venerdì, Giugno 27, 2025
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Milano: San Siro smoke free

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Allo stadio si tornerà senza sigarette. La città di Milano ha approvato, di recente, il regolamento che mette in atto una serie di disposizioni per migliorare la qualità nell’aria della metropoli con restrizioni e pene severe per chi fuma all’aperto. Tutto ciò per evitare e ridurre il Pm 10, ossia le particelle inquinanti nocive per i polmoni, tutelando la salute dei cittadini dal fumo di sigaretta attivo e passivo, nei luoghi pubblici frequentati pure da minori.

Il primo ad adeguarsi a questa nuova normativa sarà lo stadio San Siro di Milano

Attraverso dei router Wi-Fi, telecamere che riescono ad identificare tutte le persone sedute e non all’interno dello stadio, saranno individuati e segnalati tutti i sospettati fumatori.

L’obiettivo è rendere Milano e lo sport della città smoke free prima delle olimpiadi 2026.

Ci riusciranno?

Sovrappeso e fumo di sigaretta: perché chi smette ingrassa?

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Smettere di fumare è un grande traguardo da conquistare innanzitutto per la salute, ma anche per il portafoglio e per la propria autostima. Tuttavia, l’obiettivo non è sempre facile da raggiungere e una delle paure di chi si appresta a rinunciare a questa cattiva abitudine è quella di ingrassare.

Ma quali sono i cibi consigliati e quelli da evitare durante il processo di cessazione da fumo?

Lo abbiamo chiesto al prof. Massimo Caruso, ricercatore del CoEHAR dell’Università di Catania ed esperto anche di nutrizione.

Una scorta di cibi rinfrescanti e ricchi di acqua, come: frutta fresca, verdure (per lo più a crudo, dunque insalate), e ortaggi, di cui molti sono ricchi anche di nicotina, può aiutare l’aspirante ex-fumatore a sopperire alla sua carenza. “Tenere sempre il metabolismo in attività con alimenti freschi, ipocalorici e ricchi di acqua ci aiuterà ad evitare di eccedere con alimenti ipercalorici che, fra l’altro, spesso aumentano il desiderio della bionda” – spiega Caruso.

Tenete lontane gomme e caramelle. Di solito è la prima cosa in cui si sbaglia. Il bisogno di rinfrescare una bocca che desidera una sigaretta ci porta ad allungare le mani verso caramelle e gomme che però, seppur rinfrescanti, contengono zuccheri che non ci aiutano.

In un percorso di cessazione dell’utilizzo delle bionde, bisogna puntare su:

  1. Disintossicazione
  2. Contenimento dello stress ossidativo
  3. Attenuazione del desiderio di nicotina.
Come raggiungere questi obiettivi?

Mangiando frutta fresca, e verdure come i broccoli e verdura a foglia verde in genere (con alto potere disintossicante), pomodori, peperoni, peperoncini, melanzane e patate (ricchi di nicotina), a cui è utile associare alimenti alcalinizzanti come il limone, gli spinaci, l’aglio, etc., che aumentano la permanenza in circolo della nicotina stessa, e infine alimenti come pomodori, (in particolare la salsa), broccoli, agrumi, mirtilli, frutti di bosco, zucca, salmone, trota, peperoncino, peperoni, melograno, carote, tè, verde cioccolato fondente (alimenti ricchi di antiossidanti).

La regola di base è: mangiare cibi salutari e ipocalorici perché aiutano ad eliminare le tossine accumulate con anni di fumo.

L’argomento è comunque davvero molto vasto. Si pensi che molti fumatori che non riescono a smettere da soli scelgono di passare a prodotti meno dannosi come le sigarette elettroniche e secondo uno studio condotto dal team di ricerca dell’Università degli Studi di Catania guidata dal prof. Riccardo Polosa dimostra che chi smette di fumare svapando aumenta di peso molto meno rispetto a chi smette di fumare senza nessun ausilio.

I ricercatori hanno infatti dimostrato una riduzione dell’accumulo di peso in pazienti che smettono di fumare utilizzando la sigaretta elettronica.

Liaf: raccontaci la tua storia

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storia

Liaf da anni combatte per aiutare i fumatori a smettere e per trovare soluzioni alternative e meno dannose per chi non riesce a smettere di fumare da solo. Ma a volte, si può smettere anche da soli. L’importante è conoscere le conseguenze alle quali si può andare incontro.

Liaf – raccontaci la tua storia nasce con lo scopo di condividere con voi lettori la storia di chi è riuscito a vincere la battaglia contro il fumo.

Oggi vi presentiamo la storia di Florinda. Una donna di 48 anni a cui è stato riscontrato un tumore al polmone dopo anni di fumo di sigaretta convenzionale.

Sarei molto lieta di poter raccontare la mia esperienza” – ci scrive in una lunga email arrivata alla redazione di LIAF Magazine.

Oggi posso dire di aver vinto la battaglia contro il tumore al polmone, faccio chemioterapia adiuvante per le recidive e tutta questa esperienza mi ha portata ad avere e poi affrontare la mia più grande paura, ma questa paura mi ha permesso di sconfiggere anche la battaglia contro il fumo. Anche se sono passati solo 5 mesi, la mia decisione è quella di vivere“.

Testimonianze come quella di Florinda possono essere d’aiuto, soprattutto quando la forza di volontà non basta e sarebbe opportuno un confronto con medici specialisti e ricercatori dei centri antifumo.

“Le mie priorità oggi sono altre, come affrontare una chemioterapia e tornare a riprendere la vita in mano, il mio lavoro e i miei affetti”.

Chi smette di fumare non è mai un “non fumatore” ma un “ex fumatore” e questo perché uscire definitivamente dalla porta del tabagismo e non rientrarci mai più è una battaglia costante che solo con grande determinazione e forza di volontà può essere vinta.

Sono convinta e consapevole che la battaglia contro il fumo non è ancora del tutto vinta perché sono passati solo 5 mesi ed il pensiero di sconfiggere il mio mostro più grande è ben più importante

Forse nel caso di Florinda, la sua esperienza sfortunata è stata determinante.

Ma la domanda che vi poniamo è: siete davvero consapevoli delle conseguenze, spesso gravi, alle quali si può andare incontro fumando?

Perché lo smoking da uomo ha il nome del vizio di fumare?

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smoking

Il famosissimo smoking da uomo, l’abito da sera per eccellenza, ha a che fare con l’abitudine degli uomini di fumare?

Per rispondere a questa domanda, è necessario risalire alla nascita di quello che a tutti gli effetti, per design e usi comuni, può essere considerato lo smoking da uomo così come lo intendiamo oggi.

Il termine “smoking” viene da smoking jacket (“giacca da fumo”), una veste da camera che nell’Ottocento veniva rigorosamente indossata dagli uomini nelle stanze per soli fumatori, con lo scopo di preservare l’abito dall’odore del tabacco. In Inghilterra l’abito da sera non si chiama smoking ma ‘black tie’, e ‘tuxedo’ è invece il termine in uso in America dove fu indossato per la prima volta nel 1929, dall’industriale Griswold Lorillard al Tuxedo Club nel New Jersey, da qui infatti l’origine del nome.

La diffusione di questo capo d’abbigliamento è da collegarsi alla Guerra di Crimea e ai contatti con la popolazione turca, soprattutto per alcune loro abitudini, tra cui quella di accompagnare dopo il pasto un buon alcolico con una fumata di tabacco.

Gli uomini presero l’abitudine di indossare una giacca da fumo anche per evitare che il cattivo odore del tabacco arrivasse alle donne. Per galanteria e buona educazione.

Da sottolineare che in quegli anni non erano ancora noti gli effetti dannosi del fumo di sigaretta convenzionale, erano gli anni in cui anzi fumare significava essere attraente, di talento, elegante. Fu solo dopo molti decenni che le gravi conseguenze del fumo di sigaretta convenzionale vennero resi noti dalle organizzazioni di salute pubblica mondiali. E solo dopo anche le compagnia cinematografiche furono costrette a rivedere le loro politiche ed i loro prodotti. Ma di quel tempo ignaro delle conseguenze, ci resta almeno l’abito da uomo più famoso al mondo. Fu così, infatti, che lo smoking, sin dalle sue prime manifestazioni per i membri che componevano l’alta nobiltà, diventò l’abito per eccellenza della mondanità e dell’eleganza, ancora oggi molto gettonato.

Cosa cambia per il mondo del vaping con la nuova amministrazione Biden?

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Lo scontro politico tra i favorevoli alla sigaretta elettronica e quelli contrari entra in una nuova fase.

Negli Stati Uniti è una lotta che si rinnova ad ogni cambio d’inquilino alla Casa Bianca quella tra svapatori e chi vorrebbe un divieto totale di vendita dei prodotti da svapo. Un braccio di ferro che va avanti da anni, e che vede nell’equilibrio tra diritto dei fumatori ad una alternativa meno dannosa ed il contrasto al boom di vapers tra i teenagers la sua ragione d’essere.

Vaping si, vaping no: un problema politico.

Negli Stati Uniti il vaping è oggetto di dibattito feroce da anni. A partire dall’Agosto del 2016, la US Food and Drug Admistration, l’ente federale che regola le politiche di salute pubblica nel paese, ha dichiarato le sigarette elettroniche come prodotti da tabacco e quindi soggette allo stesso tipo di regolamentazione delle sigarette tradizionali. Un giro di vite che ha prodotto non solo una ulteriore tassazione sui prodotti ma anche una demonizzazione della sigaretta elettronica in-toto. Questo approccio, tuttavia, ha provocato delle conseguenze non previste come l’aumento della compravendita di prodotti non regolamentati e la creazione di un mercato al di fuori del controllo statale. Tutto a discapito dell’implementazione di alternative più sicure per la salute rispetto alla sigaretta tradizionale.

Nonostante il governo statunitense abbia a disposizione tutti gli strumenti necessari al fine di mettere in campo una regolamentazione e una tassazione dei prodotti da svapo accuratamente calibrata ed equilibrata, le conseguenze politiche di uno sdoganamento della sigaretta elettronica pesano come un macigno sull’intero settore. Soprattutto per la scottante questione del crescente uso di svapo tra giovani e giovanissimi, che rallenta ogni passo in avanti verso questa direzione.

La tassazione negli Stati Uniti cambia da stato a stato. (Taxfoundation.org)


Secondo una recente ricerca dell’Università di San Diego in California, il numero di adolescenti che iniziano a fumare sigarette è costantemente diminuito negli anni parallelamente al crescente utilizzo delle e-cig. Dal 2016 al 2019, il numero di fumatori di sigarette tra i ragazzi delle scuole superiori statunitensi è sceso dal 28% al 22%, mentre l’uso di sigarette elettroniche è aumentato dal 39% al 46%.

La distribuzione di svapatori negli Stati Uniti per fascia d’età (Statista.com)


Un fenomeno da non sottovalutare, ma che non può oscurare i molti studi scientifici che da anni ormai sottolineano i benefici apportati dalle sigarette elettroniche rispetto alle tradizionali, e che considerano questi strumenti come efficaci mezzi alternativi per una progressiva riduzione del danno causato dal fumo combustibile ed una successiva eliminazione della dipendenza da nicotina.

La retromarcia di Trump

Lo scorso Gennaio, con una mossa a sorpresa il Presidente Donald J. Trump dopo una iniziale chiusura a qualsiasi tipo di prodotto da svapo riformulava la sua proposta di legge, proibendo solo quegli aromi preferiti dai giovani e mantenendo quelli più utilizzati tra gli adulti. Una mossa che ha causato molto scalpore e che non è piaciuta affatto ad entrambi gli schieramenti.

Non avrei mai dovuto fare quella cosa dello svapo” avrebbe detto Trump durante una telefonata con Alex Azar, segretario del Health and Human Services. Trump probabilmente si riferiva al fatto di aver pubblicamente dichiarato il proprio sostegno al divieto delle sigarette elettroniche aromatizzate piuttosto che lasciare la questione alla Food and Drug Administration.

Trump/Azar (Tom Brenner/Reuters, FILE)


Una frase che evidenzia inequivocabilmente il fatto che nessun legislatore statunitense voglia essere considerato dall’opinione pubblica come “tollerante” nei confronti del mondo dello svapo, e che ha riproposto ancora una volta l’estrema necessità di un bilanciamento tra la protezione dei minori sull’uso della sigaretta elettronica e l’offerta di una valida alternativa alla sigaretta tradizionale per i fumatori.

Il nuovo approccio del neo-presidente Joe Biden

Nonostante siano passate poco piu’ di due settimane dall’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti siamo già in una nuova fase per il mondo dello svapo.
La scelta della US Food and Drug Administration di alzare i requisiti minimi per l’accesso al mercato dei prodotti di tabacco il giorno prima dell’insediamento di Biden, non è infatti passata inosservata. Come inosservata non è stata la scelta di undici senatori democratici, appena una settimana dopo il giuramento di Biden, di scrivere una lettera aperta alla FDA “sollecitando la rimozione dal mercato di tutti i nuovi prodotti da tabacco non autorizzati”.

(Somodevilla/Getty)

Il pugno duro del Partito Democratico statunitense rispecchia senza dubbio un atteggiamento di sospetto nei confronti della Big industry in generale e del Big Tobacco in particolare. Questo approccio potrebbe però rivelarsi un boomerang. Innalzare i requisiti e stringere le maglie aumenterebbe infatti i costi di entrata nel mercato e quindi tagliare fuori le piccole compagnie indipendenti che sono alla base del business delle e-cigarettes. In ultima istanza, i vincitori di questo nuova politica sarebbero proprio le grandi compagnie del tabacco.

Aia: continua la protesta olandese contro il divieto sugli aromi

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La notizia che riportiamo oggi vede come protagonisti la città dell’Aia e i suoi vapers olandesi che scendono ancora una volta nelle strade della capitale politica, mettendo in atto una vera e propria campagna contro il progetto di legge del Segretario di Stato Blokhuis.

Risale a metà gennaio la notizia proveniente dall’Olanda e del Segretario di Stato olandese Paul Blokhuis che annunciava il divieto di commercializzazione di tutti i liquidi per sigarette elettroniche contenenti aromi diversi dal tabacco, in quanto si suppone attraggano maggiormente all’uso i più giovani.

L’iniziativa, molto interessante, consiste in un’istallazione che è stata organizzata alla luce di una consultazione pubblica sulla proposta di divieto di commercializzazione degli aromi, che ha già visto più di 800 richieste, il 98% delle quali contrarie al divieto e a sostegno dello svapo. L’enorme interesse della popolazione olandese per la questione, ha costretto il Governo a prolungare la possibile proposta di due settimane.

In risposta al successo della protesta, il direttore della World Vapers ‘Alliance (WVA), Michael Landl ha dichiarato:

“La passione espressa dalla comunità olandese dei vapers attraverso il processo di consultazione è stata incredibile. La stragrande maggioranza delle richieste afferma esplicitamente che lo svapo li ha aiutati a smettere di fumare. E che vietare gli aromi li riporterebbe alle sigarette tradizionali. Il governo deve ascoltare queste storie e abbandonare questa ridicola legislazione”.

Spinti da quella che il direttore della WVA, Michael Landl, ha definito “un’incredibile risposta alla consultazione pubblica”, i vapers olandesi hanno trasmesso messaggi vitali ai legislatori del paese, come:

“Il divieto degli aromi servirà solo a riportare 260.000 vapers olandesi a fumare”

“Lo svapo è il 95% più sicuro del fumo”

“Salvare gli aromi, salverà vite umane!”

Lo spettacolo di luci è stato organizzato dalla World Vapers ‘Alliance nel rispetto delle normative anti-Covid, ed è stato proiettato sugli edifici storici dell’Aia, a partire dalle 18:00 fino al termine del coprifuoco.

Polosa ancora in testa tra gli scienziati più citati al mondo

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riccardo polosa

Il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, anche nel 2020 risulta tra gli scienziati più citati al mondo secondo la classifica di Plos Biology del 2020.

Updated science-wide author databases of standardized citation indicators è l’articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Plos Biology che ogni anno rende pubblici i dati relativi all’impatto delle pubblicazioni scientifiche di 1.000.000 di ricercatori nel mondo, in termini di rapporto tra citazioni, ricerche e impatto sulla carriera.

Secondo questo studio, Il prof. Polosa anche per il 2020 è tra gli scienziati più citati e si attesta il primato tra gli atenei più produttivi di Palermo, Messina e Catania

Gli scienziati vengono rigorosamente classificati in 22 campi scientifici e 126 sottocampi.  

Un autorevole riconoscimento che voglio condividere con tutti i membri del CoEHAR e con i numerosi ricercatori dell’ateneo. Nonostante le limitazioni dovute alla pandemia, i nostri ricercatori anche nel 2020 hanno continuato a condurre gli studi senza mai perdersi d’animo, con coraggio e fiducia e adottando le più idonee misure di protezione hanno continuato a lavoro con entusiasmo e determinazione” – così Riccardo Polosa ha commentato la notizia.

Tell your story: la tua lotta contro il tabagismo

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Oggi vi presentiamo la nuova iniziativa dell’agenzia pubblicitaria Duncan Channon che insieme al California Tobacco Control Program e allo studio di animazione americano Nexus Studios, ha creato una serie di tre documentari d’animazione dal titolo: “Tell your story”.

L’interessante iniziativa nasce dall’obiettivo di sensibilizzare il pubblico nella lotta contro il tabagismo, ma a differenza delle altre campagne antifumo che veicolano messaggi più “forti”, in questo caso si vuole evitare di generare sentimenti di paura e rifiuto in tutte quelle persone che stanno provando a smettere di fumare.

Cos’è TELL YOUR STORY?

Gli spot sono animati, la lotta è reale. Non si tratta di dire alle persone ciò che già sanno – che dovrebbero smettere – ma piuttosto dire loro che non sono soli. I corti sono illustrati e animati dal regista e designer Robertino Zambrano, i racconti di Steven, Ryan e George (i tre protagonisti degli spot) hanno la capacità di coinvolgere e attirare l’attenzione del consumatore.

Basandosi sui racconti di tre reali ex consumatori, Tell your story mette in atto il percorso emotivo che attraversa ogni fumatore nella lotta contro la sua dipendenza personale.

Alla fine di ogni corto vi è la frase didascalica: EVERY ATTEMPT IS PART OF YOUR STORY TO QUIT FOR GOOD, ovvero OGNI TENTATIVO FA PARTE DEL TUO PERCORSO DI RINUNCIA, SEMPRE. Ogni singolo corto si conclude così per facilitare lo spettatore e portarlo verso NoButts.org e alla CA Smokers Helpline, due servizi californiani no profit di sostegno ai fumatori.

Tra le storie, c’è la storia di chi ha provato a smettere di fumare almeno cento volte negli ultimi anni ma dopo due/tre giorni di rinuncia, il protagonista dello spot, entrando in macchina, trova un pacchetto di sigarette, ne prende una e si chiede: “perché ogni volta provo a smettere se tanto ci casco sempre?”. Ma qualcosa si accende nella sua testa e lui afferma che può farcela.

Poi c’è chi, dopo aver provato a smettere per la prima volta, ha detto a se stesso che era come una montagna da scalare e che una volta passato all’altro lato sarebbe cambiato tutto ma in realtà non ce l’ha fatta, e ciò che lo ha spinto davvero a smettere è stato vedere la sua sorellina fumare, così è tornato alla montagna con lei e ha esclamato che è assurdo quanto si faccia per gli altri che non siamo disposti a fare per noi stessi.

Ci è sembrato molto importante condividere questa iniziativa perché sappiamo che smettere di assumere nicotina richiede di rompere una catena di elementi che creano dipendenza: fisici, sociali e mentali. E per riuscirci possono essere necessari innumerevoli tentativi. Questo lavoro mira ad attingere a quella verità non detta e far sapere alle persone che ogni tentativo è un passo importante per smettere per sempre.

Per vedere TELL YOUR STORY, clicca qui.

Fumo e svapo non sono sullo stesso piano. Il divieto di fumo a Milano va reinterpretato

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divieto fumo milano

Milano è diventata la prima città europea a bandire il fumo al di fuori degli spazi chiusi. Una decisione che riguarda sia il fumo di sigaretta convenzionale sia lo svapo. La ratio della norma risiede nella necessità di tutelare il diritto alla salute o di mitigare il rischio di contagio? Fumo elettronico e fumo tradizionale sono la stessa cosa?

La decisione della città di Milano di vietare il fumo alle fermate di bus e tram, negli spazi verdi o dedicati allo sport, in stadi e cimiteri, oltre che ad una distanza di 10m da altre persone sta suscitando reazioni avverse a livello comunitario.

Da un lato, la scelta può essere interpretata come una logica conseguenza del bando introdotto nel 2003 che vieta il fumo nei luoghi chiusi, e che porta con sé la logica sottintesa che fumo e svapo sono sullo stesso piano. Ma questa autocrazia della salute non rischia di minare anni di ricerca del settore?

Sull’argomento interviene il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR: “Io ritengo necessario considerare due aspetti importanti.

Da un lato abbiamo prove sufficienti sulla minore dannosità delle sigarette elettroniche che, in paesi come l’Inghilterra ad esempio, vengono addirittura consigliate nelle strutture di salute pubblica come valido supporto nei percorsi di cessazione.

Dall’altro lato, le autorità di salute pubblica italiane temono che svapare comporti un aumento delle probabilità di propagare il coronavirus“.

Tuttavia, un recente studio firmato dai nostri ricercatori del CoEHAR indica che il rischio di contagio in luoghi chiusi connesso allo svapo è pari a un incremento dell’1%. Significa che a una distanza ragionevole di oltre un metro, in presenza di dispositivi di protezione personale come le mascherine, svapare non altera di fatto il tasso di contagio. 

Come paragone, considerato un lasso di tempo di due minuti, tossire aumenta il rischio del 260%. Alla luce di questi dati, come si giustifica la distanza di 10m?

Rispettando il solo principio ideologico alla base di questa fondamentale distinzione è doveroso sottolineare che non si possono mettere sullo stesso piano il fumo e lo svapo. Si tratta di strumenti e condizioni di utilizzo diversi, così come di principi opposti.

Già durante il lockdown di Marzo, la decisione di chiudere tutte le attività non essenziali aveva condannato molti fumatori al rischio di ricadere nel vizio poiché sottoposti ad una ulteriore condizione di stress, esacerbata dallo stare chiusi in casa.

Questa superficialità di giudizio nell’applicazione delle regole ci mette di fronte al rigetto di oltre un decennio di evidenze scientifiche a favore delle politiche di riduzione del danno. Se ammettiamo che le sigarette elettroniche siano un sostituto meno dannoso di quelle convenzionali, non possiamo regolamentare il fumo, considerandolo come lo svapo.

Questa dovrebbe essere l’occasione per sdoganare un’impostazione che da anni impedisce di abbandonare lo stigma che le e-cig si trascinano dietro: non stiamo parlando di sostituire una dipendenza con un’altra. Stiamo parlando di uno strumento che può essere usato sia nei percorsi di cessazione, sia per attenuare le esacerbazioni negative di tutta una serie di patologie che derivano dal fumo (come diabete, ipertensione arteriosa, BPCO e schizofrenia).

A livello ideologico non possiamo accomunare i due mondi: identificarli come un universo unico significa accettare che non esistano gradi di rischio diversi e dunque, di fatto, eliminare una possibilità di uscire dal fumo a chi ne necessita. Se davvero il Covid-19 ci ha insegnato l’importanza della salute e se davvero il fumo è un fattore di rischio questa patologia polmonare, perché vietare un sostituto che può lenire gli effetti negavi?

Siamo in un periodo di difficoltà, dove un nemico invisibile ha posto l’attenzione sulla salute per la prima volta in era moderna. Ma la portata di questa rivelazione non dovrebbe oscurare anni di evidenze scientifiche. Stiamo cambiando l’approccio al mondo della sanità, ma in primis dobbiamo accettare di dover modificare alcuni canoni su cui essa si basa, senza ragionare nell’ottica del “bianco o nero”.

Commit to Quit: la campagna antifumo dell’OMS sarà efficace?

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OMS COMMIT TO QUIT

Una recente pubblicazione ha analizzato il possibile impatto della nuova campagna dell’OMS che si ripromette di aiutare oltre 100 milioni di fumatori nel mondo, in paesi dove il fumo rappresenta una vera e propria piaga.
A firmare l’articolo Derek Yach, presidente della Foundation for a Smoke Free World, e Chitra Subramaniam, esperta internazionale di comunicazione e coordinatrice del progetto “Catania Conversation”, due autorità nel settore dell’harm reduction e della relativa comunicazione.

Quanto sarà efficace questa campagna?

Da anni l’OMS, si è fatta portavoce di progetti e iniziative per combattere la dipendenza tabagica. Come spesso accade, di fronte a organizzazioni le cui decisioni hanno risonanza mondiale, i processi di validazione delle terapie sono lunghi e molto spesso vanno a scapito di forme innovative di trattamento.

Un discorso universalmente valido, che, nel caso delle sigarette, ha permesso che per anni le terapie tradizionali nei percorsi di cessazione si basassero sull’utilizzo di farmaci o terapie sostitutive che prevedono l’uso della nicotina. 

Siamo oramai nel 2021 e sono molte le prove che indicano come terapie efficaci nella lotta la tabagismo non solo quelle tradizionali, abbinate a un’attività di counselling, ma anche quelle, ormai non più innovative, come l’utilizzo della sigaretta elettronica o dei prodotti a tabacco riscaldato.

Lascia dunque perplessi la campagne annunciata a dicembre dall’OMS, “Commit to Quit”, un approccio multisettoriale che, secondo previsioni, permetterà di aiutare oltre 100 milioni di fumatori nel mondo a smettere.

Una campagna che lascia alquanto perplessi, sia per i partner scelti che per le strategie da intraprendere.

L’OMS cita infatti come partner nel progetto colossi come Amazon Web Services, Facebook e goole. Per quanto possa risultare interessante la scelta di utilizzare alcuni dei colossi di comunicazione della nostra era, queste società non hanno esperienza nel settore della cessazione. Peggio ancora, nella lista risulta esserci anche Allen Carr’s Easyway, che molto spesso pubblicato studi di dubbia reputazione e validità scientifica, oltre che ostacolare l’uso della nicotina nelle terapia sostitutive.

Parte della strategia consiste nell’utilizzo di Florence, un’assistente vocale robotico in grado di fornire supporto a chi vuole smettere: scelta interessante, se non che l’algoritmo su cui si basa l’azione della voce non riesce ad elaborare le situazioni di vita reale, fornendo di conseguenza consigli privi di quella complessità di cui necessita un percorso di cessazione.

Che dire die paesi che l’OMS indica come di maggior attenzione?

Molte di queste nazioni non solo non ammettono l’utilizzo di strumenti a rischio ridotto, ma addirittura non hanno ancora inserito le terapie sostitutive a base di nicotina nei loro formulari nazionali. 

Ad aggiungere benzina sul fuoco, interviene anche un report pubblicato dall’OMS il 23 di dicembre, elaborato dal Comitato di esperti sulla regolamentazione dei prodotti del tabacco: di fatto, nel report si raccomanda di bandire i prodotti a tabacco riscaldato e le sigarette elettroniche.

Un’affermazione in netto contrasto con le evidenze scientifiche e validate riportato nel Global State of Tobacco Harm Reduction, che riporta come i prodotti a tabacco riscaldato e le sigarette elettroniche si dimostrino molto più efficaci nei percorsi di cessazione delle terapie tradizionali, garantendo un’esposizione di molto inferiore ai prodotti tossici derivanti dalla combustione della sigarette convenzionali e del bidis.

Analizziamo inoltre un’ulteriore resistenza dell’OMS: l’appoggio delle terapie che si incentrano sui concetti di riduzione del danno ai prodotti elaborati dalle major dell’industria del tabacco.

Come è possibile fidarsi di prodotti che vengono sviluppati da quelle stesse aziende che 20 anni fa abbiamo combattuto strenuamente?

Un’obiezione giustissima. Ma è un’obiezione che non tiene conto dell’innovazione tecnologica e dell’attenzione che ormai si pone sulla salute umana, che hanno reso questi colossi leader nella produzione di strumenti a rischio ridotto.

Possiamo davvero impedire che il pregiudizio condanni un possibile cambiamento epocale?

Perché non è possibile mettere a confronto il Comitato di esperti dell’OMS con gli scienziati che da anni si occupano di harm reduction per poter validare dei protocolli che siano efficaci ed universalmente validi?

La sfida dell’OMS dovrebbe essere tesa all’innovazione: non serve cercare nuovi metodi comunicativi per proporre terapie che iniziano a dimostrare scarsa efficacia se prese singolarmente. Approcciare i paesi dove la piaga del fumo ad oggi rappresenta un vero e proprio problema sociale con le scelte elaborate 20 anni fa, significa porre la basi affinché tra 20 anni queste nazioni abbiamo gli stessi problemi di cui noi stiamo discutendo ora. 

Ciò non significa che le terapie tradizionali debbano essere abbandonate. Significa semplicemente che ad oggi possiamo avere diverse frecce al nostro arco, e tutte vanno sfruttare.

Ancora una volta sono i numeri che dobbiamo considerare: perché pensare di aiutare “solo” 100 milioni di fumatori, se abbracciando le terapie innovative e implementando le normative nei paesi considerati potremmo aiutarne molti di più?

L’interesse rimane la salute pubblica: se dobbiamo tutelarla, è necessario inviare a cambiare approccio.

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