre anni. D’altro canto, è ora di smetterla con il mantra secondo cui gli studi con un campione di pochi pazienti sarebbero di poco valore e generalmente inutilizzabili. Nel caso particolare del nostro lavoro, i risultati si sono rivelati significativi e clinicamente rilevanti lungo l’intera durata dello studio malgrado il campione di piccole dimensioni, il che implica una probabilità molto bassa che i risultati siano frutto del caso. È troppo facile sostenere che il nostro studio abbia una potenza insufficiente per trarre qualsiasi conclusione: quello che abbiamo dimostrato era praticamente certo già prima di avviare lo studio.

Ha posto un forte accento sulla qualità della vita. In uno studio è possibile rilevare un miglioramento significativo di questo parametro?

Molti dei miglioramenti riportati dai pazienti con BPCO in questo studio sono per definizione soggettivi. Tuttavia, se combiniamo questi risultati riferiti dai pazienti con i dati di valutazioni obiettive, emerge un quadro molto rappresentativo che possiamo usare come argomentazione con i pazienti.

In un altro studio ha osservato per cinque anni il consumo di sigarette elettroniche da parte di pazienti con BPCO. C’è qualcosa che contraddistingue la sottopopolazione dei «dual user»?

I «dual user» sono persone che combinano il consumo di prodotti a basso rischio con le sigarette convenzionali. In questi studi, i «dual user» hanno ridotto considerevolmente il numero di sigarette al giorno e mostrato miglioramenti sia soggettivi sia obiettivi dei parametri respiratori, paragonabili a quelli osservati nelle persone che hanno smesso completamente di fumare.

La ricerca sulla sostituzione di sigarette a combustione con dispositivi alternativi di erogazione della nicotina è un campo considerato «ambizioso», che genera molte controversie.

In questo campo di ricerca abbiamo fatto un’opera pionieristica ed è vero che lo stato delle conoscenze sulla reversibilità del danno a livello individuale è ancora nello stadio embrionale. Ma io non vedo controversie. Non esiste alcuno studio che contesti i vantaggi per la salute di una sostituzione di fonti di nicotina a combustione con fonti non combustibili. L’interesse alla riduzione del danno causato dal tabacco sta crescendo e con esso migliora anche la qualità della ricerca. Presso il CoEHAR (Center of Excellence for the acceleration of Harm Reduction) coordiniamo una serie di programmi di ricerca innovativi che mirano a elucidare approfonditamente i vantaggi e i rischi dei sistemi alternativi di erogazione di nicotina.

Cosa serve per una certezza più solida: studi più lunghi con popolazioni più numerose? Maggiori conoscenze sugli effetti molecolari e cellulari della sostituzione, come la risposta infiammatoria, i danni al DNA, lo stress ossidativo, eccetera?

Sono necessari studi prospettici multicentrici di lunga durata per confermare e precisare il ruolo delle tecnologie di rilascio di nicotina senza combustione per la disassuefazione dal fumo, la prevenzione delle recidive e/o la reversibilità del danno nei fumatori affetti da BPCO che decidono di passare a questi prodotti. Gli effetti negativi delle sostanze chimiche contenute nel fumo di tabacco sui sistemi cellulari sono noti da decenni ed è pertanto prevedibile che la sostituzione delle sigarette con fonti di nicotina non combustibili (vaping e prodotti a tabacco riscaldato) produca un miglioramento significativo. Nel contempo bisogna cautelarsi dalle informazioni errate che possono scaturire da studi sperimentali mal concepiti. Gli studi preclinici esistenti (sistemi in vitro e su modelli animali) possono rivelarsi inconcludenti o persino fuorvianti a causa di un pessimo disegno sperimentale che non imita le normali condizioni di consumo, nonché per la mancanza di standard metodologici robusti.

Leggi anche: Pazienti con BPCO possono migliorare la patologia passando a strumenti a rischio ridotto

Sigarette elettroniche:Hong Kong tra divieti e occasioni mancate

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A man smokes in front of a "no smoking" sign outside a shopping mall in Shanghai January 10, 2014. Now, rising public awareness about the hazards of smoking, coupled with China's hardening stance on smoking in public, is opening up an opportunity for e-cigarettes to make inroads into the world's biggest tobacco market. Picture taken January 10, 2014. REUTERS/Aly Song (CHINA - Tags: POLITICS BUSINESS) - GM1EA1F1T4J01

Hong Kong, è un territorio autonomo nel Sud-est della Cina con una popolazione di circa 7 milioni di abitanti ed un passato da colonia britannica. Il suo ruolo geopolitico, insieme alla fragile ricerca di equilibrio tra la pesante influenza di Pechino e le tentazioni occidentali, ne fanno un esempio paradigmatico delle attuali politiche di Riduzione del Danno nel continente.

Mentre la contrapposizione tra sostenitori delle sigarette elettroniche e i suoi detrattori catalizza l’informazione negli Stati Uniti ed in Europa, dove si combatte una “battaglia” informativa sui vantaggi e gli svantaggi dei prodotti alternativi alle sigarette internazionali, in Asia la Riduzione del Danno da Tabacco rimane bloccata su posizioni oltranziste di opposizione “tout court” a tali prodotti.

Eppure il terreno di scontro, lì dove è fondamentale ampliare tutte quelle politiche tese a ridurre il numero di fumatori, rimane proprio il continente asiatico. Più della metà dei fumatori globali e il 60% delle morti causate dal fumo di sigaretta sono infatti concentrati in Asia.

 Il continente ospita una vasta gamma di politiche sulla nicotina, che vanno da approcci innovativi a cui il mondo dovrebbe prestare attenzione a severi divieti, talvolta anche immotivati.

E’ questo il caso di Hong Kong, territorio autonomo nel Sudest della Cina con una popolazione di circa 7 milioni di abitanti ed un passato da colonia britannica. Il suo ruolo geopolitico, insieme alla fragile ricerca di equilibrio tra la pesante influenza di Pechino e le tentazioni occidentali, ne fanno un esempio paradigmatico delle attuali politiche di Riduzione del Danno nel continente.

Nel 2019, il governo di Hong Kong annunciava l’intenzione di applicare un divieto generale su tutte le sigarette elettroniche ed i prodotti smokeless all’interno del Paese, secondo il quale chiunque importasse e vendesse Ecig, rischiava sei mesi di carcere o una multa di 50.000 HK$ (6.370 dollari).

La proposta da legge, da subito criticata dalle associazioni a protezione dei consumatori come draconiana e priva di benefici per i fumatori, da allora si è arenata a causa di tensioni interne e la pandemia da Covid-19. 

Nel frattempo, secondo una ricerca condotta da Youth Quitline, centro telefonico di aiuto per la cessazione del fumo all’interno dell’Università di Hong Kong, almeno l’86% dei fumatori nel Paese al di sotto dei 25 anni ha utilizzato almeno una volta sigarette elettroniche o dispositivi a tabacco riscaldato.

Come conseguenza principale, la discussione pubblica ad Hong Kong si è nuovamente spostata sui rischi delle ecig come porta d’accesso ai giovani verso il fumo, nonostante non vi siano evidenze scientifiche a confermarlo e numerose associazioni a difesa dei consumatori si oppongano alla criminalizzazione di tali dispositivi.

Secondo i detrattori, il ritardo nell’applicazione del divieto non ha fatto altro che agevolare l’accettazione delle sigarette elettroniche tra i giovanissimi. Secondo i sostenitori invece, ha dimostrato come i divieti immotivati siano inutili nella lotta contro il fumo e non dissuadono i consumatori a ricercare alternative meno dannose rispetto alla sigaretta convenzionale.

Nel mezzo di questa contrapposizione, lo scorso 2 Giugno il Consiglio Legislativo di Hong Kong ha abbandonato definitivamente il disegno di legge per vietare i prodotti da svapo nel paese, sancendo una vittoria per i sostenitori della Riduzione da danno da fumo.

Una decisione che si spera finalmente possa portare un cambio di rotta nella regione se il tasso di fumatori nel Paese, già estremamente basso con circa il 10% della popolazione totale, dovesse ulteriormente abbassarsi grazie alla disponibilità di prodotti da svapo e senza combustione.

Una vittoria che, inoltre, potrebbe avere una influenza positiva per tutti quei paesi asiatici che continuano a sostenere un immotivato divieto per tutti quei prodotti da Riduzione del Danno da Fumo.

Pandemia, distanza sociale, sexting: dipendenza o comportamento adattivo?

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Uno studio qualitativo del CoEHAR e dell’Università degli Studi di Catania evidenzia come gli italiani percepiscano il sexting come una dipendenza.

Catania: Nei primi mesi del 2020 lo scoppio della pandemia e le successive restrizioni tese a limitare la propagazione del virus Covid-19 hanno limitato fortemente non solo le libertà di movimento degli italiani ma anche molte attività sociali, ludiche, personali. Tra le tante sfere della socialità umana quella che però ha più risentito delle limitazioni imposte dall’auto-isolamento è stata quella inerente la sessualità ed il sesso.

Uno studio recente condotto dal Prof. Pasquale Caponnetto docente di Clinica delle Dipendenze presso il Dipartimento di Scienze della Formazione (Disfor) e ricercatore del Centro di Eccellenza per la Riduzione del rischio (CoEHAR), pubblicato all’interno della rivista internazionale Journal of Addictive Diseases, ha esplorato le abitudini sessuali degli italiani ed in particolare il loro approccio al sexting, ovvero l’atto di inviare/ricevere messaggi, foto o video sessualmente espliciti tramite smartphone e PC.

Una pratica sicura che consente un certo livello di intimità eliminando qualsiasi possibilità di contagio ma che potrebbe portare con se conseguenze a livello psicofisico tra cui una dipendenza. La ricerca, coadiuvata dalla dr.ssa Marilena Maglia e dalla dr.ssa Flavia Gervasi, mira quindi a stabilire se questo fenomeno sia percepito come una potenziale dipendenza o semplicemente un comportamento di adattamento sociale, considerate le politiche di distanziamento sociale e coprifuoco dettate dalla pandemia.

Una ricerca qualitativa che, attraverso interviste condotte su un campione di 37 soggetti di età compresa tra i 19 ed i 39 anni, ha evidenziato come la percezione sia quella di una vera e propria dipendenza piuttosto che una conseguenza della situazione causata dal Covid-19.

Le domande a cui la ricerca ha cercato di trovare risposta sono in relazione all’attuale condizione sociale dei partecipanti ed, in particolare: sul come viene percepito il sexting; se tale fenomeno sia da considerare come un tentativo di provvedere al benessere sessuale dell’individuo nel rispetto delle norme anti-Covid-19 o se il sexting possa diventare una dipendenza.

Attraverso una tecnica di campionamento probabilistico, sono stati reclutati con i social media trentasette soggetti divisi omogeneamente tra uomini e donne (50/50). Le modalità di somministrazione delle domande sono state quelle dell’intervista classica, utilizzando un colloquio semi-strutturato per accedere alla prospettiva personale dell’intervistato. Tra le altre caratteristiche del campione in esame, il 73% ha ammesso di aver utilizzato la pratica del sexting, con la stragrande maggioranza dei partecipanti (97.30%) che ha affermato di non essere sposato.

L’analisi tematica del campione ha evidenziato la presenza di quattro categorie e temi correlati tra cui: la percezione pre e post lockdown; la dipendenza dal sexting durante la pandemia; i pro e i contro della pratica del sexting; il sexting come adattamento alle restrizioni o potenziale dipendenza.

Secondo il prof. Pasquale Caponnetto: “I risultati della ricerca hanno confermato le ipotesi di studio, ovvero che la percezione riguardo al sexting sia cambiato a causa della situazione di emergenza sanitaria creata dal Covid-19. Le evidenze sottolineano infatti come alcuni partecipanti abbiano praticato sexting per la prima volta durante il lockdown, mentre la maggioranza del campione ha affermato di aver percepito un aumento nel bisogno di tale pratica”.

Tra gli aspetti positivi emersi, il sexting viene considerato dagli intervistati come una buona strategia di “sollievo” e come aiuto nella riduzione della distanza percepita rispetto agli altri. Tra gli aspetti negativi, la maggior parte del campione in esame (85%) considera il fenomeno più come una potenziale dipendenza che come un comportamento adattivo rispetto alla situazione creata dalla pandemia.

LINK allo studio: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34196603/

Fumatori incalliti: per uno studio UK, cessazione duratura grazie alle ecig

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Iniziare un percorso per smettere di fumare e pensare di raggiungere l’obiettivo nel giro di poco tempo è una concezione troppo semplicistica: circa l’80% dei fumatori continua a fumare per anni, nonostante si sottoponga a trattamenti intensivi

È indubbio che il beneficio anche di una singola sigaretta in meno si traduca in un sostanziale miglioramento delle condizioni di salute e della qualità di vita, ma proprio perchè una sigaretta può fare la differenza, così il continuare a fumare reitera comportamenti dannosi.

Metodi tradizionali come i cerotti alla nicotina, gli inalatori o gli spray nasali, se abbinati alla giusta terapia cognitivo-comportamentale possono funzionare, ma i risultati sono modesti: ogni anno, delle migliaia di fumatori che raggiungono i centri antifumo, solo un’esigua percentuale avvia con successo per un percorso di cessazione.

I ricercatori della Queen Mary University of London hanno dunque deciso di indagare quali siano le percentuali di successo se si paragonano i metodi tradizionali alle sigarette elettroniche.

Nello studio “E-cigarettes versus nicotine replacement treatment as harm reduction interventions for smokers who find quitting difficult: Randomised controlled trial”, pubblicato sula rivista Addiction, sono stati reclutati 135 fumatori cosiddetti “incalliti”, ovvero che non erano stati in grado di smettere con le terapie convenzionali.

I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: al primo, è stata data la possibilità di scegliere una tipologia di terapia sostitutiva a base di nicotina a propria scelta per un periodo di 8 settimane, al secondo è stata fornito un vaping starter pack con l’indicazione di acquistare i liquidi senza restrizioni sugli aromi o sulle concentrazioni di nicotina da utilizzare.

Entrambi i gruppi hanno ricevuto un supporto comportamentale minimo da abbinare ai metodi scelti.

Quali sono stati i benefici di questo approccio?

I fumatori che hanno dichiarato, al follow up dei sei mesi, di aver smesso completamente di fumare o di aver ridotto di almeno la metà il numero di sigarette fumate sono stati invitati a sottoporsi a misurazioni dei livelli di monossido di carbonio.

Basandosi sui dati e sulle misurazioni effettuate, i risultati sembrano parlare chiaro: dopo sei mesi, nel gruppo di fumatori che ha utilizzato le sigarette elettroniche, circa il 27% ha ridotto il numero di sigarette consumate di almeno la metà, a differenza del 6% del gruppo delle terapie convenzionali.

Stesso discorso per i tassi di cessazione, ottenuto da circa il 19% degli utilizzatori di ecig contro il 3% del secondo gruppo.

Questi risultati dimostrano importati implicazioni cliniche per i fumatori che non sono stati in grado di smettere in precedenza con i trattamenti convenzionali” dichiara la dottoressa Katie Mayers Smithy, prima autrice dello studio “si dovrebbero raccomandare le ecig per coloro che hanno avuto difficoltà a smettere con altri metodi, soprattutto quando vi è un limitato accesso a terapie comportamentali di supporto”.

Dal mondo britannico, un altro importante studio che conferma come le terapie alternative, che si basano sul principio dell’harm reduction, rappresentino un’arma efficace non solo per coloro che si occupano di cessazione, ma per tutti i fumatori che non hanno alternative.

Passi: diminuisce la prevalenza dei fumatori tra i medici

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Da uno studio condotto sui dati 2014-2018 del sistema di sorveglianza PASSI i cui risultati sono stati pubblicati a giugno 2021 sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nell’articolo “Smoking prevalence among healthcare workers in Italy, PASSI surveillance system data, 2014-2018”, si evince che rispetto agli operatori sanitari non medici, la prevalenza dei fumatori tra i medici è leggermente diminuita.

Un risultato sicuramente positivo dato che dall’analisi del campione preso in esame, all’interno del gruppo dei medici la prevalenza del fumo è del 16,0%. A confermarlo diverse caratteristiche demografiche: le donne fumano meno degli uomini, i medici ultra 50enni fumano meno dei più giovani, i medici del Nord fumano meno di quelli del Sud Italia.

Invece, tra gli operatori sanitari non medici, la prevalenza è del 25,3% e non varia con l’età e il genere, ma dipende dalle variabili socio economiche: una migliore condizione economica e un miglior livello di istruzione sono fattori protettivi.

Ma qual è il motivo per cui si fanno studi di questo tipo? Sicuramente perché i medici e tutti gli operatori sanitari svolgono, rispetto ad altre categorie lavorative, un ruolo chiave nella prevenzione al tabagismo. Il personale medico rappresenta un esempio per i pazienti che vorrebbero smettere di fumare e iniziare un percorso di smoking cessation, e il loro supporto è per questo di fondamentale importanza. I medici e gli infermieri che fumano risultano invece più restii nell’affrontare il problema del fumo dei loro pazienti e nel raccomandare i metodi per smettere.

Grazie a questo studio sappiamo oggi che la prevalenza di fumo tra i medici (16% nel periodo 2014-2018) è inferiore a quella dei lavoratori di altri settori (28,6%).

Le campagne di sensibilizzazione dovrebbero partire in primis dal personale medico sanitario e successivamente dalle buone campagne promosse dai centri antifumo che informano sui danni provocati dal fumo di sigarette; tenendo in considerazione che questo aspetto dovrebbe sempre andare a migliorare, magari diffondendosi all’interno di altre categorie lavorative.

In conclusione possiamo infatti affermare che questi risultati indicano che è sempre importante migliorare la competenza del personale sanitario sui danni del fumo di tabacco, ma anche il ruolo dell’industria del tabacco, delle politiche di controllo e sui metodi per smettere di fumare.

Viso e fumo, tutto quello che c’è da sapere

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“Faccia da fumatore” con questo termine, in inglese smoker’s face, si identificano tutti coloro con sigaretta in bocca e che portano i segni evidenti di chi per anni ha fumato. Tutta la pelle del nostro corpo ne risente, ma il viso in modo particolare, dimostrando dieci anni in più per colpa di un enzima prodotto dal fumo che ne degrada il collagene.

Secondo numerosi studi le polveri sottili e le impurità presenti nell’aria si depositano nell’epidermide penetrando in profondità, valorizzando i segni caratteristici dell’invecchiamento con discromie, colorito spento, rughe e secchezza, messe ancor di più in risalto in chi fuma. Il cosiddetto stress ossidativo viene combattuto da uno stile di vita sano, sostanze antiossidanti come frutta e verdura di stagione, un’attività fisica costante, una buona qualità del sonno e soprattutto dire stop alla sigaretta.

Uno step fondamentale è la pulizia profonda del viso, la sera prima di andare a dormire, quella beauty routine serale che non va mai trascurata, per eliminare le micro particelle e impurità che si depositano durante l’arco della giornata. Attenzione anche, in questo periodo, all’esposizione dei raggi solari che proprio sul viso intensificano l’invecchiamento cutaneo.

Alcuni componenti del fumo di sigaretta vengono assorbiti così da causare danni al tessuto connettivo e anche di tipo vascolare. Diminuendo il flusso delle arterie e dei capillari nella pelle c’è il rischio di ischemia cronica del derma.

La pelle del viso va protetta tutto l’anno con filtri solari ad alto SPF. Molte donne che fumano hanno in viso, un acne particolare con pori dilatati e accumuli di grasso, ma il segno più evidente è la bocca dei fumatori con il codice a barre particolarmente evidenziato.

Le fumatrici sembrano più vecchie eppure basta solo smettere per riprendere colorito, risanare occhiaie e rughe, ritrovare un viso più giovane e bello da vedere.

I risultati della cessation antifumo regalano la possibilità di motivarsi, dicendo “grazie” allo specchio.

Svizzera: le restrizioni sul fumo non sono un deterrente per i più giovani

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svizzera

Bandi e aumento dei prezzi: le politiche sociali ed economiche antibagismo di molti governi si fondano sull’assunto che un limitato accesso al prodotto si traduce in un effettiva diminuzione del numero di fumatori, sopratutto tra i più giovani.

Negli ultimi anni, diversi economisti si sono interrogati se effettivamente misure restrittive come quelle sopracitate abbiano un significativo impatto in termini di contenimento nei tassi di tabagisti.

Ultimo in ordine temporale, uno studio dei ricercatori delle università di Basilea e Losanna, in Svizzera, che ha valutato l’impatto delle politiche restrittive di accesso ai prodotti del tabacco sugli adolescenti svizzeri, incrociando i dati dal 2001 al 2016.

Aver impedito ai minori di accedere alle sigarette ha impattato sul numero di fumatori nel paese?

A quanto pare, no: l’impatto dei bandi non ha avuto ripercussioni né in positivo né in negativo. Secondo la ricerca, non solo i giovani, se necessitano di una sigaretta, riescono ad aggirare i divieti, come emerge anche da studi analoghi, ma sebbene considerino il fumo meno “figo”, non cambiano la propria percezione sul rischio legato alla sigaretta.

Lo studio ha analizzato le abitudini di circa 80.000 giovani svizzeri al di sotto dei 21 anni di età tra il 2001 e il 2016. Secondo i ricercatori, le attuali politiche non comportano una diminuzione delle probabilità che questi giovani diventino fumatori in età adulta. 

Non variano nemmeno le percezioni in merito a malattie o decorsi patologici possibili legati al fumo: un dato curioso e allarmante, in un paese dove il 27% della popolazione fuma.

Una possibile spiegazione può risiedere nel fatto che gli adolescenti riescano a trovare modi di aggirare il bando” spiega Alois Stutzer, uno degli autori dello studio.

Sebbene gli acquisti presso i tabaccai siano inferiori per via del bando, rimane invariato l’accesso alle sigarette, che continua attraverso amicizie o, come emerso anche in studi analoghi, all’interno delle famiglie stesse, se sono presenti fumatori.

Dovremo essere consapevoli che i divieti sulle sigarette, se non sono supportati da misure delle forze dell’ordine, non sortiscono un effettivo cambiamento sui tassi di fumatori”, spiega il ricercatore.

Qual è la situazione in Svizzera per quanto riguarda le ecig? 

Nel paese ha sede uno dei centri di ricerca principali della Philip Morris, una delle più grandi aziende del tabacco a livello mondiale. IL “Cube”, una struttura avveniristica legata allo sviluppo dell’IQOS, ha infatti sede a Neuchâtel.

Proprio la presenza di questa azienda  rende la questione sulla limitazione della pubblicità relativa alle sigarette alquanto spinosa: è dal 2016, infatti, che nel paese si cerca di revisionare la la Tobacco Products Law, sopratutto per tutelare i più giovani.

La mancanza di un adeguamento di questa legge, impedisce inoltre al paese di ratificare La Framework Convention of Tobacco Control: all’interno del governo, correnti opposte si interrogano su quanto tali divieti non siano in realtà lesivi della possibilità delle industrie di promuovere i propri prodotti e la presenza di una di queste in territorio non agevola le trattative.

Già nel 2018, un’iniziativa partita su base popolare, sopportata da asscociaizoni come Swiss Cancer League, gruppi di medici e Sucht Shweiz ha richiesto un intervento legislativo per tutelare i minori dalla pubblicità legata al fumo, ma il governo ha rigettato la richiesta, riconoscendo al contempo la necessità di intervenire.

Al monento, nel paese, è vietato fumare negli spazi pubblici al chiuso e negli uffici, oltre che sui mezzi di trasporto, mentre, recentemente, è stata data indicazione per predisporre aree fumatori apposite in corrispondenza delle fermate dei mezzi di trasporto pubblici.

Prodotti senza combustione: sensibilizzare per un futuro senza fumo

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Futuro senza fumo, le dichiarazioni degli esperti dell’evento organizzato da Formiche e Philip Morris Italia: “Un futuro senza fumo. Buone pratiche per una corretta comunicazione”.

(ITALPRESS) – “Presentiamo un percorso di lavoro che si è avvalso e vorrà avvalersi di tante collaborazioni con l’obiettivo di produrre un codice di autoregolamentazione per la filiera della distribuzione e della produzione dei prodotti senza combustione. La nostra attività è volta a una maggiore valorizzazione della riduzione del rischio all’interno delle politiche della sanità pubblica“. Così Alberto Baldazzi, vicedirettore di Eurispes ha aperto “Un futuro senza fumo. Buone pratiche per una corretta comunicazione”. L’evento, organizzato da Formiche con il contributo di Philip Morris Italia, è stato l’occasione per discutere insieme a esperti, rappresentanti della filiera dei prodotti senza combustione e ospiti istituzionali, quali siano le modalità di comunicazione più opportune riguardo ai prodotti senza combustione, alternativi alle sigarette, in modo da garantire ai consumatori di effettuare una scelta consapevole tutelando, al contempo, giovani e non fumatori. “Nonostante i prodotti senza combustione siano legalmente in commercio, si scontrano con l’avversione dell’autorità sanitaria a prenderli in considerazione nella lotta all’impatto del tabagismo, che ritiene la cessazione senza se e senza ma l’unica politica. Rispetto a questa chiusura totale noi non siamo d’accordo – continua Baldazzi – poiché l’offerta sociosanitaria e i centri anti fumo si sono rivelati inefficienti. Quasi 12 milioni di italiani fumano e continuano a fumare“.

(askanews) – “La Sanità non sposa il concetto di rischio ridotto in nome di un eccessivo principio di precauzione, mentre i governi inglese e neozelandese mandano spot in tv. Nel Regno Unito, le sigarette elettroniche sono addirittura distribuite negli ospedali: fanno parte dei trattamenti del tabagismo”. Lo ha detto Umberto Roccatti, presidente ANAFE, nell’ambito del tavolo di lavoro “Un futuro senza fumo. Buone pratiche per una corretta comunicazione”, organizzato da Formiche e Philip Morris Italia, alla presentazione del “Codice di autoregolamentazione per la comunicazione e vendita dei prodotti senza combustione”, elaborato da Eurispes e da soggetti associativi rappresentativi della filiera di distribuzione dei prodotti senza fumo, quali ANAFE – Associazione Nazionale produttori di Fumo Elettronico (Confindustria), FIT – Federazione Italiana Tabaccai, con il contributo di importanti personalità giuridiche, tecniche e sanitarie.

Il 91% dei fumatori italiani, 10 milioni, non riesce a smettere di fumare e per questo riteniamo la sigaretta elettronica sia complementare alle sacrosante politiche sanitarie nazionali. Ben venga la cessazione, ma è uno strumento che non è ricevibile per la stragrande maggioranza dei fumatori. Un fumatore su mille si rivolge a un centro antifumo in Italia e un fumatore su duemila smette di fumare attraverso i centri antifumo“, ha aggiunto. “Fra i nostri principi, non comunicare la sigaretta elettronica come un prodotto privo di rischi e non attuare campagne di comunicazione attrattive per i giovani – ha proseguito Roccatti-. Il mantra deve essere: se non fumi, non iniziare. Non fumare nulla: né tabacco combusto, né tabacco riscaldato, né sigarette elettroniche. Se fumi, smetti. Se non riesci a smettere, allora valuta un prodotto a rischio ridotto“.
Per Roccatti, “i costi sociali del fumo sono pazzeschi, 24 miliardi di euro, e fa 93 mila vittime all’anno. Come ANAFE chiediamo di comunicare nel senso di informare e che sia bandita la comunicazione commerciale aggressiva. Informazione nel senso di rischio ridotto“. “ANAFE è favorevole a questo osservatorio a patto che ci sia un’ampia sottoscrizione da parte delle varie filiere associative e distributive. Perché essendoci un monitoraggio dei firmatari, non possiamo essere noi gli unici monitorati“, ha concluso.

(askanews) – “Abbiamo pensato a un codice di autoregolamentazione per i prodotti senza combustione che possono essere un’alternativa per chi non riesce a smettere di fumare; il codice è ancora in via di definizione e aperto a ulteriori contributi“. Lo ha detto la vice presidente di Eurispes Raffaella Saso, nell’ambito del tavolo di lavoro “Un futuro senza fumo. Buone pratiche per una corretta comunicazione”, organizzato da Formiche e Philip Morris Italia, alla presentazione del “Codice di autoregolamentazione per la comunicazione e vendita dei prodotti senza combustione“, elaborato da Eurispes e da soggetti associativi rappresentativi della filiera di distribuzione dei prodotti senza fumo, quali ANAFE – Associazione Nazionale produttori di Fumo Elettronico (Confindustria)FIT – Federazione Italiana Tabaccai, con il contributo di importanti personalità giuridiche, tecniche e sanitarie. “L’unica posizione delle istituzioni rimane far smettere di fumare, però concretamente il numero di fumatori negli ultimi anni di fatto è rimasto sostanzialmente stabile. Abbiamo un altissimo numero di fumatori che alla domanda ‘vorrebbe smettere di fumare’ risponde ‘assolutamente no’. Il risultato ideale è non iniziare oppure smettere, ma è con questa realtà che ci dobbiamo confrontare“, ha osservato Saso. “Il nostro obiettivo è la valorizzazione della riduzione del rischio all’interno della Sanità pubblica. Ormai non è più solo il sistema britannico finalizzato ad ottenere la riduzione del danno“, ha dichiarato il vice direttore di Eurispes Alberto Baldazzi.


Il convegno è proseguito con Giovanni Risso, presidente nazionale FIT, che ha affermato: “Ci rendiamo conto che stanno cambiando gli stili di vita e i consumatori guardano con più attenzione a prodotti di nuova generazione per la riduzione del danno, mi riferisco tanto a prodotti a base di tabacco riscaldato quanto alle sigarette elettroniche“. “Vogliamo portare avanti un concetto nuovo che è quello della prevenzione parziale – ha aggiunto Johann Rossi Mason, giornalista scientifica e direttrice di Mohre – l’Osservatorio sulle strategie di riduzione del rischio – Sarebbe stato bello che i player fossero stati tutto allo stesso tavolo. La nostra perplessità è la volontà di mettere sotto un unico cappello tutti i prodotti alternativi“. “Io incoraggerei tutti ad aderire, anche un operatore soltanto, perché gli altri poi seguiranno – riflette Laura Galli di Adiconsum – Vaping, sigarette elettroniche, in questa fase possiamo accettare che si stiano tutti quanti sotto lo stesso cappello, perché si mettono insieme mercati diversi e prodotti diversi per iniziare una forma di responsabilizzazione della filiera“. “La comunicazione è fondamentale, perché è fondamentale la prevenzione primaria. Il fumo produce al mondo 8 milioni di morti l’anno. In Italia, con 11 milioni e mezzo di fumatori, si consideri che una buona parte dei tumori è legata al fumo. Oggi stiamo parlando di salvaguardare e proteggere i soggetti che comunque continuano a fumare“, ha aggiunto Francesco Cognetti, Primario di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Regina Elena di Roma. “La riduzione del danno è un principio importante, come è importante che questi strumenti possano essere commercializzati con tutte le precauzioni del caso”, ha concluso l’oncologo. “Non è possibile dall’oggi al domani eliminare il fumo completamente, per quanto auspicabile. Adesso c’è una consapevolezza diversa. Lo Stato può investire in campagne di informazione“, ha osservato l’onorevole Giorgio Lovecchio, proseguendo nel convegno. “Sì alla informazione, no alla proibizione. Per non favorire prodotti illeciti, dove non sappiamo cosa c’è all’interno“, ha concluso il deputato.

Bloomberg Philanthropies: opportunismo o attivismo?

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bloomberg philanthropies

Micheal Bloomberg non è un nome sconosciuto: ex sindaco di New York, ha alle spalle una fallimentare, ma costosa, campagna alle presidenziali statunitensi del Marzo 2020.

Ma ancora più conosciuto è il suo impegno filantropico, promosso attraverso la Bloomberg Philanthropies, che comprende le attività filantropiche della sua fondazione, delle sue società e personali, oltre che quelle della Bloomberg Associate, una società di consulenza che lavora a stretto contatto con i sindaci di diverse città nel mondo.

Parte dell’attività dell’impero Bloomberg è orientata a combattere l’uso del tabacco in qualsiasi forma, grazie all’organizzazione no profit Campaign for Tobacco-Free Kids, il cui scopo è contrastare la diffusione del fumo tra i più giovani, sia sul territorio americano, sia nei paesi a basso e medio reddito, soprattutto in quelli dove la piaga del tabagismo è più diffusa.

Attività che ha portato la Bloomberg Philanthropies ad intessere rapporti molto stretti con i governi di molti stati, creando una vera e propria rete di connessioni internazionali.

Ma come si articolo l’influenza dell’organizzazione?

Secondo il recente articolo di Michelle Minton, pubblicato su Competitive Enterprise Institute, l’ingerenza della Campaign for Tobacco-Free Kids nelle politiche dei paesi a basso e medio reddito andrebbe ben oltre le raccomandazioni e le misure in materia di tassazione, pubblicità e restrizioni sull’età minima di acquisto del tabacco.

In questi paesi, i fondi destinati al settore della salute pubblica non sono sufficienti e qualunque organizzazione con un’importante base monetaria a cui attingere ottiene subito notevole considerazione nei territori in cui opera.

Molto spesso i sovvenzionamenti in ambito sanitario che alcune organizzazioni riescono ad immettere nei paesi sono superiori ai budget degli stessi governi. Secondo l’articolo della Minton, il do ut des della Bloomberg Philanthropies riguarderebbe uno scambio di favori tra le attività dell’organizzazione e l’approvazione di misure e leggi più o meno restrittive nei confronti dei prodotti a base di tabacco.

Considerando che la Bloomberg Philanthropies ha speso quasi 700 milioni di dollari per incentivare l’adozione di misure importanti contro il fumo, comprese quelle che di fatto vietano o limitano la promozione e la vendita di tutti i prodotti connessi al vaping, si delinea uno scenario in cui l’attività della Bloomberg può essere paragonata alla corruzione.

I finanziamenti dunque non solo al settore sanitario, ma anche ad università e al settore dei media, per permettere la giusta veicolazione del messaggio in paesi come Nigeria, Brasile e Cina.

Ingerenza che elimina di fatto valide alternative al fumo tradizionale, ormai riconosciute dalla ricerca in tutto il mondo, e rappresentate principalmente dai dispositivi a rischio ridotto, come le sigarette elettroniche e i prodotti a tabacco riscaldato.

L’attività della Bloomberg impedisce o limita pesantemente la vendita di questi prodotti in Cina, Brasile, Uruguay, Perù, Uganda, Nigeria e Filippine e di fatto allontanandosi dall’obiettivo dichiarato di proteggere semplicemente i più giovani dai danni della sigaretta.

In recenti articoli, abbiamo esaminato quanto le campagne privative non solo impediscano l’accesso ad alternative meno dannose per coloro che non riescono a smettere di fumare, ma alimentino proprio il vizio che vogliono combattere: molti fumatori, scoraggiati dal non riuscire a smettere, preferiscono continuare con le sigarette.

La strategia di Campaign for Tobacco-Free Kids, e del più ampio sforzo contro il tabacco finanziato da Bloomberg” nota Michellesembrano orientati più a vincere battaglie politiche e all’approvazione di leggi, piuttosto che considerare se effettivamente si raggiunga una diminuzione dei tassi sul fumo o si verifichino miglioramenti per la salute”.

Un attivismo che si lega intrinsecamente a interessi politici e relazioni internazionali, e che agisce ciecamente, influenzando il corso della lotta al tabagismo, che dovrebbe vedere uniti tutti i diversi fronti, invece che rendere ancora maggiore il gap tra chi crede nel vaping e chi invece lo ostacola.