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Nuovo studio rivela proprietà antibatteriche nei liquidi delle sigarette elettroniche

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I liquidi utilizzati nelle sigarette elettroniche dimostrano proprietà antibatteriche contro diversi ceppi patogeni, che aumentano in presenza di aromi e nicotina. Questo il risultato di una nuova ricerca condotta dai ricercatori del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania e pubblicata sulla rivista Current Pharmaceutical Biotechnology.

Catania, 9 Settembre 2020 Il propilenglicole (PG), noto anche come 1,2-propandiolo, e il glicerolo vegetale (VG) noto anche come 1,2,3-propantriolo, ampiamente utilizzati nei dispositivi delle sigarette elettroniche, si sono rivelati estremamente efficaci come battericidi. Il PG è un composto utilizzato principalmente per solubilizzare aromi e nicotina mentre il VG per aumentare la densità dell’aerosol prodotto.

Il nostro studio conferma effetti noti già da tempo sul PG e VG, ossia i loro effetti antimicrobici. Il PG vaporizzato, infatti, era già usato oltre 50 anni fa come disinfettante in ambienti sanitari, mentre il VG è tutt’oggi impiegato come antibatterico in molti preparati alimentari e farmacologici”– spiega Massimo Caruso, autore dello studio e già coordinatore di Replica, uno dei progetti di ricerca più importanti del CoEHAR che ha l’obiettivo di replicare gli studi condotti sulla sigaretta elettronica in maniera del tutto indipendente.“Nel nostro studio – continua Caruso – abbiamo dimostrato che, anche nella loro forma liquida, questi composti mantengono una certa azione battericida. Inoltre si evidenzia come sia da non trascurare l’effetto che i flavors, anche vaporizzati, possono avere su diverse specie batteriche, soprattutto in associazione con la nicotina”.

Lo Studio

Per la ricerca sono stati utilizzati sette tipi di ceppi batterici come la Klebsiella pneumoniae, Staphylococcus aereus, Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter baumannii, Escherichia coli, Enterococcus faecalis e Sarcina lutea, per valutare l’attività antimicrobica dei liquidi. Le valutazioni sono state eseguite su quattro tipi di liquidi per sigarette elettroniche presenti in commercio con o senza aromi, due dei quali con nicotina (18 mg/mL) e due senza nicotina. Tutte le formulazioni avevano una base di PG e VG (50:50). I componenti aromatici addizionali utilizzati per lo studio erano mentolo, vanillina, trans-anetolo ed eucaliptolo. Nella maggior parte dei casi, il valore della concentrazione battericida minima è stato uguale al valore della concentrazione inibitoria minima fino a concentrazioni pari al 6,25% v/v, confermando la tesi di partenza. Il test di vitalità nelle cellule polmonari umane A549 ha anche mostrato una inibizione dose-dipendente della crescita cellulare, fornendo importanti evidenze per nuovi approcci investigativi per chiarire la diversa sensibilità anche delle  cellule umane oltre che delle culture batteriche ai liquidi presenti nelle sigarette elettroniche ed ai componenti di nicotina e aromi.

“È importante sottolineare come il nostro studio non sia direttamente correlato al normale uso della sigaretta elettronica, ma stiamo già lavorando per esplorare gli effetti sui ceppi batterici degli stessi prodotti aerosolizzati dai dispositivi elettronici di uso comune” sottolinea Virginia Fuochi, ricercatrice per il Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche dell’Università di Catania.

I risultati finali della ricerca hanno infatti dimostrato come gli aromi presenti nei liquidi delle sigarette elettroniche aumentino notevolmente l’attività antibatterica di PG e VG e come gli aromi analizzati in questo studio abbiano lavorato in sinergia con la nicotina mostrando attività antiossidante.

Sebbene sia solo uno studio preliminare – ha aggiunto Fuochi – esso fornisce prove importanti che dovrebbero essere considerate in ulteriori approcci investigativi”.

Sono infatti necessari ulteriori studi con modelli più complessi che utilizzano il vapore di sigaretta elettronica e che dovrebbero includere l’esposizione di ceppi batterici e cellule umane su campioni di ex-fumatori e utilizzatori di sigarette elettroniche.

Veritas Cohort: lo studio sull’utilizzo delle ecig che valuta anche Messico e Costa Rica

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veritas cohort

Veritas Cohort sta cercando già da diversi mesi svapatori con un breve passato da fumatori o che non abbiano mai fumato per un’indagine relativa agli effetti sulla salute.

L’obiettivo della ricerca è anche quello di raccogliere informazioni nelle varie aree di studio selezionate. Tra queste, in prima linea, anche i paesi come Costa Rica, Messico, Portogallo e Spagna.

I siti di studio previsti sono:

  • Canada (zona Toronto)
  • Costa Rica
  • Estonia
  • Germania (Bayern / Monaco)
  • Grecia (Atene)
  • Ungheria (Budapest)
  • Irlanda (Dublino)
  • Italia (Catania, Milano e Torino)
  • Messico (Città del Messico)
  • Nuova Zelanda (Auckland)
  • Polonia (diversi luoghi)
  • Portogallo (zona metropolitana di Lisbona)
  • Regno Unito (diverse luoghi)
  • Stati Uniti (diverse luoghi)
  • Spagna (zona Madrid)

Lo studio è condotto dallo scienziato Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, ed è coordinato da Carl Phillips, esperto di riduzione del danno che da diversi anni supporta le comunità dello svapo lottando per il diritto alla salute dei fumatori che vogliono smettere.

La ricerca di Veritas Cohort è rivolta a tutti i non fumatori che usano la sigaretta elettronica abitualmente e che hanno fumato pochissime sigarette nel corso della loro vita. Durante il corso dei sei anni (durata prevista per lo studio), i soggetti di ricerca saranno invitati a sottoporsi a esami medici annuali (gratuiti) che includeranno test di funzionalità polmonare e TAC.

Per sapere se puoi partecipare scopri l’area di ricerca a te più vicina e compila direttamente il questionario.

Per tutti gli aggiornamenti, invece, chiedi agli ambassador di riferimento di ogni paese e continua a seguire Veritas Cohort sui canali ufficiali di Facebook, Instagram e Twitter.

Realtà Virtuale e Schizofrenia: l’emergere di nuove tecnologie nelle terapie

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schizofrenia VR

Una review condotta dai ricercatori dell’Università di Catania e del COEHAR suggerisce che la realtà virtuale possa essere usata per trattare efficacemente alcune condizioni psichiatriche, tra cui quelle afferenti allo spettro della schizofrenia

Catania, 31 agosto 2020– La realtà virtuale è foriera di indubbi vantaggi, tra cui versatilità, riproducibilità, standardizzazione dei trattamenti, adattabilità ai bisogni dei pazienti, rapidità, efficacia, persistenza dei risultati anche dopo poche sedute e aumento della motivazione dei pazienti. Inoltre, la realtà virtuale permette di sviluppare strategie di intervento che non prevedono l’utilizzo di medicinali e, di conseguenza, essere priva di effetti collaterali, anche in quei pazienti refrattari alle terapie farmacologiche convenzionali.

I ricercatori dell’Università di Catania e del Coehar (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo), guidati da Emanuele Bisso, hanno recentemente pubblicato una review dal titolo “Immersive Virtual Reality Applications in Schizophrenia Spectrum Therapy: a Systematic Review”, all’interno del numero speciale di “Cyber Health Psychology and Psychotherapy: The Use of New Technologies in the Service of Mental Health”, International Journal of Environmental Research and Public Health, revisionato da Pasquale Caponnetto, Maria Signorelli e Marilena Maglia.

In questo numero speciale, appartenente alla sezione “Salute Mentale”, sono state analizzate alcune delle tecnologie utilizzate in ambito clinico-psicologico, psicoterapico e della salute mentale, tra cui la realtà virtuale, i biosensori, l’intelligenza artificiale e l’affective computing, con l’obiettivo di comprendere come il progresso tecnologico e l’emergere di nuove tecnologie possano generare valore aggiunto nel panorama psicologico.

LA REALTÁ VIRTUALE

La realtà virtuale è un’esperienza digitale che consiste nello sviluppo di un ambiente virtuale tridimensionale, con cui un soggetto può interagire attraverso un controller o una tastiera. Diversi studi in ambito psichiatrico hanno dimostrato come tale tecnologia possa risultare efficace nel trattamento di diverse patologie, come i disordini da stress post-traumatico, disordini d’ansia o fobie specifiche.

Lo scopo della review consiste nel focalizzarsi sulle terapie utili per trattare i disordini dello spettro della schizofrenia attraverso la realtà virtuale, fornendo al contempo una visione aggiornata sull’insieme delle tecniche e strategie terapeutiche ad oggi disponibili.

Per meglio comprendere i risvolti della ricerca, bisogna partire dalla distinzione tra realtà virtuale “immersiva” e non immersiva o “interattiva”: nel primo caso, un display montato sula testa del paziente permette un’immersione completa e interattiva del paziente nell’ambiente virtuale che si crea, nel secondo caso, invece, il paziente è posto di fronte a uno schermo che riproduce semplicemente la realtà fittizia, mancando dunque delle caratteristiche di immersione completa che la realtà virtuale immersiva permette di sperimentare.

Nonostante non esistano studi specifici, dovuti anche al carattere innovativo dell’approccio, gli articoli presi in considerazione concordano sulla tollerabilità e sulla persistenza nel lungo periodo degli effetti benefici della realtà virtuale nel trattamento di vari sintomi positivi o negativi collegati ai disordini dello spettro della schizofrenia.

REALTÀ VIRTUALE E SMOKING CESSATION

In uno studio precedente del COEHAR, I ricercatori hanno arruolato quaranta giovani fumatori adulti, tra i 20 ei 30 anni, non motivati a smettere di fumare e li hanno invitati a valutare la loro motivazione dopo essere stati sottoposti a tre diversi stimoli: un pacchetto di sigarette con le immagini scioccanti, un breve film che mostrava gli effetti polmonari del fumo e una sessione di realtà virtuale sulla progressione delle possibili malattie legate al fumo. 

Rispetto all’obiettivo primario di incremento motivazionale, tutti gli stimoli forniti sono stati significativi nel miglioramento della motivazione a smettere di fumare ma la differenza tra lo stimolo provocato dalle immagini sul pacchetto di sigarette e del video rispetto a quello provocato dalla realtà virtuale è stata significativa. La realtà virtuale ha avuto un impatto molto più forte sulla motivazione intrinseca del fumatore.

DELIRI E PARANOIA

I deliri persecutori derivano da convinzioni di minaccia incoerenti che attivano comportamenti volti ad evitare situazioni ansiogene. Due trial randomizzati hanno dimostrato come la terapia cognitiva comportamentale basta sulla realtà virtuale abbia portato a risultati apprezzabili anche dopo che i pazienti hanno iniziato a fronteggiare situazioni nel mondo reale. Secondo l’opinione dei ricercatori, è necessario però espandere il campione oggetto dello studio e confrontare i risultati ottenuti dalle terapie cognitivo-comportamentali tradizionali e quelle basate sulla realtà virtuale.

ALLUCINAZIONI VERBALI UDITIVE

Le allucinazioni verbali uditive rappresentano uno dei sintomi più frequenti di una psicosi. In uno studio, i pazienti affetti da schizofrenia resistente ai farmaci e trattati attraverso l’utilizzo della realtà virtuale hanno dimostrato un miglioramento significativo della gravità delle allucinazioni, dei sintomi depressivi e della qualità della vita.

Tali miglioramenti sono rimasti apprezzabili anche nel follow up dei tre mesi, dimostrando come le strategie apprese durante le terapie con la realtà virtuale hanno portato a miglioramenti nella vita dei pazienti anche dopo la fine del trattamento. Attraverso la realtà virtuale i pazienti possono esplorare i propri sentimenti e le proprie emozioni in un ambiente controllato, modulando la loro risposta alle voci persecutorie.

DEFICIT COGNITIVI

Le funzioni cognitive nei pazienti con disordini dello spettro della schizofrenia sono spesso compromesse. Due trial clinici condotti da La Paglia hanno utilizzato la realtà virtuale per far compiere determinate attività mirate ai pazienti in quattro scenari virtuali differenti, un supermercato, un parco, una spiaggia e una valle. Dopo 10 sessioni, il gruppo di pazienti curati con la realtà virtuale ha evidenziato una miglior riduzione del numero di errori e del tempo di esecuzione delle attività, insieme a una maggior ottemperanza delle regole e a un’attenzione sostenuta.

ABILITÁ SOCIALI

Secondo un trial randomizzato controllato condotto su 91 pazienti affetti da disturbi dello spettro della schizofrenia, la realtà virtuale ha permesso un miglioramento delle abilità di conversazione e ha indotto una maggiore assertività e motivazione al trattamento.

In conclusione, i dati attuali non permettono di stabilire se i trattamenti basati sulla realtà virtuale risultino essere migliori di quelli convenzionali. Tuttavia sono necessari ulteriori studi su un campione più vasto per poter confermare questi dati preliminari molto incoraggianti.

Parte a Troina il primo studio tra CoEHAR, Duke University e Irccs Oasi Martia SS. di Troina per verificare la correlazione esistente tra abitudine al fumo e COVID-19

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Troina

Catania, 3 Settembre 2020 – Il CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania, la Duke University (USA) e l’IRCCS Oasi Maria SS. di Troina avviano una indagine siero-epidemiologica per valutare il grado di immunità anti-coronavirus sulla popolazione del Comune di Troina, già zona ad alto rischio per l’elevato numero di casi di contagio.

In questi giorni si stanno effettuando nella palestra comunale “Don Pino Puglisi” di Troina i test siero-epidemiologici sui cittadini per valutare l’impatto del fumo sulle infezioni da COVID-19 su una popolazione ad alto rischio.

I soggetti sono stati selezionati secondo il piano di campionamento probabilistico multistratificato per genere ed età su tutta la popolazione, da cittadini di 5 anni fino agli over 80. Oltre ai soggetti selezionati, inoltre, si è svolta un’indagine sui dipendenti dell’IRCCS Oasi che si sono arruolati volontariamente in quanto hanno lavorato a stretto contatto con i pazienti.  

Fin dall’inizio della pandemia, l’Italia è stata capofila del dibattito scientifico internazionale. I dati italiani e gli studi effettuati sulle zone ad alto rischio sono stati essenziali per la valutazione dell’impatto e delle misure di contenimento della pandemia. Questo nuovo studio, targato CoEHAR, si inserisce nel filone degli studi sul COVID-19 analizzando per la prima volta, con metodo scientifico rigoroso e con test sierologici recentemente validati, i rapporti esistenti tra fumo di sigaretta, contagio e malattia causata dal virus.

L’ipotesi di partenza è stata dettata dalle osservazioni di numerosi studi internazionali che svelano a sorpresa un possibile effetto “protettivo” del tabagismo nei confronti della infezione da coronavirus e di ospedalizzazione da COVID-19. 

“I risultati di numerosi studi effettuati su pazienti ospedalizzati per COVID-19 hanno evidenziato una bassissima percentuale di fumatori – ha spiegato il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR – e questo ci deve far riflettere sui potenziali meccanismi che interagiscono tra fumo di sigaretta e grado di diffusione del coronavirus e livello di gravità per COVID-19. Tuttavia, è necessario analizzare questa correlazione con metodi più affidabili di quelli usati finora”.

Lo studio prevede un’analisi sierologica per misurare i livelli di anticorpi bloccanti anti-SARS-CoV-2, un sondaggio epidemiologico effettuato tramite questionario elettronico e infine, tra gli aspetti innovativi del progetto, l’analisi di specifici biomarcatori del tabagismo, per la conferma biochimica dello stato di fumatore. 

L’indagine sta coinvolgendo quasi 2000 residenti nel territorio di Troina ed è svolta con la preziosa collaborazione della Direzione Scientifica dell’IRCCS Oasi, dello stesso Comune e della Protezione Civile. 

I risultati della ricerca potranno dare le risposte certe ai quesiti che anche l’OMS e le più grandi organizzazioni di sanità pubblica internazionale si stanno ponendo negli ultimi mesi sulla correlazione tra fumo e coronavirus, oltre a fornire ai governi le indicazioni più utili in attesa che sia al più presto disponibile un vaccino per tutti. 

Il progetto inoltre si propone di istituire una BioBanca di campioni di siero, che sarà realizzata e gestita in collaborazione con lo spin off dell’Università di Catania, Eclat srl e che permetterà di convalidare test rapidi e affidabili per la valutazione dei biomarcatori del tabagismo. Lo studio si svolge in collaborazione con alcuni docenti del CoEHAR, tra cui i membri Venera Tomaselli, Margherita Ferrante e Filippo Caraci. 

Vacanze post lockdown: quali rischi si corrono a viaggiare ai tempi del COVID-19?

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Viaggiare

Da studi preliminari emerge che le probabilità di contrarre il COVID-19 su aerei e mezzi di trasporto pubblici sono in realtà molto basse, complici le misure di sicurezza adottate e le norme igieniche da rispettare quando si viaggia.

Fine della quarantena. Tempo di sfrenata celebrazione? Non proprio. Sebbene siamo decisamente lontani dai giorni drammatici di Marzo e Aprile, il virus circola ancora. Ci stiamo piano piano riappropriando del nostro quotidiano e ritornando a uno stile di vita normale.

Ma dobbiamo imparare a convivere con il rischio del contagio per un altro po’ di tempo e senza dimenticare che igienizzare frequentemente le mani, usare la mascherina e mantenere un minimo di social distancing rimangono ancora oggi le migliori armi a difesa dal coronavirus. Soprattutto su aeroplani, treni, navi e mezzi pubblici.

Le vacanze estive hanno però riacutizzato alcune preoccupazioni sopite e il tema della sicurezza è prepotentemente ritornato alla ribalta mediatica con l’annuncio della comparsa di nuovi contagi e focolai in diverse aree turistiche, in particolare modo località marinare. In molti si sono interrogati se fossero più sicure le spiagge o i sentieri di montagna e a quali rischi si è esposti durante il viaggio. Non sorprende che i motori di ricerca del web siano intasati dalle parole chiave “areo”, “mascherina”, “viaggiare” e “sicurezza”.

Tutti abbiamo cercato di districare la massa di informazioni contrastanti che ci sono state fornite, chiedendoci quale fosse il mezzo migliore per i nostri spostamenti estivi. Una buona parte avrebbe comunque optato per l’aeroplano.

Vien da sé che l’ambiente ristretto e il contatto ravvicinato hanno destato qualche perplessità.

Ma quante probabilità ci sono effettivamente di contrarre il COVID-19 in viaggio? E al nostro rientro come ci comporteremo sui mezzi pubblici?

VIAGGIARE IN AEREO

Da quando i vari stati hanno allentato le misure restrittive e consentito gli spostamenti, l’attenzione primaria di molte compagnie è diventata garantire la “sicurezza sanitaria”. Garantire ai passeggeri igiene pulizia significa avere la possibilità di riprendere al più presto la piena operatività.

Le norme di accesso all’aeroporto sono diventate più rigide: in molte strutture, l’accesso all’area interna è consentito solo ai passeggeri in partenza. Passeggeri a cui viene rilevata la temperatura con i termoscanner e che, nelle sala d’attesa, possono sedersi alla distanza di un posto ciascuno dall’altro. Complici anche il numero esiguo di voli internazionali e la marcata riduzione nel numero di viaggiatori, la vita caotica e frenetica degli aeroporti sembra quasi sospesa e il viaggiare si svolge con molta più lentezza.

Ma veniamo al viaggio vero e proprio: molte compagnie aeree hanno deciso di adottare le norme di distanziamento, lasciando un sedile vuoto tra un passeggero e l‘altro. A bordo dell’aereomobile, inoltre, è stata vietata la vendita sia di cibo che di prodotti da duty free, limitando così le possibilità di contatto tra i passeggeri e i membri dell’equipaggio, tutti sempre dotati di mascherina.

Ma a rendere sicuro il viaggio non sono solo le norme comportamentali: la compagnia Swiss ha pubblicato un video in cui viene spiegato il funzionamento dei filtri HEPA ( Filtro Particolato ad Alta Efficienza). Questi filtri sono creati appositamente per filtrare le particelle di grandezza di 10 nanometri, molto al di sotto dunque dei 125 nanometri del coronavirus. La stessa circolazione dell’alto al basso del sistema di aerazione e il cambio frequente dell’aria filtrata dall’esterno (circa ogni 3 minuti) rendono la situazione all’interno dell’aereo relativamente sicura.

Molti hanno però hanno notato che non tutte le compagnie lasciano un posto libero tra i passeggeri. Le probabilità di contrarre il virus in questo caso sono diverse?

Arnold Barnett, Professore di Statistica alla Scuola di Management Sloan del noto Massachusetts Institute of Technology, ha tentato di quantificare le probabilità di contagio sugli aeromobili con un modello matematico di tipo probabilistico.

Secondo i risultati della sua ricerca, considerando un volo non molto lungo, su un aereo con due file di tre sedili ai lati del corridoio centrale, con tutti i passeggeri che indossano la maschera, le probabilità di contrarre il virus sono 1 su 4300, probabilità che salgono a 1 su 7,700 se il posto in mezzo è lasciato libero.

Anche la casistica sembra confermare tale ricerca: nel caso di un volo dagli Stati Uniti a Taiwan del 31 marzo scorso, tutti i 328 passeggeri e i membri dell’equipaggio sono stati testati dopo che si è saputo che a bordo vi erano 12 passeggeri positivi al coronavirus. Tuttavia nessuno dei passeggeri o dei membri dello staff è risultato positivo.

Uno studio pubblicato su JAMA Network Open invece ha riportato di un possibile contagio durante un volo di quattro ore da Tel Aviv a Francoforte. Due passeggeri hanno sviluppato l’infezione dopo essere entrati in contatto con un gruppo di turisti seduti vicino a loro e risultati positivi al coronavirus. Tuttavia non si può escludere che il contagio sia avvenuto da un’altra parte.

L’insieme di variabili da considerare sono molteplici e le possibilità di combinazione tra le stesse innumerevoli: indossare i dispositivi di sicurezza e rispettare le nome di distanziamento, anche sugli arei, ci permette di ridurre drasticamente il rischio di eventuali contagi.

VIAGGIARE SUI TRASPORTI PUBBLICI

Situazione diversa, invece, quella del trasporto pubblico, dalle metro ai treni, passando per gli autobus. Sia i turisti che i lavoratori dovranno interfacciarsi con gli spostamenti sui mezzi pubblici per raggiungere i luoghi di interesse o il proprio luogo di lavoro. E sulla questione si sono interrogati soprattutto i cittadini delle grandi metropoli, che utilizzano quotidianamente la metropolitana, gli autobus o i treni per viaggiare.

A New York, ad esempio, i timori iniziali avevano frenato i cittadini dall’assalire i treni sotterranei. Dati alla mano, risulta invece che il traffico sulla rete metropolitana è triplicato da aprile a giugno, sintomo della necessità delle persone di spostarsi.

Secondo ricerche preliminari, pare che il rischio di contrarre l’infezione sui mezzi pubblici sia relativamente basso. La durata del viaggio è uno dei fattori che influenzano maggiormente l’equazione. I ricercatori dell’Università di Southampton hanno recentemente tentato di stabilire con un modello probabilistico i tassi di infezione tra i viaggiatori di un treno ad alta velocità cinese seduti entro tre file da un passeggero infetto. In media, il tasso di infezione era molto basso e pari allo 0.32%; questo tasso aumentava dello 0.15% ogni ora di viaggio in più. Lo studio non teneva conto del fatto che i passeggeri indossassero o meno una mascherina.

Il tracking dei contagi effettuato a Parigi tra aprile e giugno ha rilevato che nessuno dei 386 focolai identificati era collegabile al sistema di trasporto pubblico. Anche uno studio condotto in Austria sulla falsariga di quello francese ha portato alle medesime conclusioni.

Sia per le metropolitane che per i treni vale dunque lo stesso discorso degli aerei: un buon sistema di ventilazione, sommato a una durata del viaggio piuttosto contenuta, unito alla buona volontà dei passeggeri di indossare i sistemi di protezione personale sembrerebbe contenere il rischio di infezione, riducendo le probabilità di contrarre il virus.

L’effetto combinato delle norme adottate nei mezzi di trasporto e del nostro buon senso ci permetteranno di viaggiare in sicurezza e di riguadagnare piano piano la massima fiducia negli spostamenti, siano questi per motivi turistici o di lavoro. 

QUIT STRONG: la Nuova Zelanda punta sul vaping per smettere di fumare

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Quit strong

Il Ministero della Salute della Nuova Zelanda ha promosso l’iniziativa QUIT STRONG, un sito che permette a chi vuole smettere di fumare di ricevere tutte le informazioni possibili sul vaping, definito un’alternativa “più economica e facile”.

Parliamo di una delle prime iniziative al mondo in materia di salute pubblica che abbraccia il principio della riduzione del danno, dimostrando un’apertura invidiabile nei confronti di strategie che possano supportare i fumatori nel loro percorso di smoking cessation. Gli strumenti a rischio ridotto consentono di fornire la quantità di nicotina necessaria mantenendo inalterati i rituali comportamentali e psicologici connessi alla pratica del fumo.

Ci sono modi migliori per smettere, così puoi dare un calcio al fumo per sempre”: intitola così l’headline del nuovo sito neozelandese promosso dalle autorità di salute pubblica per informare tutti coloro che vogliono smettere di fumare sui benefici dei prodotti alternativi.

La campagna Quit Strong vuole fornire un esempio sia per chi vuole smettere sia per le persone che li aiutano. Senza indorare la pillola, i video della campagna puntano a far comprendere a chi vuole smettere che abbandonare la sigaretta convenzionale non è mai facile. Persone comuni, che hanno fallito più volte, mandano messaggi incoraggianti, senza nessun script a cui fare riferimento, portando alla luce la loro esperienza e consigliando di rivolgersi a qualcuno per cercare aiuto in un percorso che si presenterà irto di ostacoli e difficoltà sin dall’inizio.

Quit Strong cerca di fornire informazioni il più possibile dettagliate, ma organizzate in maniera chiara e diretta, indirizzando l’utente verso un aiuto professionale e gli strumenti che rendano più facile il loro percorso.

Il sito chiarisce che cosa sia il vaping e come possa essere di aiuto a coloro che vogliono smettere, definendolo una alternativa facile ed economica. Sul sito inoltre vi sono link diretti ai cosiddetti QUIT COACH, che forniscono un aiuto sia online che faccia a faccia.

L’utilizzo di una interfaccia semplice e chiara e la commistione con la cultura neozelandese rendono il sito un ponte comunicativo forte tra le autorità di salute pubblica e la popolazione, rompendo le barriere che rendono la comunicazione scientifica spesso difficile da recepire e da comprendere.

Obesità e COVID-19: ricercatori italiani lanciano l’allarme

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Secondo una recente analisi dei ricercatori del CoEHAR, l’associazione tra ospedalizzazione per COVID-19 e obesità é forte e chiara.

Il meccanismo di questa associazione è ancora sconosciuto ma sono state avanzate diverse ipotesi che richiamano sia a meccanismi patobiologici che patofisiologici. I soggetti con alti indici di massa corporea, infatti, hanno una maggiore predisposizione a complicazioni anche mortali per via dell’infezione da SARS-CoV-2.

Ma quali sono effettivamente le complicazioni di malattia alle quali sono più di frequente esposti i pazienti obesi?

Quali i percorsi terapeutici dedicati? Quali sono le possibili ipotesi di lavoro che possiamo sviluppare partendo da queste analisi iniziali? Quali i consigli da dare alle persone obese nel contesto di questa pandemia?

Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato uno degli autori dell’analisi intitolata “COVID-19 and Obesity: Dangerous Liaisons” e pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista Journal of Clinical Medicine.

La prof.ssa Adriana Albini, Responsabile del Laboratorio di Biologia Vascolare e Angiogenesi dell’IRCCS MultiMedica di Milano, e co-autrice del nuovo studio (insieme ad alcuni membri del CoEHAR tra cui il prof. Riccardo Polosa, Grazia Caci, Mario Malerba, Douglas Noonan e Patrizia Pochetti) ci aiuterà a comprendere meglio le implicazioni di questa ricerca.

Buongiorno Adriana, ci si poteva aspettare un alto numero di pazienti obesi tra gli ospedalizzati a causa del Covid-19 o è stata una sorpresa?

“All’inizio non si sapeva esattamente cosa avrebbe determinato la gravità della malattia e del suo decorso: è stato evidente fin quasi da subito i quadri piú infausti erano associati alla presenza di co-morbiditá come ipertensione, e diabete mellito, oltre ad altri disturbi cardiovascolari. Siamo rimasti sorpresi di vedere che anche l obesitá era costantemente e significativamente associata con COVID-19 e particolarmente cone le sue forme piú gravi“.

Quali sono le problematiche più rilevanti che un paziente obeso si trova ad affrontare qualora contragga il COVID-19?

“Vi sono molteplici aspetti. Quello più scientifico è basato sul fatto che il COVID-19 induce una cascata infiammatoria che nel paziente obeso, che di per sé presenta già una patologia con aspetti infiammatori, si aggrava. L’altro riguarda la difficile gestione della circolazione sanguigna e della respirazione, che vengono compromesse dall’infezione e in qualche modo peggiorano. Dobbiamo anche considerare aspetti meccanici: la persona obesa, ad esempio, è difficile da intubare. Si può aggiungere che proprio questa epidemia ha in qualche modo evidenziato il fatto che l’obesità deve essere considerata una vera e propria patologia e non una condizione di sovrappeso”.

Quali sono le raccomandazioni che questa categoria di pazienti deve tenere a mente per tutelare la propria salute?

“In generale bisogna sensibilizzare l opinione pubblica e i decisori del governo al contenimento del fenomeno del sovrappeso e dell’obesità sin dalla etá pediatrica con il contrasto alla alimentazione smodata. Un progressivo aumento deve essere contrastato con prontezza mettendo in campo tutte quelle misure, dietologiche, psicologiche e di attività fisica che possano porre un freno alla crescita ponderale”

Lo studio

La correlazione tra l’obesità e il Covid-19 é emersa recentemente, ma ancora oggi molte delle casistiche non tengono conto di eventuali altri fattori (ad esempio: età, dieta, diabete, etc).
Tuttavia, anche indipendentemente dal fattore etá, l’obesità appare essere un fattore di rischio indipendente per l’evoluzione dell’infezione da coronavirus.
Essa è spesso associata al funzionamento ridotto dei polmoni, oltre che a condurre verso complicazioni quali disfunzioni renali e cardiovascolari, ipertensione e danni vascolari generalizzati, cause che accentuano il decorso negativo dell’infezione. 

In uno studio condotto nello stato di New York, su un totale di 5700 pazienti, l’obesità rappresentava il 41.7% delle comorbidità. Durante l’ospedalizzazione, il 12.2% dei pazienti è stato sottoposto a ventilazione meccanica. Trattamento complesso in questa categoria di pazienti, poiché i depositi adiposi attorno alla laringe e alla faringe creano non poche difficoltà. Molti studi in materia si focalizzano sulla correlazione tra l’obesità e il sistema renina-angiotensina, che consiste in una serie di reazione enzimatiche che conducono alla formazione di differenti peptidi di angiotensina. Correlazione rilevante poiché, una volta entrato nelle cellule, il virus SARS induce una sistematica sottoregolazione di ACE2, l’enzima di conversione dell’angiotensina: la presenza dell’ACE2 nei tessuti adiposi sembra favorire infatti l’ingresso del virus all’interno dell’organismo. In aggiunta, i pazienti obesi sembrano avere una durata dell’infezione maggiore, ospedalizzazioni più lunghe e trattamenti di ossigeno più intensi.
A peggiorare il quadro clinico, interviene la predisposizione di tali pazienti a sviluppare infiammazioni croniche, aumentando la circolazione delle citochine proinfiammatorie, che giocano un ruolo fondamentale nella degenerazione dell’infezione da coronavirus. 

Queste scoperte potrebbero dunque portare alla formulazione dell’ipotesi che un percorso di dimagrimento diminuirebbe le possibilità di rischio per i soggetti obesi.

Ovviamente tale assunto rappresenta una provocazione: sebbene l’attività fisica è provato avere generali effetti benefici, un repentino stress fisico causato da un’attività motoria intensa e rapida potrebbe avere un effetto depressivo sul sistema immunitario. Si può consigliare un l’esercizio fisico ai pazienti obesi, ma solo se in presenza di un programma di riabilitazione polmonare, e certamente solo in seguito alla guarigione dall’infezione da Covid-19. 

Più semplicemente, i pazienti con elevati indici di massa corporea devono tutelarsi prestando molta attenzione alle norme di distanziamento sociale e utilizzando correttamente i dispositivi medici di protezione. COVID o meno, una volta passata la fase acuta, adottare uno stile di vita più sano, meno sedentario e controllare la dieta significa diminuire drasticamente i fattori di rischio per una serie di patologie legate al sovrappeso.

L’acqua di mare per un vero e proprio bagno di salute

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Chi sceglie il mare in questo periodo ha avuto un’ottima idea poiché in spiaggia ci si riposa, si prende la tintarella (senza esagerare) ma soprattutto è l’occasione ideale per fare un vero e proprio bagno di salute. La salsedine e l’acqua salata infatti, contengono una serie di sostanze naturali benefiche, oligoelementi e sali minerali che aiutano e prevengono malattie di varia natura.

Il fumatore in modo particolare trae maggior beneficio da questo aereosol marino, le onde dell’acqua salata, infatti, sprigionano nell’aria preziosi minerali che vengono assorbiti dai polmoni come il cloruro di sodio e di magnesio, lo iodio, il bromo e il silicio, che depurano le vie respiratorie e potenziano le difese immunitarie dell’organismo.

Tosse e forme asmatiche tipiche del fumatore incallito, vengono sottoposte ad un vero e proprio lifting marino, con un’azione antinfiammatoria e benefica per le vie respiratorie. L’acqua di mare ha un potere rivitalizzante, detergente e antibatterico e ci aiuta, non solo a respirare meglio ma ad avere una pelle sana e liscia, rinforza le ossa, combatte ritenzione idrica e cellulite, aiuta a dimagrire ed è un antidepressivo naturale.

Le passeggiate sul bagnasciuga, i tuffi e le nuotate in mare aumentano la serotonina, il cosiddetto “ormone della felicità”.

Con tutti questi fattori positivi al tabagista non resta altro che decidere di buttare via la sigaretta, per godersi questa estate libero dalla dipendenza, in buona salute e perché no…felice, poiché non si smette mai di fumare solo per se stessi, ma anche per gli altri.

Sei uno svapatore che non ha mai fumato molto? Partecipa alla ricerca Veritas Cohort

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veritas cohort

Sei uno svapatore che non ha mai fumato molto?

Ti chiediamo di prendere in considerazione l’idea di partecipare a questa ricerca.

Il gruppo di studio VERITAS sta cercando svapatori con un breve passato da fumatori o che non abbiano mai fumato come potenziali partecipanti per un’indagine relativa agli effetti sulla salute: https://veritascohort.coehar.org/

Lo studio è internazionale e ha più sedi, tra cui Catania, Milano, Torino.

La maggior parte dei consumatori di sigarette elettroniche sono ex fumatori, i quali potrebbero aver subito danni alla salute a causa del fumo, rendendo difficile valutare con certezza se anche la vaporizzazione possa aver causato o causare danni. Comprendere questo aspetto diventa importante per gli svapatori e per le persone che potrebbero iniziare a usare le e-cig, così come per informare le politiche di prevenzione. Se non vi è traccia di rischi correlati all’uso delle e-cig, sarebbe utile dimostrarlo. In caso contrario, sarebbe utile scoprirlo in modo tale che gli attuali o futuri vapers possano ponderare adeguatamente la possibilità di svapare.

Per risolvere questo quesito, stiamo avviando uno studio della durata di 6 anni su fruitori di sigarette elettroniche che non hanno mai fumato o hanno fumato poco (meno di mille sigarette in totale). I soggetti in questione effettueranno esami medici non invasivi ogni anno e risponderanno periodicamente ad alcuni sondaggi. Questo sarà lo studio più significativo per ora effettuato sulle conseguenze del vaping sulla salute (in assenza di fumo di tabacco) e fornirà preziose informazioni a vapers, fumatori e politici.

Lo studio è condotto da due scienziati affermati, il Dr. Carl V Phillips e il prof. Riccardo Polosa, con un’ampia esperienza nel settore della ricerca e supporto nell’ambito delle sigarette elettroniche e della riduzione dei danni da fumo.

Se sei interessato/a a partecipare o vuoi saperne di più, contatta gli organizzatori locali e seguici sui canali ufficiali di Veritas Cohort su Facebook, Instagram e Twitter.

Tutto questo non sarà possibile senza di te.

Il fumo e i cinque sensi: l’udito

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i cinque sensi fumo udito

Fu Aristotele il primo a descrivere i cinque sensi nel suo De Anima, creando una schematizzazione che è resistita nei corso dei secoli, arrivando fino a noi. Oggi sappiamo benissimo che i sensi sono molti di più e nella lista sono inserite diverse capacita e abilità.

Ma nel mondo scientifico, il numero dei sensi è rimasto invariato, strettamente connesso ad altrettanti organi.

L’esperienza sensoriale é un connubio di diverse percezioni legate a organi diversi, strettamente connessi tra loro. Basti pensare a quando mangiamo: i recettori sulla lingua ci rimandano un determinato sapore, ma in realtà quando pensiamo ad un alimento lo identifichiamo anche per l’odore che emana, oltre che dal sapore che ha.

Tra chi fuma, la sigaretta trasmette precise caratteristiche sensoriali: l’abitudine del fumo è difficile da spezzare proprio per l’insieme strettamente interconnesso di sensazioni che la sigaretta convenzionale provoca. Tutti elementi scatenanti che aumentano il desiderio di fumare e che amplificano l’appagamento che ne deriva.

Finalmente “sento qualcosa di nuovo”! esclamerebbe un fumatore o semplicemente qualsiasi lettore leggendo questo articolo” commenta Pasquale Caponnetto, Docente a contratto di Clinica della Dipendenze DISFOR, Università degli studi di Catania “Il sentire” è strettamente collegato al sentimento umano…… cosa sarebbe un mondo senza il suono di ciò che ci emoziona? Quanti altri pericoli non riusciremo ad identificare senza il nostro prezioso udito? È chiaro che questo potrebbe essere un ulteriore elemento motivazionale in grado di sostenere il fumatore nel suo processo di cambiamento verso una nuova identità libera dal fumo ed i non fumatori a non intraprendere questo percorso”.

Ed è proprio su queste percezioni che i percorsi di smoking cessation insistono, concentrandosi sull’utilizzo di strumenti come la sigaretta elettronica che ricreano l’esperienza del fumo di sigaretta convenzionale diminuendo sensibilmente il danno.

Tornando al riferimento letterario iniziale, cercheremo di offrire una visione a 360° sui singoli sensi e sul tabagismo. E se proprio non il desiderio di una sigaretta non passa, vi proponiamo delle letture per aiutare a svagare la mente casomai il pensiero e la voglia di una sigaretta siano troppo forti da combattere.

L’UDITO

L’udito, come tutti gli altri sensi, riveste nella vita di ognuno di noi molta importanza: basti pensare all’emozione che si può provare ascoltando una canzone che ci  ricorda un primo ballo o una gita in bus con i compagni di scuola.

Se interroghiamo un qualsiasi fumatore, saprà descriverci ad occhi chiusi il suono di un pacchetto di sigarette che viene aperto o quello di un accendino. Suono deboli, ma che rimandano al contrario a una sensazione molto intensa, preludio dell’appagamento.

Sappiamo che il fumo rappresenta un fattore di rischio elevato per una seria di patologie, da quelle metaboliche a quelle vascolari a quelle respiratorie, mentre molto spesso vengono tralasciate eventuali complicazioni legate ad altri organi, dalle prestazioni sessuali sino ai danni all’udito.

Anche i fumatori, come già affermato prima, collegano il senso delludito alla propria dipendenza tabagica associandola quindi a qualcosa di apparentemente piacevole. Ma se si usasse la stessa strategia per ottenere esattamente il contrario? 

Ci spiega Marilena Maglia,Collaboratore di ricerca Università degli Studi di Catania, ricercatrice LIAF/Coehar: “La frase sembrerebbe strana ma se abbinassimo il ricordo della prima sigaretta al suono della tosse provocata da essa probabilmente l’associazione non sarebbe poi così piacevole. Si tratta di utilizzare il nostro prezioso senso, l’udito, non solo per ciò che ci ricorda qualcosa di piacevole ma anche come strumento per attivare campanelli di allarme che ci allontanano dall’accensione della classica sigaretta”. 

Da uno studio inglese condotto su 160,770 pazienti tra i 40 e i 69 anni che analizzava le possibili interazioni tra fattori di rischio quali alcool e fumo sulla perdita dell’udito, è emerso che i soggetti fumatori avevano probabilità più alte, circa il 15%, di sviluppare danni all’udito rispetto ai soggetti non fumatori. 

Ovviamente tali probabilità sono intrinsecamente legate ai livello di fumo, all’età dei soggetti e in generale alle abitudini di vita. Il fumo, però, rappresenta un problema anche per chi vive vicino a tabagisti: il fumo passivo aumenta del 28% le probabilità di incorrere in danni parziali dell’udito.

Anche uno studio coreano sembra attribuire i danni a tali organi ad livelli di consumo di sigarette convenzionali: cifre alte se si analizzano gruppi di età tra i 40 e i 70 anni. 

E cosa possiamo fare se la nostra voglia di smettere di fumare non scende?  Piuttosto che aprire un pacchetto, magari mentre siamo in spiaggia sotto l’ombrellone, perché non optare per un romanzo?

Il nostro consiglio di lettura a tema udito?

NORWEGIAN BLUES, di Levi Henriksen. Un romanzo eccentrico, romantico e avvincente su Jim, discografico di Oslo, tormentato e stanco dei successi discografici mainstream, che, dopo una sbornia, si ferma in una chiesa e improvvisamente si trova immerso in un canto che lo stupisce. Ma chi sta cantando? Tre vecchie star, ritiratasi all’improvviso dalle scene. Ora Jim ha una nuova missione, riportare il trio di ottantenni alla ribalta ripercorrendo la loro storia.

Una lettura avvincente che magari vi distrarrà dalla voglia di fumare una sigaretta.