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Vaccini Covid-19: fumo accelera la caduta degli anticorpi

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Secondo uno studio condotto da un team di epidemiologi italiani, coordinati dal CESP di Milano Bicocca e con la supervisione del CoEHAR, il numero di anticorpi indotti dal vaccino per il COVID-19 diminuisce in maniera più rapida nei non fumatori

L’avvento dei vaccini ha permesso di arginare, almeno parzialmente, la crisi scatenatasi al seguito della diffusione pandemica del Covid-19. Ma la risposta immunitaria a questi preparati varia a seconda di diversi fattori, abitudini comprese.

Un team di ricercatori italiani ha dunque voluto studiare la possibile correlazione tra fumo di sigaretta e la velocità di decremento del numero di anticorpi: considerato un campione di 162 operatori sanitari volontari, si è scoperto che il loro livello inizia a diminuire già dal secondo mese dopo la vaccinazione in maniera molto più rapida dei fumatori.

«I vaccini si sono dimostrati un’arma efficace contro il Covid-19. Sappiamo che la risposta immunologica è influenzata dai diversi fattori, come una precedente infezione da SARS-CoV-2, ma anche i nostri comportamenti e stili di vita. Abbiamo bisogno di ulteriori conferme dalla ricerca, ma questo studio suggerisce che il fumo contribuisce a indebolire la risposta delle immunoglobuline e con possibili implicazioni sull’efficacia stessa della vaccinazione. E questo può riguardare anche gli altri vaccini oltre a quelli anti-Covid-19» spiega Pietro Ferrara, medico epidemiologo del CESP di Bicocca.

Lo Studio

Lo studio è parte di un più ampio progetto di ricerca, denominato VASCO (Monitoraggio della risposta al Vaccino Anti-SARS-CoV-2/COVID-19 in operatori sanitari) e coordinato dal CESP dell’Università Bicocca diretto dal Prof. Lorenzo Mantovani.

L’obiettivo è stato quello di valutare la risposta al vaccino Pfizer in un campione generale di oltre 400 soggetti, confermando sicurezza ed efficacia della vaccinazione anti-COVID-19.

L’ultima pubblicazione è la terza di una serie di ricerche parte del progetto VASCO, frutto della collaborazione attiva con il CoEHAR.

Nello specifico, questa analisi si è concentrata su 162 soggetti con un’età media di 43 anni e, dei quali, 28 avevano avuto precedente infezione da SARS-CoV-2, in cui sono stati valutati il livello di anticorpi indotti dal vaccino e il suo andamento nel breve-medio termine dopo la vaccinazione.

Tutti i soggetti erano stati precedentemente vaccinati con vaccino a mRNA BNT162b2 di Pfizer-BioNTech.

Per esaminare la risposta anticorpale al vaccino, i volontari sono stati sottoposti a test sierologici seriati per valutare il livello degli anticorpi e come questi cambiano nel tempo.

I risultati sono stati analizzati in funzione di età, sesso e precedente infezione da Covid-19.

Successivamente, i ricercatori si sono chiesti se il fumo avesse potuto giocare un ruolo nel tipo e nella durata della risposta anticorpale, analizzando i dati mensili degli anticorpi.

Le analisi sierologiche hanno dimostrato che il loro livello inizia a diminuire già dal secondo mese dopo la vaccinazione in maniera molto più rapida dei fumatori.

Il Prof. Riccardo Polosa, Fondatore del CoEHAR, guarda alle implicazioni dirette ai fumatori: «La ricerca scientifica in questo particolare periodo storico sta facendo sforzi enormi per trovare le risposte più efficaci per combattere il Covid-19, ma non possiamo dimenticare che ci sono tantissime altre malattie che portano alla morte e che dobbiamo considerare di risolvere i fattori di rischio modificabili, attraverso la corretta prevenzione o il passaggio a soluzioni meno dannose. Tra questi c’è l’abitudine al fumo. I nostri ricercatori stanno valutando quanto il fumo incida sulla progressione del Covid-19 e sull’impatto che Sars-Cov-2 ha sui soggetti fumatori: è evidente che si tratta di una relazione significativa che non possiamo sottovalutare».

Per confermare e rafforzare questa scoperta, gli studiosi sono attualmente impegnati a condurre una revisione della letteratura disponibile sulla risposta ai vaccini contro il Covid-19.

I ricercatori del CoEHAR sono convinti che i risultati saranno indispensabili per aumentare la conoscenza sui meccanismi di risposta alla vaccinazione Covid-19, ma soprattutto per sensibilizzare i fumatori a smettere.

Back to the ‘80s: stiamo assistendo a un ritorno del fumo?

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Le mode vanno e vengono: ciò che a un certo punto sembra diventare vecchio e “già visto” viene immediatamente rifilato nel dimenticatoio, alla velocità di un click sui social media. E dopo anni si può assistere a un ritorno, nell’ottica della continua ricerca del nuovo e della tendenza. 

E sebbene questa tendenza alla riscoperta del vintage potrebbe inserirsi ai margini dei discorsi di economia circolare e sostenibilità, ci sono esempi di mode che pensavano ormai di aver incasellato alla voce “non cool” con un discreto margine di sicurezza.

A mettere la pulce nell’orecchio, un articolo apparso recentemente sul New York Times, che si interroga se la percezione sull’aumento di persone che fumano sia dovuto a una semplice casualità e al numero di limitato di persone in circolazione o se invece stiamo assistendo a un ritorno, a una seconda primavera tabagica.

Un dato che per il momento non trova conferma in studi e ricerche, che anzi attestano un percentuale di fumatori più bassa rispetto al passato.

E allora da cosa deriva questa sensazione?

La pandemia ha alimentato tre effetti secondari molto spiacevoli: il primo, più evidente, è legato alla solitudine generata dai periodi di confinamento e mancanza di contatto sociale.

Esistono diverse studi internazionali secondo i quali durante la pandemia, la convivenza forzata con altri membri della famiglia e l’impossibilità di fumare nelle proprie abitazioni, oltre che alla paura che la sigaretta rappresentasse un fattore di rischio per una patologia respiratoria come il Covid-19, abbia diminuito il numero di fumatori.

Allo stesso tempo, ansia e solitudine hanno dipinto le tonalità dei grigi del nostro umore, due trigger emotivi che tendono ad aumentare la necessità di rifugiarsi in una pratica da sempre connessa all’evasione e al relax.

In secondo luogo, la pandemia ha alimento una delle paure più profonde e inconsce dell’essere umano: la paura di morire.

E da alcune interviste raccolte dal giornalista del New York Times è emerso che propria questa irrazionale paura verso un nemico mortale ha alimentato un effetto interessante: a fronte di una situazione così allarmante, il rischio spalmato sul lungo periodo del fumo è sembrato meno preoccupante e imperante del Covid-19.

Un discorso che non trova coincidenza con la realtà e che, speriamo, sia limitata a un campione ristretto di persone, ma che apre uno spaccato interessante sui complessi meccanismi psicologici che regolano il comportamento di fronte a un fattore di stress.

Esiste poi un ultimo fondamentale aspetto: avevamo già trattato quanto il paragone con i canoni proposti dai social media fosse fondamentale per approcciare o abbandonare la sigaretta.

Sono ancora troppo diffusi personaggi di riferimento mediatici che intendono il fumo come una pratica cool da sfoggiare. Allo stesso tempo, il bisogno di riunirsi e di condividere diventa necessario per ritrovare quel senso di socialità che era andato perduto nei lunghi mesi di solitudine o di allontanamento dalla società.

E il vaping come si colloca in tutto questo?

I dibattito sui metodi alternativi a rilascio di nicotina è quanto mai aperto: sappiamo che il mercato statunitense è particolarmente contrario al fumo elettronico.

La percezione generale, alimentata da una malsana informazione scientifica, è che le prove sugli effetti a lungo termine del vaping siano ancora insufficienti e che tale pratica sia semplicemente il colpo di coda dell’industria tabagica per alimentare il fatturato sul tabacco.

La demonizzazione di questo strumento è più forte degli studi internazionali indipendenti che dimostrano quanto in realtà ci sia di sbagliato nella precedente affermazione: standard metodologici implementati e studi sul lungo periodo confermano infatti che il vaping è molto meno dannoso (più del 90%) della sigaretta.

Di fronte alla scelta fumo tradizionale o elettrico, la scelta dovrebbe orientarsi immediatamente verso i dispositivi più sicuri: la strada per uscire dalla pandemia è ancora lunga, ma abbandonare la lotta verso scelte più consapevoli e migliori significa tornare indietro di decenni nella lotta al fumo. 

In Inghilterra i fumatori costano 17 miliardi di sterline

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Scary Death Makes Cloud Of Smoke. The Concept "Smoking Kills".

Il fumo costa alla società 17 miliardi di sterline all’anno, quasi 5 miliardi di sterline in più di quanto precedentemente stimato. Ad affermarlo e sostenerlo è oggi è il gruppo inglese Action on Smoking and Health che ha calcolato i costi dell’assistenza sanitaria causati dall’abitudine al fumo.

L’Inghilterra ogni anno spende 17,04 miliardi di sterline rispetto ai 12,5 miliardi di sterline degli anni precedenti.

L’enorme aumento proviene da una rivalutazione dell’impatto del fumo sulla produttività.

Gli esperti di Action on Smoking and Health (ASH) hanno affermato che: “I fumatori hanno più probabilità dei non fumatori di ammalarsi in età lavorativa, aumentando così la probabilità di rimanere senza lavoro e riducendo il salario medio dei fumatori, creando un’ulteriore perdita per l’economia”.

Secondo ASH i costi di produttività per l’economia dovuti al fumo hanno raggiunto i 13,2 miliardi di sterline.

ASH ha anche affermato che i costi sanitari ammontano ad altri 2,4 miliardi di sterline, mentre l’assistenza sociale che include il costo dell’assistenza fornita a casa e, per la prima volta, i costi dell’assistenza residenziale, ammonta a 1,19 miliardi di sterline. A questi si aggiungono i costi legati agli incendi causati dal fumo che ammontano a quasi 283 milioni di sterline.

ASH ha inoltre dichiarato che 6,1 milioni di persone fumano in Inghilterra, spendendo un totale di 11,95 miliardi di sterline all’anno, o poco meno di 2.000 sterline ciascuna.

L’amministratore delegato di Action on Smoking and Health, Deborah Arnott, ha detto: “Il fumo è un drenaggio per la società”.“È un costo per gli individui in termini di salute e ricchezza, ed è un costo per tutti noi perché mina la produttività della nostra economia e pone oneri aggiuntivi sul nostro servizio sanitario nazionale e sui servizi di assistenza”.

MASTER Universitario su SMOKING CESSATION e Harm Reduction: scadenza 14 Febbraio

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L’Università degli Studi di Catania e il CoEHAR hanno aperto le iscrizioni per il Master universitario di primo livello dedicato allo studio e approfondimento delle più efficaci tecniche di trattamento del tabagismo. Il termine per la presentazione delle domande scade il 14 Febbraio 2022. 

Visita il sito: https://www.unict.it/it/didattica/master-universitari/2021-2022/smoking-cessation-e-harm-reduction 

Le nuove frontiere nel trattamento e nella prevenzione del tabagismo, in Italia e nel Mondo, rendono necessario creare e formare professionisti del settore sanitario che sappiano valutare e comprendere il grave problema medico e sociale rappresentato dal fumo. Un settore in grande fermento con ottimi sbocchi professionali e scientifici. 

Approcciarsi a un fumatore che intende smettere richiede conoscenze e competenze a 360°. Entrano infatti in scena principi medici come il decorso patologico delle malattie fumo correlate, l’assistenza psicologica e psicoterapica, gli approcci farmacologici e terapeutici, oltre alle innovazioni del mondo della ricerca e della tecnologia.

Per questi motivi, l’Università di Catania e il CoEHAR, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dello stesso ateneo, hanno la selezione per il Master universitario di primo livello in “Smoking Cessation e Harm reduction”, il primo al mondo nel suo genere

Il professionista formato in questo settore avrà la possibilità di accedere a svariati contesti lavorativi: centri medici e riabilitativi, cliniche, scuole, ospedali, centri di ricerca, ovvero tutti i settori che sempre più frequentemente necessitano di figure specializzate che impostino un percorso specifico nel trattamento di questa abitudine, con i relativi benefici che smettere comporta in termini di salute.

Il CoEHAR rappresenta un’eccellenza internazionale nel settore, grazie all’implementazione di approcci metodologici innovativi per contrastare la piaga del tabagismo. Grazie a un team di ricercatori multidisciplinare, alla collaborazione con partner internazionali e l’avvio di numerosi progetti di ricerca, agli studenti verrà data la possibilità di essere parte di un network globale e altamente specializzato.

A livello internazionale vi è una sempre maggior richiesta di figure competenti che possano affrontare i problemi correlati al tabagismo – dice il prof. Riccardo Polosa, fondatore del COEHAR e coordinatore del master – Assistere e aiutare i fumatori a smettere significa saper valutare attentamente tutte le componenti che influiscono sulla dipendenza tabagica e le conseguenze che questa abitudine comporta. Abbiamo bisogno di professionisti formati e competenti”

Il master avrà una durata complessiva di 12 mesi per 30 posti disponibili e prevede un percorso di stage di 300 ore presso diverse strutture. Oltre al CoEHAR, infatti, sarà possibile svolgere periodi di formazione pratica presso: il Centro per la Prevenzione e Cura del Tabagismo dell’AOU Policlinico “G. Rodolico-S. Marco”; la struttura di riabilitazione psichiatrica CTA Villa Chiara; l’associazione no-profit Lega Italiana Anti Fumo; ed ECLAT srl, lo spin off dell’Ateneo dedicato alla ricerca e sviluppo nel settore della riduzione del danno da fumo.

 

Non ci sono più dubbi: le sigarette elettroniche sono meno tossiche delle convenzionali 

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5 laboratori diversi in tutto il mondo confermano lo stesso dato: una bassa/nessuna citotossicità in cellule esposte ad aerosol di sigarette elettroniche o prodotti a base di tabacco riscaldato.

“Un successo storico – dice il prof. Riccardo Polosa – ottenuto grazie al lavoro svolto dai ricercatori del CoEHAR e tutti i partner stranieri coinvolti nel progetto REPLICA”.

Link: https://www.nature.com/articles/s41598-021-03310-y

Tra migliaia di studi con risultati diversi come trovare la verità? Come quantificare la tossicità relativa delle sigarette elettroniche? Una domanda che ha influenzato i dibattiti delle politiche di Harm Reduction in tutto il mondo e che ha spinto il team del CoEHAR dell’Università di Catania ad intraprendere una delle valutazioni più innovative e complicate al mondo: la ripetizione controllata e validata degli studi condotti in questo campo basata su standard specifici e di alta qualità

Il progetto Replica, uno dei progetti di ricerca del CoEHAR, fondato dal prof. Riccardo Polosa e diretto oggi dal prof. Giovanni Li Volti, ha confermato in questi due anni i risultati ottenuti dai maggiori studi internazionali, validandoli con tecniche innovative e testandoli in diversi laboratori internazionali, in condizioni indipendenti. 

Lo studio “Electronic nicotine delivery systems exhibit reduced bronchial epithelial cells toxicity compared to cigarette: the Replica Project” – appena pubblicato su una rivista del gruppo Nature – stabilisce un primato internazionale nel percorso di valutazione della relativa tossicità delle cellule epiteliali bronchiali umane, esposte sia al fumo di sigaretta sia all’aerosol dei dispositivi elettronici a rilascio di nicotina.

Dopo aver garantito il maggior grado di standardizzazione ottenibile, il progetto Replica ha confermato la ridotta tossicità dei dispositivi elettronici a rilascio di nicotina rispetto alle sigarette convenzionali.

“I dati in nostro possesso validano molti degli studi internazionali del settore – spiega il Prof. Giovanni Li Volti, direttore del CoEHAR e project leader del progetto Replica – siamo adesso in grado di fornire dati chiari e omogenei per contribuire a diffondere una corretta informazione nel campo della riduzione del danno. Possiamo aprire la nuova strada verso per percorsi efficaci e sicuri di cessazione”. 

Lo studio

I ricercatori del team internazionale del progetto Replica (che, ricordiamo, comprende i laboratori dell’Università di Catania, del CoEHAR, della Grecia, dell’Oman, degli USA e della Serbia), hanno voluto replicare tre dei maggiori studi internazionali, testandoli in maniera indipendente. Tutti i protocolli di esposizione sono conformi agli standard internazionali (ISO, CORESTA e HCI) e le condizioni sperimentali utilizzate in vitro sono compatibili con quelle del fumatore.

Il primo passo è stato quello di studiare la differente tossicità del fumo delle sigarette convenzionali e della sola componente volatile, privata della nicotina. In questo step è stato dimostrato che la tossicità acuta è prevalentemente indotta (circa l’80%) dalle componenti volatili contenute nel fumo di sigaretta piuttosto che dalla nicotina stessa. Dopo, i ricercatori hanno esposto le differenti culture cellulari alle medesime quantità di nicotina proveniente dai diversi prodotti (sigaretta classica e sigaretta elettronica), dimostrando l’assenza di tossicità connessa all’aerosol delle sigarette elettroniche rispetto alla sigaretta classica.

Inoltre, rispetto agli studi originali, i ricercatori hanno condotto un ulteriore paragone tra gli effetti dell’aerosol dalle sigarette elettroniche e dei prodotti a tabacco riscaldato. Risultato: nessun effetto citotossico sulle cellule bronchiali da entrambe le tipologie di prodotti.

“Un passo fondamentale per la ricerca nel settore delle sigarette elettroniche – ha spiegato il prof. Massimo Caruso, ricercatore del CoEHAR impegnato nel progetto Replica – Abbiamo acquisito e condiviso standard di ricerca che potranno essere replicati in futuro per evitare la proliferazione di studi scientifici in questo campo con metodologie sbagliate ed inefficaci”. 

Disinformazione e Infotainment: una combinazione letale per la Riduzione del Danno

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I social media sono ormai diventati i principali canali di informazione. Tuttavia, a differenza delle fonti “tradizionali” non vi è un controllo a priori sulla veridicità della fonte.

La disinformazione ha un impatto sulle risposte inadeguate dei governi e delle istituzioni sanitarie pubbliche a tutti i livelli. La conseguenza principale è una ignoranza generalizzata della popolazione su temi fondamentali per la salute. La pubblica opinione continua infatti ad essere vittima di una massiccia diffusione di notizie false e informazioni fuorvianti, mentre nel cyberspazio si perdono informazioni scientifiche affidabili.

Come chiaramente accade con la pandemia di SARS-COV-2, l’errata interpretazione dei dati scientifici sta spingendo milioni di persone verso decisioni irrazionali.

Spesso la disinformazione viene propagata inconsapevolmente da persone che non sono consapevoli di farlo. Molto più spesso, la disinformazione è la diffusione coordinata di informazioni ingannevoli da parte di attori con specifici obiettivi nel portare avanti tale strategia.

Secondo una recente ricerca dell’Università di Harvard, “Establishing the Truth: Vaccines, Social Media, and the Spread of Misinformation” tra l’80% delle persone che cercano informazioni sanitarie online, un’alta percentuale non può distinguere tra disinformazione e prove scientifiche valide quando leggono una notizia.

“Abbiamo sempre avuto scrittori e giornalisti come guardiani critici in grado di filtrare alcune di queste informazioni. Ma ora, a causa dei social media, non abbiamo più questo intermediario professionista,” ha affermato Vish Viswanath, autore della ricerca e direttore del programma Applied Risk Communication for the 21st Century presso l’Harvard T.H. Chan School of Public Health.

I social media sono ormai diventati i principali canali di informazione per i temi riguardanti la salute pubblica. Tuttavia, a differenza delle fonti “tradizionali” non vi è un controllo a priori sulla veridicità delle fonti. Questo perchè in meno di un decennio i media tradizionali hanno perso l’autorità che avevano storicamente nel selezionare e rilanciare le notizie di interesse pubblico.

Come ha sottolineato la microbiologa olandese Elisabeth Bik in un’intervista per il The Guardian: “il pericolo con i social media è che anche un documento mediocre o perfino falso può essere rilanciato da persone che hanno specifici obiettivi nel celebrarlo come la nuova verità.”

La predominanza di studi mediocri e palesemente basati su errori è una situazione che si ripropone da anni nel campo della riduzione del danno da fumo. Le prove scientifiche su prodotti alternativi meno dannosi sono state ferocemente contestate dai conservatori all’interno delle istituzioni sanitarie nazionali e negli organismi di regolamentazione internazionali, vanificando qualsiasi tentativo di abbracciare nuovi prodotti a base di nicotina, in particolare le sigarette elettroniche, come strumento per smettere di fumare.

Il numero di persone che usano il tabacco non è diminuito per quasi un decennio, causando ogni anno otto milioni di morti in tutto il mondo. Eppure, nonostante la mancanza di progressi, gli organismi ufficiali e i messaggi sui canali dei social media continuano a respingere la riduzione del danno da fumo con ricerche scientifiche inadeguate.

“Le ricerche con metodologia povera e non replicabili ma più accattivanti in termini di contenuti sono condivise maggiormente dai media ufficiali e dai canali social”, afferma Uri Gneezy, professore di economia comportamentale e co-autore della ricerca pubblicata nell’articolo “Nonreplicable publications are cited more than replicable ones.”

Milioni di fumatori potrebbero incrementare la propria salute personale se avessero informazioni sul potenziale dello svapo e di altri prodotti a base di nicotina non combustibili come prodotti alternativi alla sigaretta convenzionale. Per la riduzione del danno, l’impatto di studi di ricerca scadenti o imperfetti pubblicati su riviste scientifiche influisce anche sulla validità delle linee guida sulla salute fornite ai consumatori di sigarette.

Negli ultimi anni sono stati versati decine di milioni di dollari verso enti sanitari nazionali e istituzioni pubbliche da fondazioni private al fine di stoppare qualsiasi politica tesa ad implementare la riduzione del danno da fumo. Una situazione che ha permesso ad interessi privati di prevalere al diritto ad una scelta informata per milioni di persone che fumano, comprese quelle nei paesi a basso e medio reddito.

“Il pubblico ha diritto a informazioni accurate per prendere decisioni individuali che potrebbero salvargli la vita”, ha sottolineato il Prof. Riccardo Polosa, fondatore del Center of Excellence for the Acceleration of Harm Reduction (CoEHAR) e rinomato scienziato internazionale.

“È tempo di ripensare l’intero approccio all’informazione scientifica per creare finalmente un canale diretto tra la scienza e il pubblico così da evitare distorsioni che potenzialmente mietono milioni di vite,” ha aggiunto il professor Polosa.

Fintanto che le informazioni sui prodotti alternativi alla somministrazione di nicotina continueranno a seguire programmi basati su pregiudizi e interessi politici invece che sulla scienza e sulla ricerca scientifica, questo tragico stato di cose continuerà, negando i benefici che potrebbero essere raggiunti con nuovi e ragionevoli approcci per arginare l’epidemia di tabacco, in particolare nelle nazioni in cui la Riduzione da Danno è più necessaria.

Appello Beaglehole all’OMS: il successo sarebbe un mondo senza fumo

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La Convenzione quadro per il controllo del tabacco (Fctc) dell’Organizzazione mondiale della sanità”– entrata in vigore da più di un decennio – “non ha mantenuto le sue promesse. L’ingrediente mancante nella strategia dell’Oms è la riduzione del danno”.

Così Robert Beaglehole, medico esperto di sanità pubblica e per anni a capo del Dipartimento malattie croniche dell’OMS, descrive l’efficacia delle linee d’azione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del FCTC. Con un ulteriore commento:“il vero successo da perte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è quello di ottenere un mondo senza fumo da tabacco, non un mondo senza nicotina.”

Nella stoccata contro l’organizzazione internazionale l’ex dirigente sottolinea come la priorità sia quella di ridurre i morti e le malattie causate dal fumo di sigaretta convenzionale e dalle sostanze tossiche prodotte dalla combustione.

“Siamo di fronte ad una piaga sociale ed economica- quella del fumo di sigaretta – che miete otto milioni di morti l’anno ed ha innumerevoli conseguenze per la salute pubblica. L’OMS dovrebbe essere in prima linea nel creare politiche efficaci di contrasto” ha affermato l’ex dirigente.

Le ragioni per cui la Fctc non è riuscita a mantenere le sue promesse, secondo Beaglehole, sono tre:

  • Il problema del’astinenza da nicotina;
  • Il fallimento dell’Oms nell’adozione di prodotti alternativi meno dannosi rispetto alla sigaretta convenzionale;
  • Il concentrare le politiche anti-fumo nel contrasto del fumo tra gli adolescenti a discapito degli adulti che intendono smettere.

Secondo l’esperto, l’Oms avrebbe dunque perso di vista il percorso e gli obiettivi fissati per contrastare l’insorgenza delle malattie croniche fumo-correlate, mentre urge rafforzare il pacchetto di interventi a livello internazionale al fine di poter invertire la tendenza.

“La Svezia – osserva Beaglehole – ha dimostrato l’efficacia di quelle che possono essere delle alternative meno dannose come lo ‘snus’ (tabacco per uso orale, ndr) e di come stia velocemente rimpiazzando il fumo di sigaretta”.

Un altro esempio è “il Giappone, dove i dispositivi smoke-free hanno ridotto la vendita di sigarette del 30%”.

La lezione appresa con la pandemia da Covid-19 avrebbe dovuto suggerire una risposta globale e coordinata con prove forti e indipendenti, per far emergere una politica basata sulla scienza e che non lasci indietro nessuno.

Sono diversi i Paesi ad alto reddito che hanno, e continuano ad ottenere, progressi consistenti appoggiando e sostenendo la Riduzione del Danno. Molti altri stanno facendo piani ambiziosi per accelerare tali progressi.

In altri stati, per esempio, molti giovani non approcciano più il fumo di sigaretta e questo è un traguardo notevole.

Comprendere la natura e l’impatto di questi prodotti sarà importante per formulare raccomandazioni basate su prove valide ed efficaci.

Altrettanto di valore sarà mantenere un dialogo con esperti, epidemiologi, e soprattutto con i fumatori e le persone che utilizzano i prodotti a rischio ridotto.

Nonostante il Regno Unito abbia adottato le sigarette elettroniche come strumento per frenare l’incidenza del fumo tra i propri cittadini, è allarmante notare come l’OMS continui a commissionare ricerche di scarsa qualità e perpetui campagne di disinformazione contro Londra. In futuro, vedremo se altri paesi seguiranno l’esempio del Regno Unito su prodotti alternativi più sicuri costringendo l’OMS ad ammettere i propri errori” ha commentato il Prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR.

Leggi anche: COP9/Riccardo Polosa: “La mancanza di interesse dell’OMS per lo sviluppo globale dei prodotti a rischio ridotto mi preoccupa molto”.

La geografia dell’harm reduction: snus e tabacco da mastico sono ampiamente diffusi a livello mondiale, ma la letteratura è incompleta e potenzialmente disinformante

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Una nuova review ha dimostrato come la maggior parte degli studi sui prodotti privi di combustione si focalizzi principalmente sugli esiti avversi in termini di salute, variando a seconda della regione in cui è stato condotto lo studio e ignorando i possibili benefici di uno switch dalle sigarette a questi prodotti.

Catania, 6 dicembre 2021– Snus, tabacco da masticare, snuff: il consumo di prodotti da tabacco diversi dalle sigarette e dai dispositivi elettronici contenenti nicotina è molto diffuso a livello mondiale e, in alcune forme, rappresenta un’alternativa più sicura al fumo di sigaretta.

Purtroppo, le informazioni sulla relativa sicurezza di questa categoria di prodotti si basa su studi di scarsa qualità.

Un pool di ricercatori internazionali ha voluto quindi monitorare le prove in materia attraverso una review sistematica degli studi condotti sui prodotti del tabacco senza fumo tra il gennaio 2015 e il febbraio 2020.

Lo studio, intitolato The health impact of smokeless tobacco products: a systematic review”, e pubblicato sul prestigioso Harm Reduction Journal, ha valutato i risultati di 53 studi, dividendoli sulla base della forza dei dati ottenuti, della qualità, delle tipologie di strumento monitorato e delle aree geografiche in cui sono stati condotti.

Dall’analisi, è emerso che la qualità generale degli studi è risultata essere bassa (43%), soprattutto tra quelli compiuti nell’area di Asia, Medi Oriente e Africa.

Tutti gli studi rilevano incredibili discrepanze nella sicurezza per la salute dei differenti prodotti del tabacco senza fumo e tra le differenti aree geografiche. Dai zero rischi rilevati per l’uso di snuss negli studi svedesi fino a rischi elevati di mortalità, cancro e patologie respiratorie per l’area mediorientale, africana e asiatica, con un livello di rischio intermedio per i prodotti negli Stati Uniti.

Quello che però colpisce maggiormente, è che nessuno studio riporta un’associazione positiva tra l’uso di questi prodotti e il possibile abbandono della sigaretta convenzionale.

“I risultati di questo nostro studio sono perfettamente in linea con la geografia politica delle principali normative in materia di riduzione del rischio” spiega il prof Polosa, fondatore del CoEHAR e uno degli autori della review “Paesi come la Svezia e la Norvegia, tradizionalmente aperti alle politiche di riduzione del rischio attraverso la commercializzazione di prodotti combustion-free contenenti nicotina, riconoscono ai fumatori il diritto ad alternative a basso rischio e registrano oggi una prevalenza del tabagismo tra le più basse in tutta Europa.”

“L’ampia disponibilità di sistemi a rilascio di nicotina più sicuri senza la percentuale di danno apportata dal tabacco combusto, come è stato dimostrato per lo snus svedese e alcune altre forme di prodotti del tabacco senza fumo, rappresenta una strada da percorrere per porre fine al fumo di sigaretta in un futuro non troppo lontano, come stiamo già assistendo in Svezia e Norvegia. È necessario fare una chiara distinzione tra lo snus, più sicuro, e i prodotti del tabacco raffinati senza fumo utilizzati in Svezia, Norvegia e sempre più negli Stati Uniti, e i prodotti del tabacco senza fumo non raffinati molto più rischiosi utilizzati in Asia, Medio Oriente e Africa” ha aggiunto Cother Hajat, dell’Università degli Emirati Arabi Uniti.

LA REVIEW

I prodotti come snus e tabacco da mastico rappresentano una grossa fetta delle abitudini di molti paesi: in Svezia l’uso di snus si attesta al 20%, mentre in India la popolazione rappresenta  i 2/3 di tutto il consumo globale, con tassi di prevalenza maggiore tra gli uomini (30%) rispetto alle donne (13%).

Sono state identificate 4 principali aree geografiche: di questi 53 studi, infatti, 6 erano globali, 32 sono stati condotti nella zona compresa tra Asia, Medioriente e Africa, 9 negli Stati Uniti e 6 in Europa.

Sorprendentemente, gli esiti in termini di salute sono diversi sia a seconda della tipologia di prodotti usati sia a seconda dell’area in cui sono stai condotti.

Le ricerche svolte nel Sud Est Asiatico ed in Africa hanno riscontrato tassi di mortalità elevati e di maggiori morbidità, come cancro del cavo orale, tumore al collo e alla testa, con rapporti di probabilità fino a 3.87.

Al contrario, gli studi europei non hanno ricontato un eccesso di mortalità o di morbidità (cardiopatia ischemica, ictus, tumori del cavo orale, del pancreas o del colon).

Gli studi statunitensi hanno mostrato risultati contrastanti per la mortalità (aumento complessivo, cancro e mortalità per cancro correlato al fumo, nessun rischio elevato di moralità per deficit respiratori).

Non sono stati riportati prove di studi effettuati sul passaggio da sigarette a questi prodotti.

Una considerazione a parte deve essere effettuata per quanto riguarda lo snus: comparando la situazione europea a quella svedese, emerge come l’uso di snus e possa aver contribuito al numero più basso di morti attribuibili al fumo in Svezia.

L’uso dello snus da parte dei fumatori è associato a una diminuizione del fumo di sigarette e un aumento dell’astinenza. Alcuni studi hanno teorizzato un effetto “gateway inverso” in Svezia: infatti negli studi svedesi si è dimostrato come tra i fumatori che hanno approcciato lo snus in maniera duale, il 10.6% ha iniziato a fumare occasionalmente, mentre  il 76.3% ha smesso completamente.

Questo studio conferma l’importanza di tali prodotti nei percorsi di cessazione e come strumento per le politiche di harm reduction, ma sono necessari ulteriori studi per valutare il loro uso in termini di danni e benefici per la società, come ad esempio il discorso dipendenza, e valutare eventuali danni specifici del prodotto rispetto allo scenario alternativo in cui questi prodotti non sono disponibili.

A Dubai, Polosa unico esperto mondiale su Harm Reduction

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Si è tenuta nei giorni scorsi a Dubai la seconda conferenza internazionale sull’otorinolaringoiatria. Tra gli scienziati presenti, il prof. Riccardo Polosa (fondatore del CoEHAR) è intervenuto per la prima volta come l’unico esperto al mondo nel campo dell’Harm Reduction.

Con un intervento dal titolo: “Impact of e-cigarettes and heatedtobaccoproducts on saccharin test: Evidence for harmreversal“, lo scienziato catanese ha ricordato che i danni provocati dal fumo, anche al sistema otorino, non sono dovuti all’assunzione di nicotina ma alla combustione.

Semplici osservazioni cliniche sui fumatori hanno dimostrato che smettere di fumare provoca benefici quasi immediati sulla salute: ad esempio il recupero del gusto ed un miglioramento evidente nella qualità dell’olfatto.

A Dubai, Polosa ha presentato i risultati di uno degli ultimi studi condotto dai ricercatori del CoEHAR e pubblicato ad Agosto di quest’anno. Impact of exclusive e-cigarettes and heated tobacco products use on muco-ciliary clearance ha comparato i risultati del test sul tempo di transito della saccarina di fumatori esclusivi di sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato, con quelli di fumatori, ex-fumatori e soggetti che non hanno mai fumato.

Il risultato ha tangibilmente dimostrato che il passaggio a strumenti a rischio ridotto (come sigarette elettroniche e tabacco riscaldato) non comporta comporti effetti dannosi sul sistema mucociliare.

L’esposizione cronica al fumo, infatti, è causa anche di un progressivo deterioramento delle ciglia polmonari, uno dei meccanismi di difesa del sistema respiratorio. Il danneggiamento della clearance mucociliare può contribuire a causare stati infiammatori delle piccole via aeree e può incrementare la suscettibilità dei fumatori alle infezioni respiratorie. Passare a prodotti senza combustione, può però ridurre i danni in maniera vertiginosa.

Accolto da una platea di scienziati ottimisti verso le nuove osservazioni sulla riduzione del danno da fumo, Polosa ha ricordato che la scienza deve seguire il suo percorso ma implementare la ricerca in questo settore specifico potrebbe davvero salvare milioni di vite in tutto il mondo.

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La Nuova Zelanda stabilisce un record storico per la Riduzione del Danno da Fumo

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Può un’isola di soli cinque milioni di abitanti, con un’incidenza già estremamente bassa di fumatori tra la popolazione, fornire un esempio da seguire al resto del mondo nel frenare l’epidemia di tabacco? Guardando i risultati e i dati forniti dalle autorità sanitarie della Nuova Zelanda, la risposta è affermativa.


Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rinviato qualsiasi discussione sulle sigarette elettroniche, grazie alla Nuova Zelanda, il 2022 potrebbe diventare un anno fondamentale per l’implementazione delle politiche di riduzione del danno da fumo a livello globale.


Nella seconda meta degli anni 2000 l’introduzione nel mercato delle sigarette elettroniche suscitava rabbia e preoccupazione tra gli addetti ai lavori per il potenziale rischio di una inversione dei progressi nelle politiche internazionali di controllo del tabacco.

Come principale conseguenza, per anni le autorità sanitarie hanno pubblicamente dichiarato come qualsiasi l’allentamento delle norme su questi prodotti avrebbe provocato un aumento del numero di fumatori tra i giovani adulti contestando, nello stesso tempo, la veridicità del numero crescente di studi scientifici a sostegno della minore tossicità delle sigarette elettroniche.


Due decenni dopo, lo svapo sembra essere associato ad un forte calo del consumo di sigarette nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Canada. Come sottolineato dagli esperti, l’uso di sigarette elettroniche tra la popolazione potrebbe aver contribuito a un calo piuttosto che a un aumento del tasso di fumatori. Il panico causato dalle previsioni secondo cui le sigarette elettroniche aumentano il consumo di sigarette combustibili si è rivelato basarsi sul nulla.


Tuttavia, mentre il Canada e gli Stati Uniti continuano a ignorare queste prove scientifiche e continuano nel loro approccio proibizionista “a priori”, un altro paese ha preso l’iniziativa nel tradurre la teoria in pratica.

Infatti, in linea con la recente decisione del governo del Regno Unito di consentire la sigaretta elettronica come prescrizione per smettere di fumare, la Nuova Zelanda ha stabilito un approccio innovativo che autorizza le sigarette elettroniche come strumento di cessazione approvato dal governo.

L’Atto di modifica degli ambienti senza fumo e dei prodotti regolamentati (Vaping) 2020 è una delle normative più complete sullo svapo e sui prodotti correlati in tutto il mondo. Il suo obiettivo è proteggere i giovani dal fumo fornendo un’alternativa meno dannosa ai fumatori che vogliono smettere.

Rispondendo all’appello del pubblico e dei ricercatori per una politica nazionale anti-tabacco più sostenibile, il Ministero della Salute della Nuova Zelanda ha recentemente istituito un gruppo consultivo di esperti tecnici sulla sicurezza dei prodotti delle sigarette elettroniche per fornire al governo tutte le prove scientifiche disponibili su standard di sicurezza dei prodotti da svapo. Nella prima decisione del genere, il gruppo consultivo ha incluso anche rappresentanti dell’industria del vaping neozelandese.

Le prove fornite dal Comitato hanno convinto il governo ad adottare le sigarette elettroniche per promuovere l’obiettivo di una Nuova Zelanda senza fumo entro il 2025.


Negli ultimi due anni, la Nuova Zelanda è diventata un esempio convincente dell’efficacia dei dispositivi antifumo nel ridurre al minimo il numero di fumatori di sigarette convenzionali attraverso l’utilizzo di ecigs come strumento di cessazione.

Fumatori giornalieri di sigarette elettroniche vs fumatori giornalieri di sigarette tradizionali

“Quello a cui stiamo assistendo è un risultato sorprendente nonostante tutti gli allarmismi da parte degli organismi di regolamentazione internazionali e dei fondi privati ​​di filantropi. L’obiettivo di porre fine all’uso di tabacco tra i giovani non è un risultato impossibile. I dati in Nuova Zelanda (ma anche nel Regno Unito, negli Stati Uniti e Canada) dimostrano che questo obiettivo è raggiungibile e in breve tempo”, ha affermato il Prof. Riccardo Polosa.

“Le preoccupazioni che le sigarette elettroniche possano fungere da ‘porta d’accesso’ alle sigarette convenzionali non si sono concretizzate, nemmeno quando la prevalenza del fumo di base è molto bassa come in Nuova Zelanda”, ha aggiunto il prof. Polosa.

L’esperienza della Nuova Zelanda, con il suo basso tasso di fumatori, presenta una chiara indicazione che un mix di strumenti alternativi meno dannosi alle sigarette convenzionali, insieme a campagne di sensibilizzazione sul rischio del fumo, potrebbe raggiungere l’obiettivo di arginare l’epidemia di tabacco. Un approccio che potrebbe essere esportato in tutto il mondo.


I governi di molti paesi considerano sempre più la Riduzione del Danno come uno strumento efficace per limitare il tasso di fumo domestico e ridurre al minimo l’onere delle malattie legate al fumo sui sistemi sanitari nazionali. Ed è per questo che l’approccio vincente della Nuova Zelanda rappresenta l’accettazione senza pregiudizi dei potenziali benefici per la salute derivanti dallo svapo e apre un nuovo percorso per il progresso della riduzione del danno da tabacco in altre nazioni.