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Fumo e pandemia: come combattere l’abitudine?

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In un momento così complesso per la comunità scientifica internazionale che è impegnata su più fronti a trovare cure e soluzioni per combattere la diffusione del COVID, Catania Conversation (CC) è il nuovo progetto del CoEHAR che mette insieme giornalisti, scienziati e opinion leader esperti nella riduzione del danno da fumo con l’obiettivo di condividere informazioni e dati scientifici sul controllo della pandemia e sulla diffusione del tabagismo nel mondo per trovare le strategie più efficaci per combatterlo.

Mentre la seconda ondata di infezione da Covid-19 colpisce il mondo e un nuovo lockdown è in vista, aumentano anche le tensioni psicologiche sulle persone. Cosa abbiamo imparato dalla pandemia da un punto di vista psicologico?

A rispondere a questa domanda per Ask the Expert di Catania Conversation (CC) è Pasquale Caponnetto, professore di Psicologia Clinica al DISFOR dell’Università di Catania e ricercatore del CoEHAR.

Prof. Caponnetto, quali sono state le conseguenze delle restrizioni causate dalla pandemia Covid-19 sulla popolazione e nello specifico sui fumatori?

I risultati di ricerche precedenti che ho condotto durante la primissima fase dell’epidemia Covid-19 hanno evidenziato alcune dinamiche significative. Abbiamo analizzato il comportamento del fumo e abbiamo notato che i fumatori non hanno modificato tanto il consumo, ma il modo in cui hanno acquistato i prodotti. Molti fumatori accumulavano scorte, come accadde con farina e amido e altri beni di prima necessità. Un meccanismo di protezione sulle cose a cui erano più attaccati, che ha evidenziato come i fumatori avessero paura di restare senza. Da un punto di vista psicologico, spiega la necessità di rimanere attaccati a qualcosa che ti dà una routine quotidiana e una ritualità nella vita. Nei momenti di eccessiva felicità o eccessiva infelicità, questo strumento protettivo può dare sollievo in caso di estremo isolamento. Era un meccanismo di attaccamento a qualcosa che consideri fondamentale. Il fumatore è molto attaccato alla sigaretta, questo è un fattore che non possiamo ignorare nel trattamento dei fumatori. La sigaretta rappresenta la normalità della vita quotidiana.

Secondo i risultati della sua ricerca, i consumatori di sigarette tradizionali hanno un maggiore interesse a smettere di fumare rispetto ai vapers. Pensa che le sigarette elettroniche o altri sostituti delle sigarette a combustione evitino conseguenze peggiori nei fumatori?

I risultati dello studio hanno evidenziato un diverso atteggiamento dei fumatori verso i prodotti a basso rischio e le alternative che possono facilitare la riduzione dei trattamenti fino alla cessazione totale. Da una parte abbiamo riscontrato questo comportamento di accumulo e dall’altra ci sono le persone che pensavano di smettere di fumare. I risultati migliori provengono dai fumatori di sigarette elettroniche in quanto ex fumatori che hanno già in parte domato la dipendenza dalle sigarette tradizionali.

Qual è la lezione che possiamo imparare da questa pandemia globale riguardo ai comportamenti umani e al fumo? Cosa può aiutare a migliorare le politiche dell’harm reduction?

Con il lockdown e la chiusura forzata, le persone hanno avuto il tempo di riflettere veramente su ciò che è cruciale nella vita sia dal punto di vista cognitivo che emotivo. Le persone adesso riescono ad apprezzare cose che normalmente davamo per scontate. Ciò che dobbiamo considerare nelle politiche dell’harm reduction da ora è che quando una situazione anormale è in corso, crea un cambiamento negli stili di vita. Che di conseguenza ha portato a comportamenti atipici. Alla fine, vedremo i risultati di questa situazione in effetti post-traumatici.

Per ulteriori informazioni sullo studio di riferimento, clicca qui.

VAPING: Lo studio che dimostra come l’esperienza sensoriale aiuta a smettere di fumare

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Il vaping vince dove le terapie ufficiali hanno fallito. Ma qual è il segreto del suo successo? Questo si sono chiesti i ricercatori DiPiazza, Caponnetto, Askin, Christos, Maglia, Gautam, Roche e Polosa. Il frutto di tale ricerca è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Harm Reduction Journal. 

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33059666/

Catania, 12 Novembre 2020. Una ricerca condotta dalla City University di New York e dalla Cornell University di New York e dal CoEHAR Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania ha cercato di identificare l’entità e la qualità delle sensazioni respiratorie tra coloro che non sono riusciti a smettere di fumare con i farmaci tradizionali ma che ci sono riusciti con le sigarette elettroniche. Lo studio si è inoltre focalizzato sulle percezioni degli ex-fumatori, ovvero sull’influenza che l’esperienza sensoriale dell’uso delle sigarette elettroniche ha avuto durante il loro percorso di cessazione dal fumo. 

L’84% dei partecipanti ha riferito come la sensazione del vapore sia importante per smettere di fumare ed addirittura il 91% ritiene che le sensazioni che accompagnano l’uso di sigarette elettroniche abbiano contribuito al successo della cessazione. 

Secondo il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania: “Le esperienze sensoriali date dalle sigarette elettroniche possono aiutare chi non riesce a smettere di fumare con i classici farmaci antifumo perché il fumatore potrebbe preferire prodotti sostitutivi con caratteristiche simili all’atto del fumare (nicotina, fumo, gusto, gestualita’, etc) piuttosto che essere medicalizzato”. 

E’ chiaro – spiega il prof. Pasquale Caponnetto, dell’ateneo catanese – che il campione è rappresentato da persone soddisfatte da questo cambiamento ma all’interno di un processo di ricerca di cure atte a distaccare le persone da sostanze nocive che creano dipendenza di certo non si può trascurare l’enorme impatto che possono avere gli aspetti sensoriali percettivi in grado di modificare radicati schemi cognitivi, comportamentali e perfino emotivo relazionali”. 

La ricerca

Per lo studio sono stati analizzati un campione intenzionale non casuale di 156 partecipanti reclutati negli Stati Uniti attraverso la pagina Facebook del Consumer Advocates for Smoke Free Alternatives Association. I partecipanti, hanno completato un sondaggio online per valutare le esperienze sensoriali associati all’uso di sigarette elettroniche

Risultati

Certamente il risultato più eclatante è che il 91% dei vapers, ormai ex fumatori, riferisce di aver provato sensazioni di piacere passando dal fumo al vaping e che questo ha contribuito significativamente nella scelta di abbandonare la sigaretta convenzionale.

Con l’uso delle sigarette elettroniche i volontari hanno riferito di aver sentito il vapore in gola a cui si è associata una riduzione della voglia di fumare. Vi è stata inoltre una sensazione di piacere nell’utilizzo della sigaretta elettronica, inclusa la voglia di assaggiare, annusare, osservare il vapore e toccare il dispositivo a conferma dell’importanza del mantenimento di alcuni aspetti ritualistici. E’ stato inoltre identificato come le donne abbiano avuto una maggiore riduzione della voglia di sigarette rispetto agli uomini. Coloro che hanno iniziato a fumare a 13 anni o meno hanno avuto una maggiore soddisfazione e piacere sensoriale rispetto a quelli che hanno iniziato a 16-17 anni.

Gerry Stimson: a che punto è la riduzione del danno da fumo?

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Un’interessante intervista pubblicata sulla rivista FILTER ci riporta all’anno 1986, quando Margaret Thatcher era il primo ministro nel Regno Unito, e i ministri venivano informati su una significativa minaccia che gravava sulla salute pubblica: l’HIV.

Diversi gli scienziati e i medici che da allora, dedicano la propria carriera alle persone che fanno uso di eroina e altre sostanze stupefacenti. “Grazie alla mia esperienza, mi sono ritrovato a sviluppare e valutare l’approccio alla riduzione del danno, prima ancora che fosse conosciuto come tale nel Regno Unito. Il mio lavoro si è sempre concentrato sulle persone che si iniettavano droghe e rischiavano di contrarre l’infezione da HIV”, racconta Gerry Stimson, professore all’Imperial College di Londra e direttore della Fondazione britannica sanitaria Knowledge Action Chance.

Sin dal 1987, il Dipartimento di Salute Pubblica inglese sviluppa programmi sperimentali e lancia campagne di ricerca sull’HIV.

La premessa che guidava le campagne era che il rischio di infezione da HIV fosse maggiore dei rischi derivanti dall’uso di droghe. Oggi non si intende questo quando si parla di harm reduction? La risposta del Regno Unito all’HIV è stato un successo per la salute pubblica.

“Dopo più di 20 anni, fino alla fine degli anni 2000, mentre ancora si lavorava per la prevenzione dell’HIV e nella riduzione dei danni causati dalla droga, ho conosciuto persone che fumavano per la nicotina, ma morivano per il catrame”, aggiunge.

Fino a quando poi qualcuno non ha parlato dello svapo ed è stato subito chiaro che quest’innovazione potesse offrire una soluzione per la riduzione del danno da fumo, essendo le sigarette elettroniche prodotti più sicuri, che consentono un comportamento più sicuro.

A poco a poco, lo svapo ha iniziato a crescere in popolarità, nel Regno Unito e altrove. In seguito, anche insieme ai prodotti a tabacco riscaldato, si stava aprendo un fronte completamente nuovo nella riduzione del danno. Anche se ancora, molte delle grandi aziende produttrici di tabacco, si oppongono al vaping.

Un rapporto condotto nel Regno Unito per conto di Public Health England ha dimostrato che lo svapo sia per il 95% meno dannoso rispetto al fumo di sigarette convenzionali. E questo è sicuramente uno dei motivi fondamentali per cui stiamo assistendo al calo delle vendite di sigarette a cui non si era mai assistito prima.

“Da quando ho iniziato a lavorare in questo campo, concependo e sviluppando il progetto Global State of Tobacco Reduction, ci sono state drastiche diminuzioni nel Regno Unito grazie dell’uso delle sigarette elettroniche”, dichiara Stimson.

Nel frattempo, la Svezia ha il più basso livello di fumatori a causa della popolarità dello snus e il più basso livello di decessi correlati al tabacco. In Norvegia, il fumo è praticamente scomparso; tra le giovani donne, l’1% fuma mentre il 14% usa lo snus. Dal 2016, quando i prodotti del tabacco riscaldato (HTP) sono stati introdotti nel mercato giapponese, le vendite di sigarette sono crollate di un incredibile 33%.

Il lavoro svolto durante l’ultima presentazione, Burning Issues: The Global State of Tobacco Harm Reduction 2020, mostra che a livello globale 98 milioni di persone assumono nicotina da prodotti più sicuri invece che da tabacco combustibile. Di questi, 68 milioni sono vapers, 20 milioni sono utenti di HTP e 10 milioni sono consumatori di tabacco o snus.

I luoghi in cui questa rivoluzione è già in atto sono tutte nazioni ricche. Questo significa che quando hanno la possibilità di farlo, le persone smettono di fumare e passano a prodotti più sicuri. Le persone scelgono di migliorare la propria salute.

Questo potrebbe ritenersi un successo ma siamo ancora lontani dal definirlo veramente così. L’80% dei fumatori nel mondo vive in paesi a basso e medio reddito (LMIC), dove le misure di controllo del tabacco sono spesso attuate solo in modo insufficiente o parziale, i tassi di fumo sono alti o in fase di stallo, la crescita della popolazione aumenta il numero di fumatori e i sistemi sanitari non sono in grado di trattare efficacemente le malattie legate al fumo o di offrire sostegno ai fumatori per smettere. Anche i produttori di prodotti più sicuri non servono bene questi paesi, mantenendo fasce di prezzo che sono fuori dalla portata della maggioranza.

1,1 miliardi di persone fumano in tutto il mondo. Quel totale è rimasto invariato per due decenni. L’OMS prevede un miliardo di decessi correlati al fumo e le stime suggeriscono che attualmente ci sono solo nove consumatori di prodotti sicuri per ogni 100 fumatori.

L’OMS, come per la prevenzione dell’HIV, deciderà di integrare la riduzione del danno come una questione di salute pubblica e individuale? La riduzione del danno è una delle tre strategie chiave per il controllo del tabacco, ma nel 2005, quando è stato redatta, nessuno immaginava le scelte che sarebbero state offerte ai consumatori di nicotina, solo 15 anni dopo.

Molte persone, in passato, hanno fatto delle scelte per migliorare la propria salute e il proprio benessere. Oggi, dovrebbero continuare a scegliere bene perché è in questo che risiede tutta l’importanza della riduzione del danno. Sarebbe una svolta contro ogni malattia.

Ricordiamo che anche il CoEHAR ha di recente pubblicato un interessante paper che analizza alcune “verità” sull’Harm Reduction. Firmato da Renèe O’Leary con la collaborazione del prof. Riccardo Polosa, il documento in queste settimane è stato ripreso da autorità governative ed organi di stampa.

Nuova Zelanda: grazie allo svapo è in calo la vendita di sigarette

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Dopo aver analizzato i rendimenti delle aziende produttrici di tabacco, l’ente End Smoking NZ ha dichiarato che lo scorso anno sono state vendute 410 milioni di sigarette in meno rispetto a due anni fa, sottolineando quanto sia importante incoraggiare i fumatori a passare ad alternative più sicure.

Non è un caso, infatti, se proprio il Ministero della Salute della Nuova Zelanda lo scorso agosto promuoveva l’iniziativa QUIT STRONG, un sito che permetteva a chi voleva smettere di fumare di ricevere tutte le informazioni possibili sul vaping, definito un’alternativa “più economica e facile”.

Oggi, il fatto che lo svapo stia giocando un ruolo importante, è evidente dal calo delle vendite di sigarette. “Questo rapido calo delle vendite di sigarette dimostra che i prodotti per lo svapo funzionano. Non c’è da stupirsi, però, se le aziende produttrici di tabacco continuano ad accogliere favorevolmente le restrizioni sugli aromi per preservare la longevità del tabacco tradizionale”, ha affermato Jonathan Devery, co-proprietario di Alt New Zealand e VAPO.

“Il successo dello svapo e l’enorme impatto che ha avuto sulle vendite di sigarette, è dovuto all’accessibilità e al fascino dello svapo per molti fumatori adulti. Gli adulti amano gli aromi e quelli che passano con facilità dalle sigarette allo svapo hanno bisogno di nicotina comparabile. Attuare restrizioni e limitare gli accessi e le vendite dei prodotti non è conveniente per la salute pubblica”, ha aggiunto Ben Pryor, co-proprietario di Alt New Zealand e VAPO.

Dai risultati di ASH (Action for Smokefree 2025), i dati che indicano che gli aromi sono essenziali per aiutare i fumatori a smettere di fumare, si apprende che limitarne la vendita per i vapers è inutile e controproducente. All’inizio di quest’anno, uno studio ASH ha rivelato anche quanto sia poco diffuso lo svapo tra gli adolescenti. Gli accademici dell’Università di Auckland e il ministro della Salute associato Jenny Salesa hanno dichiarato che in Nuova Zelanda non è scoppiata un’epidemia di svapo giovanile. Eppure, nonostante ciò, gli aromi saranno limitati per qualche maldestro tentativo di rimediare a un problema che non è nemmeno reale.

Valutando un sondaggio ASH, i ricercatori dell’Università di Auckland, hanno scoperto che solo lo 0,8% dei partecipanti erano dei vapers giornalieri che non avevano mai fumato prima. Il 3,1% degli intervistati ha affermato di aver svapato quotidianamente e il 37,3% ha affermato di averlo provato.

Per concludere, i ricercatori hanno dichiarato che non ci sono prove di un’epidemia di svapo adolescenziale in Nuova Zelanda, né tantomeno di un vasto numero di svapatori giovani che è dipendente dallo svapo.

Il prof. Polosa interviene su Filter con un commento sullo studio “Vaping e BPCO”

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bpco ecig polosa

Nei giorni scorsi, avevamo pubblicato i risultati del più lungo follow up realizzato su pazienti fumatori affetti da BPCO (broncopneumopatia cronico ostruttiva) e i benefici in termini di salute derivanti dall’utilizzo delle sigarette elettroniche. In merito alla ricerca, il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, ha rilasciato un’intervista alla rivista internazionale Filter, di cui pubblichiamo di seguito la versione integrale.

Ricordiamo che la ricerca ha evidenziato che i pazienti che sono passati al vaping infatti hanno ridotto di circa il 50% le esacerbazioni della malattia e hanno migliorato significativamente la propria salute cardio-respiratoria.

Per quali ragioni i fumatori con BPCO non rispondono con successo ai programmi di cessazione del fumo?

Secondo la mia esperienza clinica, dato questo abbastanza sorprendente, la maggior parte dei fumatori con BPCO non ha una buona ragione per smettere. Alla loro età e con la condizione debilitante in cui si trovano, non pensano di aver altro in cui sperare se non una buona sigaretta!  Sono ben consapevoli, infatti, che fumare non fa bene alla loro patologia, ma ciò che ne ricavano sembra essere di gran lunga migliore di qualsiasi beneficio in termini di salute che potrebbero avere smettendo di fumare.


Perché è cosi importante condurre uno studio sulle sigarette elettroniche e sui fumatori affetti da BPCO?

Per tutti i fumatori con BPCO che non desiderano o non riescono a smettere, fornire un’alternativa  allo scenario “smettere o morire” è un’opzione da considerare assolutamente. Con l’avvento dei dispositivi a rilascio di nicotina privi di combustione che posso replicare l’esperienza del fumare, abbiamo avvertito la necessità di studiarne gli effetti a livello di salute polmonare, sopratutto su soggetti vulnerabili con una pregressa patologia polmonare. Le sigarette elettroniche possono essere un rimedio per la BPCO e questo è importante da sapere per i medici, per le persone affette da tale patologia e chi se ne prende cura. Inutile sottolineare che le informazioni, supportate da prove, circa il risvolto positivo in termini di salute delle sigarette elettroniche sulla BPCO, possono rivelarsi una risorsa preziosa e potente per il dialogo medico-paziente.


Quali sono le scoperte più importanti di questo studio? Si può rilevare una “inversione del danno”?

Il risultato più rimarchevole dello studio guarda il fatto che i pazienti con BPCO possono davvero astenersi dal fumare per un lasso di tempo indeterminato se viene loro fornito un sostituto adeguato. L’astinenza dal fumo genera dei benefici in termini di salute su questa categoria di pazienti, ad esempio una maggiore tolleranza all’esercizio, una qualità generale della vita migliore e una ridotta esacerbazione respiratori (e di conseguenza ridotta necessità di ricovero ospedaliero).

Lo studio dimostra che il concetto di “inversione del danno” è raggiungibile, aggiungendo che, una volta raggiunto tale stato, può essere mantenuto per anni.

Stiamo dicendo al mondo che è possibile raggiungere dei sostanziali miglioramenti della salute quando si sostituiscono le mortali sigarette convenzionali con i prodotti da svapo. I pazienti con BPCO hanno sperimentato tali miglioramenti senza soffrire per il desiderio di una sigaretta e senza sperimentare i sintomi dell’astinenza, il tutto senza costi aggiuntivi pe rio sistema sanitario nazionale. 

Il giusnaturalismo del controllo del tabacco

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framework convention on tobacco control

Creare una legge può essere semplicemente inteso come una “regolamentazione di una situazione, di una realtà”. Dare, però, volto a una norma significa valutare non solo la situazione da regolare, ma le eventuali applicazioni che tale legge avrà. E pure l’interpretazione stessa della legge viene regolata dal diritto: non può, infatti, avere senso diverso da quello espresso dalle parole e dalle loro connessioni e non può prescindere dall’idea del legislatore.

Alla base della legge esiste un’idea principe, un assioma, un principio generale che plasma la realtà, delineando una norma di condotta generale.

Principi cardine che ritroviamo anche nelle politiche di controllo del tabacco: è il caso dell’articolo 5.3 della Framework Convention On Tobacco Control, approvata dall’OMS, che recita testualmente: “Nello stabilire ed attuare politiche di sanità pubblica in relazione al controllo del tabacco, i contraenti devono agire per proteggere tali politiche da interessi commerciali e di altra natura dell’industria del tabacco, in accordo con la legislazione nazionale”.

Una enunciazione che nasce per mettere in guardia dalle influenze indebite di un’industria secolare, potente: un modo per dire “so che esisti e che ci sei, e ti teniamo d’occhio”. Mettendo per iscritto che sappiamo esserci delle modalità attraverso le quali l’industria del tabacco può influenzare le politiche di sanità pubblica, implicitamente dichiariamo tali influenze non possibili.

Un articolo implementato dal 2008 dalle Linee Guida per l’attuazione dell’articolo 5.3:una serie di quattro principi guida, il primo dei quali viene usato ad oggi come fondamento delle politiche degli attivisti anti tabacco: “Esiste un fondamentale ed inconciliabile conflitto tra gli interessi dell’industria del tabacco e gli interessi di salute pubblica”.

Non un principio guida che regola una situazione, ma un vero e proprio assioma: si riconosce che, qualunque cosa succeda, qualunque possa essere il cambiamento operato dall’industria del tabacco, non sarà mai a beneficio della salute pubblica, ergo sarà sempre da contrastare.

Et voilà, un tranello giusnaturalista moderno in piena regola: l’idea che alla base delle politiche di controllo del tabacco esista un principio cardine inconciliabile con qualsiasi norma del diritto positivo, ovvero che l’industria del tabacco in qualunque forma rappresenti il nemico. 

Un assioma che ci spiega Clive Bates nel suo articolo pubblicato su Tobacco Reporter, dove vengono eviscerate le implicazioni del “principio inconciliabile”.

Innanzitutto, l’esperienza svedese da sola contrasta il principio: qui, l’utilizzo di snus ha portato a tassi di fumo molto bassi, con conseguente diminuizione rispetto  alla media europea delle patologie fumo correlate. Ergo, esistono prove che eventuali declinazione dell’industria del tabacco agiscano come strumenti di riduzione del danno.

In secondo luogo, il principio influenza gli obiettivi delle politiche di controllo del tabacco. L’avvento del vaping ha segnato un nuovo corso delle politiche di controllo del tabacco: il concetto di riduzione del danno ha dato concrete possibilità a chi non riusciva o non poteva smettere di fumare di avere una possibilità concreta di abbandonare un vizio mortale. 

Terzo, il principio distorce le evidenze scientifiche che provengono dalla ricerca. Gran parte dei ricercatori e degli scienziati anti tabacco ignorano i dati che supportano l’apporto benefico dei dispositivi a rischio ridotto, accomunando gli effetti del vaping a quelli del fumo di sigaretta.

Quarto, l’opposizione violenta a qualsiasi forma di innovazione. Mentre gli attivisti anti tabacco combattono ferocemente il mondo del vaping, influenzando le decisioni in materia di molti stati, alcuni dei quali ad oggi vietano produzione e commercializzazione di sigarette elettroniche, le sigarette convenzionali continuano ad essere vendute ed essere causa di morte. Un paradosso in piena regola: invece di fare fronte comune, combattiamo per qualcosa, le ecig, di cui abbiamo dati scientifici che ne dimostrano l’efficacia e la relativa sicurezza, invece di contrastare il fumo convenzionale, di cui consociamo le conseguenze mortali.

Clive Bates chiude sottolineando che dovremmo adottare un altro principio guida, ben più importante: ridurre i danni nella misura maggiore e il più rapidamente possibile. Bates scrive: “Il principio inconciliabile è una reliquia del passato e fallisce il check della realtà: è il motivo per cui gli attivisti del controllo del tabacco rischiano ad oggi di fare più male che bene”.

Polosa e Tomaselli designati editori di una importante rivista per la ricerca sul Covid-19

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SI INVITANO I RICERCATORI DELL’ATENEO AD INVIARE CONTRIBUTI SCIENTIFICI SUL TEMA “COVID-19”

Catania, 9 Novembre 2020 – La prestigiosa rivista internazionale “International Journal of Environmental Research and Public Health” ha invitato il Prof. Riccardo Polosa e la Prof.ssa Venera Tomaselli del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania a coordinare in qualità di Editori lo Special Issue della rivista sul COVID-19.

I docenti etnei si occuperanno di vagliare tutto il materiale che verrà loro inviato da autori e ricercatori di tutto il mondo per realizzare la prima selezione internazionale di studi approfonditi sulla pandemia che sta cambiando l’assetto globale del sistema sanitario. Un incarico di grande rilevanza che sottolinea la forza della ricerca scientifica che, in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo, deve essere basata sulla collaborazione, sulla condivisione e sulla specializzazione dei vari ambiti di appartenenza scientifica.

Questo nuovo Special Issue riguarderà tutte le ricerche sul Covid-19, dall’epidemiologia fino alle risposte in materia di salute pubblica, spaziando tra tematiche quali la distribuzione geospaziale della malattia, le possibili misure di controllo della patologia, la valutazione dei provvedimenti a livello regionale e nazionale e le decisioni in materia di salute pubblica che hanno arginato la diffusione dell’epidemia.

“Sono certo che questa importante avventura editoriale contribuirà a fare chiarezza su punti di fondamentale importanza per i ricercatori di tutto il mondo. Il nostro impegno sarà quello di selezionare e avviare il più velocemente possibile alla pubblicazione i contributi con maggiore impatto sugli aspetti etici, organizzativi, e clinici del COVID-19” – ha commentato il prof. Polosa.

“Il nostro ateneo è coinvolto in un lavoro editoriale di livello internazionale che auguriamo possa contribuire al controllo di ipotesi sulle implicazioni cliniche, epidemiologiche e sociali collegate all’impatto dell’evento pandemico COVID-19 sulla salute pubblica” – ha aggiunto la prof.ssa Tomaselli.

Soddisfazione anche da parte del prof. Giovanni Li Volti, direttore del CoEHAR per questo grande risultato raggiunto dal Centro di Ricerca catanese che ancora una volta dimostra la sua grande capacità di internazionalizzare attività, progetti e risultati, nell’obiettivo comune di creare percorsi eccellenti per i giovani ricercatori siciliani a cui chiede con forza: “Mandateci i vostri studi, aiutateci a trovare le risposte più concrete. Scriviamo insieme il futuro del sistema sanitario mondiale”.

Per ulteriori informazioni, clicca qui.

BPCO e sigaretta elettronica: risponde il Prof. Polosa

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BPCO ed ECIG

I ricercatori del CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania) hanno appena reso noti i risultati del più lungo follow up mai realizzato su pazienti fumatori affetti da BPCO, la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Secondo lo studio COPD smokers who switched to E-cigarettes: health outcomes at 5-year follow up”, l’utilizzo regolare delle sigarette elettroniche comporta dei benefici in termini di salute per tutti quei pazienti fumatori affetti di BPCO, che non vogliono o non riescono a smettere di fumare.

Il fondatore del CoEHAR, Riccardo Polosa, autore dello studio, spiega così i risultati:

Prof. Riccardo Polosa

Nonostante la patologia di cui soffrono, molti pazienti affetti da BPCO non vogliono, o non riescono, a smettere di fumare. Abbandonare le sigarette convenzionali significherebbe migliorare, e di molto, il loro stato di salute generale, ma è una scelta che fanno fatica a compiere. Con la disponibilità sul mercato dei nuovi dispositivi a rilascio di nicotina privi di combustione, abbiamo voluto indagare gli outcomes a livello i salute in pazienti affetti da pregresse patologie polmonari, in questo caso la BPCO. I risultati dello studio dimostrano che questi soggetti possono astenersi dal fumare se viene loro fornita una valida alternativa, la sigaretta elettronica, uno strumento che mima l”esperienza del fumo, ma garantendo al contempo miglioramenti significativi dello stato di salute generale”.

LO STUDIO 

La BPCO fa parte di un gruppo di patologie polmonari legate al fumo che causano difficoltà respiratorie, enfisema e bronchite cronica. Lo studio ha individuato, grazie all’analisi delle cartelle cliniche di quattro diversi ospedali italiani, un gruppo di pazienti affetti da BPCO che utilizzano prodotti per il vaping. Tali soggetti sono stati seguiti attraverso un percorso di visite ambulatoriali annuali per un totale di cinque anni. 

Alla fine del follow up, i ricercatori avevano a disposizione i dati di 39 pazienti affetti da BPCO, 30 nel gruppo di pazienti con BPCO che utilizzavano le sigarette elettroniche e 19 in quello dei fumatori abituali. Sebbene intraprendere percorsi di smoking cessation dovrebbe rappresentare una priorità per i soggetti affetti da BPCO, i tassi di ricaduta in tali pazienti fumatori è molto alto e le terapie note per smettere di fumare sembravano avere effetti limitati.

I fumatori affetti da BPCO infatti sperimentano difficoltà nel sospendere completamente l’uso di nicotina e possono aver bisogno di un trattamento o di un uso prolungato di nicotina per avere un’astinenza continuata dal fumo. 

I RISULTATI

Nello studio, i ricercatori del CoEHAR hanno osservato una riduzione prolungata nel tempo del consumo giornaliero di sigarette nei pazienti affetti da BPCO che facevano uso, contemporaneamente, anche di prodotti per il vaping: è stata rilevata una riduzione complessiva di circa l’80% rispetto alla normalità

Ma la novità principale riguarda il fatto che i pazienti con BPCO che si sono astenuti dal fumare, passando alle sigarette elettroniche, hanno riportato miglioramenti a livello di salute clinicamente rilevanti. 

I pazienti che sono passati al vaping infatti hanno ridotto di circa il 50% le esacerbazioni della malattia e hanno migliorato significativamente la propria salute cardio-respiratoria rispetto al gruppo di controllo di pazienti affetti da BPCO che hanno continuato a fumare le sigarette convenzionali. 

Questi preziosi risultati spiegano come per i soggetti affetti da BPCO che non riescono a smettere di fumare da soli, passare a sostituti meno dannosi significa ridurre la sofferenza provocata dalla malattia. I medici dovrebbero considerare tutte le opzioni possibili, optando per quelle che hanno la maggior probabilità di interrompere l’esposizione al fumo di tabacco, come le ecig. 

Bandire il vaping in India: l’esperimento che non sta funzionando

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india vaping

Ci sono nazioni nel mondo in cui le sigarette elettroniche e i relativi prodotti per il vaping sono dichiarati “fuorilegge”: è il caso dell’India, che a partire dal 2020, ha vietato la produzione, la commercializzazione, l’importazione, lo stoccaggio, la vendita e la pubblicità relativa alle sigarette elettroniche.

Violare la legge può costare caro: multe di circa 1400 dollari e fino ad un anno di reclusione per chi viola la disposizione per la prima volta. Sanzioni che lievitano se il fatto viene reiterato. La legge ha inoltre valenza retroattiva: lo stoccaggio di prodotti per il vaping, anche se per utilizzo personale e anche se avvenuto prima dell’entrata in vigore del bando, non è consentito.

Sanzioni che si sono ulteriormente aggravate nel febbraio 2020, quando l’India ha deciso di vietare il trasporto di prodotti legati al vaping sugli aerei: andare in vacanza a Londra e tornare con una scorta personale è diventato illegale.

Ma la decisione può funzionare?

L’india è un paese dove, dati del 2018 alla mano, risiede il 12% dei fumatori totali mondiali, circa 120 milioni di fumatori. Se consideriamo invece il tobacco assunto non solo sotto forma dei sigarette, ma inteso anche come bidis (tabacco avvolto in foglie) o gutkha (tabacco da masticare), la percentuale di utilizzatori indiani di tabacco sale addirittura al 29%, rendono l’India il secondo consumatore dopo la Cina.

Le conseguenze della decisione governativa non si sono fatte attendere: come spesso in presenza di un bando, a trarne vantaggio è stato il mercato nero, dove la compravendita di prodotti illegali ha auto un’enorme crescita. Prodotti che, inutile specificarlo, non devono centrare alcun tipo di standard di produzione e che non sono sottosti ad alcun controllo.

Secondo un articolo della rivista Filter, che ha avuto la possibilità di intervistare diversi svapatori, la decisione del governo, oltre alla sopracitata conseguenza di implementare il mercato nero, ha avuto conseguenze peggiori: in primis, molti tabagisti sono tornati a fumare le sigarette convenzionali, spaventati sia dalle ritorsioni legali sia dalla difficoltà di reperire i prodotti.

In secondo luogo la ricerca di settore ha subito un brusco rallentamento, possiamo nei dire che è stata fermata del tutto: senza ricerca, mancano i dati per convincere le autorità a fare marcia indietro e, sopratutto, senza evidenze scientifiche non vi è dibattito, continuando così ad alimentare una visione retrograda in cui lo “smettere di fumare” viene relegato alla semplice decisione personale, e non a un complesso insieme di abitudini e dipendenza difficile da spezzare. 

In ultimo, la decisione ha stigmatizzato l’atto dello svapare, impedendo a molti sia di svapare per proprio conto, sia, soprattutto, di prendere in considerazione il vaping come metodo di cessazione.

Una situazione, quella indiana, che risente moltissimo delle influenze americane, dove il vaping è attualmente osteggiato e oggetto di restrizioni diverse nei vari stati e dove l’attenzione posta sull’eventuale dipendenza giovanile viene usata come una delle argomentazioni più forti.

L’approccio al vaping degli USA non può funzionare in India, una nazione in cui il vaping è un fenomeno relativamente nuovo, estraneo alle politicizzazione tipiche americane. Un paese che presenta tassi di utilizzo del tabacco piuttosto alti e le terapie sostitutive a base di nicotina sono piuttosto scarse, soprattutto per la popolazione delle aree più rurali.

Soluzioni che, sul già tentennante sistema sanitario indiano, hanno una rilevanza e un impatto nettamente maggiore, escludendo di fatto molti cittadini da poter attuare strategie salvavita se fumatori.

Chiudere il dibattito scientifico significa privare i fumatori indiani della possibilità di poter scegliere un’alternativa al fumo tradizionale: il mondo del vaping, purtroppo, a livello mondiale, necessita di una comunicazione diversa, che possa veramente far trasparire il messaggio di uno strumento che può cambiare radicalmente l’approccio alle strategie di cessazione.

Vivere vicino al verde aiuta i fumatori a smettere di fumare

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Verde

Secondo una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Social Science & Medicine, vivere vicino al verde aiuta i fumatori a smettere di fumare.

Questo il recente risultato di un team di ricercatori che hanno utilizzato i dati raccolti attraverso l’Health Survey for England (HSE), condotto ogni anno per conto dell’Ufficio per le statistiche nazionali del Regno Unito. Il seguente sondaggio prevedeva di raccogliere informazioni relative alla salute e al comportamento relativo alla salute delle persone che vivono in abitazioni private in Inghilterra. Nel caso specifico, i ricercatori hanno esaminato le risposte di oltre 8.000 persone adulte.

Tra gli intervistati, poco meno di un quinto (19%) si è descritto come fumatori abituali, mentre quasi la metà (45%) ha affermato di aver fumato regolarmente per un determinato periodo a un certo punto della propria vita.

I ricercatori hanno reso noto che le persone che vivono in aree con un’elevata percentuale di spazio verde hanno il 20% in meno di probabilità di essere dei fumatori abituali rispetto a coloro che vivono in aree meno verdi. Mentre le persone che hanno fumato durante la loro vita, quelle che abitano in quartieri “più verdi” hanno fino al 12% in più di probabilità di smettere di fumare e riuscirci.

La ricerca che è stata condotta da psicologi dell’Università di Plymouth, dell’Università di Exeter e dell’Università di Vienna vuole dimostrare che avere la possibilità di accedere facilmente a spazi all’aperto, comporta una riduzione del desiderio di fare uso di alcol, fumo e cibi malsani.

“Questo studio è il primo a indagare l’associazione tra spazio verde e comportamenti legati al fumo in Inghilterra. I suoi risultati ci invitano a supportare la necessità di proteggere e investire nelle risorse naturali, sia nelle comunità urbane che in quelle più rurali, al fine di massimizzare i benefici per la salute pubblica di tutti i cittadini. Se i nostri risultati fossero confermati da un ulteriore lavoro, potrebbero essere prescritti degli interventi basati sulla natura e che aiutano le persone a smettere di fumare”, ha dichiarato Leanne Martin, dell’Università di Plymouth, ricercatrice e autrice principale dello studio.

Tra gli autori, anche Mathew White, scienziato presso l’Università di Vienna e professore presso l’Università di Exeter, ha aggiunto: “Il fumo rimane un problema di salute pubblica globale. I governi di tutto il mondo spendono miliardi ogni anno per cercare di affrontarlo, sia nel tentativo di migliorare la salute pubblica che di ridurre la pressione sui servizi sanitari. Questo studio sottolinea la necessità di preservare gli spazi verdi esistenti ed espandere lo sviluppo di nuovi”.

La prova considerevole degli spazi naturali associati alla riduzione dello stress e dei comportamenti malsani come il fumo, fa sì che si possa considerare l’idea di incrementare gli spazi verdi nelle aree cittadine, in quanto valido strumento per smettere di fumare.