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Aumenta il consumo di Ecig

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ecig medici salute umana

Nel 2021 il 2,8% delle persone di 14 anni e più (circa 1 milione e mezzo) ha dichiarato di utilizzare la sigaretta elettronica (il 3,4% dei maschi e il 2,3% delle femmine), mentre il 2,1% ha preferito i prodotti a tabacco riscaldato non bruciato (HnB), come mini-sigarette o capsule riscaldate da appositi dispositivi a temperature più basse di quelle raggiunte nelle sigarette convenzionali. 
I ragazzi sono i maggiori fruitori della sigaretta elettronica: tra i 18 e i 34 anni, la quota di utilizzatori è del 5,2% (circa il 6% dei maschi e il 4,5% delle femmine), mentre il 4,6% fa uso di prodotti a tabacco riscaldato non bruciato. Sono alcuni dei dati che emergono dall’indagine multiscopo ‘Aspetti della vita quotidiana’ realizzata dall’Istat, che dal 2014 ha iniziato a rilevare l’uso della sigaretta elettronica e, dal 2021, quello dei prodotti a tabacco riscaldato.

Il consumo di prodotti come la sigaretta elettronica e di quelli a tabacco riscaldato non bruciato (HnB) è un fenomeno emergente degli ultimi anni, coinvolge una porzione limitata della popolazione, soprattutto quella giovanile, ma sta dunque lentamente crescendo nel tempo.

Se nel 2014 erano circa 800mila le persone di 14 anni e più che facevano uso della sigaretta elettronica, nel tempo si è assistito a un aumento, specialmente a partire dal 2017, fino ad arrivare nel 2021 a quasi un milione e mezzo di persone. L’aumento nel tempo ha riguardato sia gli uomini che le donne, con livelli tra gli utilizzatori di entrambi i sessi che nell’arco di quasi 10 anni si sono più che raddoppiati. 

In questa edizione dell’indagine, l’Istituto nazionale di statistica ha messo sotto la lente di ingrandimento un campione di circa 25mila famiglie distribuite in circa 800 comuni italiani: hanno risposto 19.829 famiglie e oltre 45mila persone.

Dallo studio è emerso un uso a volte combinato dei prodotti: un consumatore su quattro, infatti, usa sia la sigaretta elettronica, sia i prodotti a tabacco riscaldato non bruciato. Inoltre, tre utilizzatori su quattro di sigaretta elettronica e/o prodotti a tabacco riscaldato non bruciato sono anche fumatori.

La rilevazione ha poi messo in luce come la sigaretta elettronica sia utilizzata soprattutto tra i maschi di età compresa tra i 25 e i 34 anni (6,2%) e come l’uso della sigaretta elettronica decresca progressivamente al crescere dell’età, quasi scomparendo tra la popolazione di 65 anni e più.

Polosa apre il 2023 con un altro primato

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Il consorzio CoEHAR inizia il 2023 con un primato. Il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, anche per l’anno appena trascorso è stato indicato come uno degli scienziati più produttivi al mondo nel campo della ricerca applicata agli strumenti antifumo.

Polosa è il docente con più pubblicazioni scientifiche dell’ateneo di Catania e risulta nella top ten di tutti gli atenei del Sud Italia come autorità più produttiva nel suo ambito scientifico. A ribadirlo, anche nel 2022, la classifica ufficiale di Plos Biology.

Updated science-wide author databases of standardized citation indicators” è l’articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Plos Biology che ogni anno rende pubblici i dati relativi all’impatto delle pubblicazioni scientifiche di 100.000 ricercatori nel mondo, in termini di rapporto tra citazioni, ricerche e impatto sulla carriera.

Secondo questo studio, il prof. Polosa anche per il 2022 è tra gli scienziati più citati al mondo. I nomi indicati nella lista vengono rigorosamente classificati in 22 campi scientifici e 126 sottocampi. Una ricerca attenta e minuziosa che ormai da anni vede il primato dello scienziato catanese ancora presente nella Top List internazionale.

Un primato, peraltro, che si associa ad un altro incredibile risultato scientifico del team del CoEHAR di Catania che chiude il 2022 con un numero da record: il gruppo di scienziati affiliati al Centro di ricerca etneo è infatti riuscito a realizzare, in soli 4 anni, ben 128 pubblicazioni scientifiche su riviste prestigiose e tutte dedicate al tema dell’Harm Reduction.

Un autorevole riconoscimento che mi accompagna ormai da anni grazie soprattutto al grande lavoro svolto dai numerosi ricercatori dell’ateneo di Catania che collaborano ogni giorno con colleghi provenienti da ogni parte del globo. Abbiamo inaugurato una linea di ricerca scientifica che ha già ottenuto risultati epocali aiutando milioni di persone a cambiare approccio e stile di vita. Non abbiamo intenzione di fermarci. La riduzione del danno è un principio che va applicato ad ogni ambito di ricerca e può rappresentare la vera svolta rivoluzionaria per la cura di numerose malattie e per la diffusione di nuovi standard di ricerca scientifica” – così Riccardo Polosa ha commentato la notizia.

ANAFE: bene stabilizzazione tasse su Ecig

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consultazione europea fumo ecig

Roma, 29 dicembre 2022. La Legge di bilancio 2023, da poco approvata in via definitiva dal Senato, ha finalmente previsto la stabilizzazione della tassazione sulle sigarette elettroniche, prevedendo che a decorrere dal 1° gennaio 2023 l’imposta di consumo sui liquidi da inalazione sia la stessa applicata nel 2022. Un intervento necessario non solo per garantire un gettito erariale fisso da parte del settore ma, soprattutto, per evitare il concreto rischio di ulteriore depauperazione di un asset importante del Made in Italy che, altrimenti, avrebbe subito la quinta modifica normativa in sei anni. Questa la posizione di ANAFE, l’Associazione Italiana Produttori Fumo Elettronico aderente a Confindustria.

“Esprimiamo soddisfazione per la stabilizzazione delle tasse e per questo ringraziamo per l’impegno politico mantenuto, in particolare, il Vice Premier Matteo Salvini, il Vice Ministro al MEF Maurizio Leo e il Sottosegretario di Stato Federico Freni. Il settore del fumo elettronico è stato l’unico a subire un crescente ed esponenziale aumento di tassazione in piena crisi pandemica: in particolare per i liquidi da inalazione sono stati previsti aumenti fino al +150% per quelli con nicotina e +300% per i senza nicotina. Finalmente da oggi il settore può tornare a pianificare investimenti e ad assicurare a tutti gli occupati della filiera (15.000 lavoratori diretti e circa 35.000 indiretti) continuità nella produzione e nelle attività di ricerca e sviluppo. Ma soprattutto, da oggi l’industria del fumo elettronico può concentrarsi maggiormente sul principale problema del mercato, ovvero il contrabbando di prodotti contraffatti, che non rispettano i requisiti di legge e sono potenzialmente rischiosi per la salute”. Così Umberto Roccatti, Presidente di ANAFE Confindustria, che ha poi aggiunto: “Accogliamo, inoltre, positivamente l’indirizzo del nuovo Esecutivo che, in discontinuità rispetto al passato, ha deciso di interrompere una politica fiscale esclusivamente svantaggiosa e punitiva nei confronti dei prodotti innovativi a rischio ridotto. E dunque nei confronti di circa 2 milioni di individui tra persone che usano la sigaretta elettronica per provare a smettere di fumare e coloro che, non riuscendo a smettere, scelgono un prodotto meno dannoso per la salute. Con la rideterminazione dell’accisa sui tabacchi lavorati, infatti – per la prima volta dopo molti anni – il nostro Paese ha scelto di non incentivare più a livello fiscale il consumo di prodotti certamente nocivi come le sigarette tradizionali. Si tratta di una scelta di buon senso a tutela di tutti i consumatori e che, tra le altre cose, risulta in linea con quanto già previsto in altri Paesi europei”.

Tumori in aumento, 44 mila quelli al polmone

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unshaven man holding a cigarette with scissors, close up

Il Ministero della Salute presenta i nuovi dati sui tumori in Italia. Ed è subito allarme “stili di vita”. Al Ministero della Salute presentato il volume sui numeri delle neoplasie, frutto della collaborazione tra AIOM, AIRTUM, Fondazione AIOM, ONS, PASSI, PASSI d’Argento e SIAPeC-IAP.

Questi i numeri: nel 2022 in Italia sono stati stimati 390.700 (205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne) nuovi casi di tumore, +14.100 in soli due anni. I cinque carcinomi più frequenti sono quelli della mammella (55.700), colon-retto (48.100), polmone (43.900), prostata (40.500) e vescica (29.200). Serve più impegno per sensibilizzare i cittadini: il 33% è in sovrappeso, il 24% fuma e i sedentari sono passati dal 23% nel 2008 al 31% nel 2021. Pesano i ritardi nell’assistenza accumulati durante la pandemia, ma si registra una ripresa dei programmi di prevenzione secondaria e degli interventi chirurgici in stadio iniziale.

I sistemi PASSI e PASSI d’Argento consentono di stimare la prevalenza di fumo, consumo di alcol, sedentarietà, eccesso ponderale o abitudini alimentari (come consumo di frutta e verdura) nella popolazione di 18-69 anni e nella popolazione ultra 65enne residente in Italia.

Abitudine tabagica

Nel 2021, in Italia, il 24% dei 18-69enni fuma e il 16% è un ex-fumatore. Fra i fumatori uno su 4 (22%) consuma più di un pacchetto di sigarette al giorno. L’abitudine tabagica è più frequente fra gli uomini rispetto alle donne, fra i più giovani, fra i residenti nel Centro-Sud ed è anche fortemente associata allo svantaggio sociale essendo più frequente fra le persone con molte difficoltà economiche o meno istruite. Negli ultimi anni la percentuale di fumatori si è comunque ridotta, lentamente ma significativamente, seguendo il trend in discesa che si osserva da almeno trenta anni. Fra il 2008 e il 2021 la quota di fumatori scende di circa 6 punti percentuali, dal 30% al 24%.

“Ancora una volta nessun accenno alle politiche di riduzione del danno – dice il direttore del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania, prof. Giovanni Li Volti – Il fumo di sigaretta convenzionale incide segnatamente su molti dei tumori evidenziati nel report. Utilizzare strumenti efficaci per aiutare i fumatori che non riescono a smettere da soli con strumenti efficaci, come i prodotti privi di combustione, ridurrebbe l’incidenza dei tumori e l’aggravamento della malattie e sarebbe un vantaggio in più anche per le politiche economiche del sistema sanitario italiano”. 

“Non ci illudiamo – spiega il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR – il peso delle morti per cancro e segnatamente per tumori fumo correlati come quelli del polmone e della vescica non si ridurrà negli anni a venire se non si metteranno in campo strategie di politica sanitaria innovative. Le attuali politiche di contrasto al tabagismo non bastano. E’ giunto il momento di un cambio di marcia in linea con le nuove sfide del XXI secolo. La riduzione del danno è un principio riconosciuto dalle più importanti autorità sanitarie internazionali incluse Inghilterra, Nuova Zelanda e Giappone. Una sua capillare adozione salverà milioni di vite nei prossimi anni”. 

Il comunicato stampa del Ministero
TUMORI: NEL 2022 IN ITALIA STIMATI 390.700 NUOVI CASI, +14.100 IN 2 ANNI
POST COVID, PIÙ SCREENING MA È ALLARME PER GLI STILI DI VITA SCORRETTI
Aumentano le diagnosi rispetto al 2020. I cinque carcinomi più frequenti sono quelli della mammella (55.700), colon-retto (48.100), polmone (43.900), prostata (40.500) e vescica (29.200). Serve più impegno per sensibilizzare i cittadini: il 33% è in sovrappeso, il 24% fuma e i sedentari sono passati dal 23% nel 2008 al 31% nel 2021. Pesano i ritardi nell’assistenza accumulati durante la pandemia, ma si registra una ripresa dei programmi di prevenzione secondaria e degli interventi chirurgici in stadio iniziale

Roma, 19 dicembre 2022 – Nel 2022, in Italia, sono stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro (nel 2020 erano 376.600), 205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne. In due anni, l’incremento è stato di 14.100 casi. Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2022, è il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%) e vescica (29.200, +1,7% negli uomini e +1,0% nelle donne). La pandemia ha determinato, nel 2020, un calo delle nuove diagnosi, legato in parte all’interruzione degli screening oncologici e al rallentamento delle attività diagnostiche, ma oggi si assiste alla ripresa dei casi di cancro come in altri Paesi europei. Che rischia di peggiorare, se non si pone un argine agli stili di vita scorretti: il 33% degli adulti è in sovrappeso e il 10% obeso, il 24% fuma e i sedentari sono aumentati dal 23% nel 2008 al 31% nel 2021. Dall’altro lato, va letta positivamente la ripresa dei programmi di screening, tornati nel 2021 ai livelli prepandemici, in particolare quello mammografico raggiunge la copertura del 46%, per il colon-retto del 30% e per la cervice uterina del 35%. Alla riattivazione dei programmi di prevenzione secondaria corrisponde un incremento del numero di interventi chirurgici per cancro del colon-retto e della mammella, anche in stadio iniziale. E nell’assistenza oncologica assume un ruolo di primo piano la vaccinazione anti Covid. Il rischio di morte, tra le persone con storia di cancro e positività all’infezione da SARS-CoV-2, è 2-3 volte superiore tra quelle non vaccinate rispetto alle vaccinate.

E’ il censimento ufficiale, giunto alla dodicesima edizione, che descrive gli aspetti relativi alla diagnosi e terapia delle neoplasie grazie al lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), Fondazione AIOM, Osservatorio Nazionale Screening (ONS), PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), PASSI d’Argento e della Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPeC-IAP), raccolto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2022”, presentato oggi in una conferenza stampa a Roma, al Ministero della Salute, con l’intervento del Ministro, Prof. Orazio Schillaci.

“L’aumento a 390.700 del numero assoluto dei casi nel 2022 pone interrogativi per i quali attualmente non ci sono risposte esaurienti – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM -. Queste stime per l’Italia per il 2022 sembrano indicare un aumento del numero assoluto dei tumori, in gran parte legato all’invecchiamento della popolazione, in apparente contrasto con l’andamento decrescente dei tassi di incidenza osservato se, ipoteticamente, si considera invariata l’età dei cittadini. Questi dati aggiornati invitano sempre di più a rafforzare le azioni per contrastare il ritardo diagnostico e per favorire la prevenzione secondaria e soprattutto primaria, agendo sul controllo dei fattori di rischio a partire dal fumo di tabacco, dall’obesità, dalla sedentarietà, dall’abuso di alcol e dalla necessità di favorire le vaccinazioni contro le infezioni note per causare il cancro, come quella contro l’HPV”.

“Il volume costituisce un supporto di grande valore per il Servizio Sanitario Nazionale, per il Ministero della Salute e, indubbiamente, per i pazienti oncologici, ai quali, mai come adesso, è necessario offrire le pratiche migliori di prevenzione, cura e assistenza – spiega il Ministro della Salute, Prof. Orazio Schillaci, nella prefazione del libro -. Come emerge dall’analisi, a seguito di decenni caratterizzati da notevoli progressi, la pandemia di Covid-19 ha determinato una battuta d’arresto nella lotta al cancro, causando in Italia, nel complesso, un forte rallentamento delle attività diagnostiche in campo oncologico, con conseguente incremento delle forme avanzate della malattia. Questi ritardi sicuramente influiranno sull’incidenza futura delle patologie neoplastiche. Inoltre, per quanto riguarda i fattori di rischio comportamentali, i dati raccolti durante il biennio 2020-2021 segnano un momento di accelerazione per lo più in senso peggiorativo. Si tratta di un dato che non può non destare preoccupazione se si considera che il 40% dei casi e il 50% delle morti oncologiche possono essere evitati intervenendo su fattori di rischio prevenibili, soprattutto sugli stili di vita”.

È infatti necessario sensibilizzare i cittadini sulle regole di prevenzione primaria. “I dati PASSI sugli stili di vita confermano la non ottimale aderenza dei cittadini ad uno stile di vita sano – afferma Maria Masocco, Responsabile scientifico dei sistemi di sorveglianza PASSI e PASSI d’Argento, coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità -. Dall’analisi delle serie storiche dei fattori di rischio comportamentali, emerge che non ci sono stati grandi miglioramenti negli ultimi 15 anni e, ad eccezione dell’abitudine al fumo di sigaretta che continua la sua lenta riduzione da oltre un trentennio, il consumo di alcol a rischio, la sedentarietà e l’eccesso ponderale, complessivamente, peggiorano o restano stabili. Non solo. In piena pandemia, durante il biennio 2020-2021, questi trend hanno subito modifiche per lo più in senso peggiorativo. L’impatto della pandemia sugli stili di vita è più visibile nel 2020 e sembra, in parte, rientrare nel 2021. Ma gli sforzi per sensibilizzare i cittadini sull’importanza della prevenzione primaria non devono fermarsi”.

Come emerge dall’indagine che ha coinvolto10 anatomie patologiche per i tumori della mammella e 12 per il colon-retto, il numero di carcinomi della mammella operati nel 2020 è risultato inferiore del 4,7% (-151 casi) rispetto al 2019, per poi risalire nel 2021 (+ 441 casi, +14,5%). Nel 2020, il numero di carcinomi del colon-retto operati è risultato inferiore del 10,8% (-238 casi) rispetto al 2019, mentre è cresciuto di 233 casi (+11,9%) nel 2021 rispetto al 2020. “Questa edizione contiene l’aggiornamento al 2021 dell’indagine contenuta nella scorsa edizione sull’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 sugli interventi chirurgici dei tumori della mammella e del colon-retto – evidenzia Guido Mazzoleni, Azienda Sanitaria di Bolzano, Registro Tumori di Bolzano, Referente SIAPeC-IAP -. I risultati aggiornati fanno emergere, in generale e per entrambi i tumori, un aumento dei casi operati nel 2021 rispetto al 2020 e un incremento della percentuale dei tumori pTis, cioè in stadio iniziale, nel 2021 rispetto agli anni precedenti, sia nella mammella che nel colon-retto, a conferma di una ripresa degli screening oncologici. Va, inoltre, segnalato un aumento in entrambe le neoplasie delle categorie N0 e N1a, verosimile indicatore di una presa in carico più precoce dei tumori diagnosticati”.

Nel 2021 si osserva, infatti, un ritorno ai dati pre-pandemici anche per quanto riguarda la copertura dei programmi di prevenzione secondaria. Per la mammografia il valore medio italiano, che nel 2020 si era attestato al 30%, nel 2021 ritorna in linea (46,3%) con i valori di copertura (cioè la proporzione di donne che hanno effettuato la mammografia sul totale della popolazione avente diritto) del periodo 2018-2019. Per lo screening colorettale (ricerca del sangue occulto nelle feci) il valore complessivo si attestava intorno al 30%, per ridursi al 17% nel 2020 e risalire al 30% nel 2021. Lo screening cervicale presentava valori pre-pandemici intorno al 38-39%, un calo al 23% nel 2020 e un livello di copertura del 35% nel 2021. “Questi dati ci consegnano un Paese a due, se non a tre velocità, ma anche con notevoli capacità di rispondere alle emergenze – sottolinea Paola Mantellini, Direttrice Osservatorio Nazionale Screening -. La maggior parte delle attività di screening non è stata ferma durante la pandemia, ma il Covid-19 ha messo in risalto ancora di più le fragilità di questi programmi, già evidenti in epoca pre-pandemica. L’obiettivo non è recuperare i ritardi indotti dall’emergenza sanitaria, ma ottenere livelli di copertura ottimali che, in determinate aree del Paese e per alcuni programmi, non si sono raggiunti nemmeno prima della pandemia. Perché più i livelli di copertura saranno elevati, maggiore sarà la nostra capacità di diagnosticare la malattia in fase precoce. È infatti importante segnalare che, all’interno di ogni singola macro-area, ci sono Regioni con maggiore capacità di ripresa ed altre in evidente difficoltà anche nel 2021”.

Un capitolo del libro è dedicato all’impatto del Covid sui pazienti con tumore. “In Italia, la pandemia ha causato un aumento della mortalità dei pazienti oncologici, soprattutto nei maschi, in età avanzata, con tumore diagnosticato da meno di 2 anni e nelle neoplasie ematologiche – spiegano Fabrizio Stracci,(Presidente AIRTUM) e Diego Serraino (Direttore, SOC Epidemiologia Oncologica e Registro Tumori del Friuli Venezia Giulia, Centro di Riferimento Oncologico, IRCCS, Aviano) -. È fondamentale che i pazienti fragili, tra cui rientrano quelli oncologici, si vaccinino. Infatti uno studio su tutti i residenti in Friuli Venezia Giulia e nella provincia di Reggio Emilia ha evidenziato che il rischio di morte tra gli individui con storia di cancro e di positività all’infezione da SARS-CoV-2 è 2-3 volte superiore tra i non vaccinati rispetto ai vaccinati”.

A fronte dei 2 milioni e mezzo di cittadini che vivevano in Italia nel 2006 con una pregressa diagnosi di tumore, si è passati a circa 3,6 milioni nel 2020, il 37% in più di quanto osservato solo 10 anni prima. L’aumento è stato particolarmente marcato per coloro che vivono da oltre 10 o 15 anni dalla diagnosi. Nel 2020, circa 2,4 milioni di persone (65% del totale) hanno ricevuto la diagnosi da più di 5 anni, mentre 1,4 milioni (39% del totale) da oltre un decennio. Sono oltre un quarto (27%) le persone guarite tra quelle che vivono dopo una diagnosi di tumore.

“Nella stragrande maggioranza dei casi, una persona libera da malattia oltre i 10 anni dal termine del trattamento può, in assenza di recidiva, essere considerata guarita – conclude Giordano Beretta, Presidente Fondazione AIOM -. Fanno eccezione a questa regola alcuni tumori in cui il tempo di guarigione è più lungo e le neoplasie insorte nell’età infantile e adolescenziale, in cui possono bastare 5 anni. Il fatto che una persona, a cui è stata diagnosticata una patologia oncologica, possa essere considerata guarita rappresenta un radicale cambiamento di paradigma, che diventa anche un elemento motivante per l’adesione agli screening, una volta che si sia compreso che la guarigione è tanto più facile quanto più precoce è la diagnosi. In Italia i pazienti oncologici guariti, però, rischiano ancora di incontrare concrete difficoltà quando, ad esempio, cerchino di stipulare un’assicurazione sulla vita o richiedano un mutuo o un finanziamento bancario. Ecco perché è fondamentale attuare, anche in Italia, una legge sul ‘Diritto all’Oblio’, seguendo l’esempio di altri Paesi europei”.


 

Global State of THR: ecig una rivoluzione senza precedenti 

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Global state of THR ecig rivoluzione

Dati alla mano, la terza edizione del report Global State of Tobacco Harm reduction traccia un quadro chiaro sui prodotti alternativi a rilascio di nicotina: nonostante più di 100 milioni di persone siano ormai consumatori abituali, le morti tabacco-correlate superano ancora gli 8 milioni l’anno e la strenua opposizione dei governi e di alcune agenzie di salute pubblica sembrano tracciare un percorso in salita per i fumatori che non riescono a smettere 

Opportunità storica o una faccia diversa di una stessa medaglia? Secondo the Right Side of History:Global State of Tobacco Harm Reduction la risposta non è mai stata più chiara e viene confermata dai più di 100 milioni di consumatori di dispositivi alternativi a rilascio di nicotina, dalle sigarette elettroniche ai sacchetti alla nicotina passando per lo snus, e che ormai hanno deciso di abbandonare il fumo combusto.

Purtroppo, le previsioni del report, sebbene trovino conferma nell’ormai innegabile mole di risultati ottenuti in campo scientifico, non delineano previsioni rosee per un’apertura nel breve periodo da parte di istituzioni e agenzie di salute pubblica. 

Il report traccia infatti un’accurata radiografia della riduzione del danno in ambito del consumo del tabacco, partendo dall’invenzione per eccellenza e più rappresentativa dei prodotti emergenti, ovvero la sigaretta elettronica, fino alle aperture da parte di numerosi governi, come quello inglese.

L’ascesa dei prodotti da svapo, nati in piccole start-up, spesso in Cina, ha causato sconvolgimenti, preoccupazioni e confusione tra i principali attori dell’industria del tabacco” spiega nell’introduzione Gerry Stimson, direttore di  Knowledge•Action•Change. “Grandi aziende che producono miliardi di sigarette all’anno sono state spiazzate. Questa nuova tecnologia non è emersa dalle loro strutture di ricerca e sviluppo, né può essere rivendicata dalla sanità pubblica.

Ma le prove contano – e ce n’è una montagna crescente relativa al rischio notevolmente ridotto associato a prodotti a base di nicotina più sicuri. Fortunatamente, un certo numero di paesi ha potuto vedere i vantaggi di consentire alla propria popolazione di fumatori di passare dai pericoli del fumo di sigaretta a prodotti molto più sicuri”.

Nonostante i numeri del fronte della riduzione del danno stiano crescendo, sono ancora troppi i fumatori attratti dalla sigaretta: con oltre 1,1 miliardi di fumatori nel mondo e più di 8 milioni  morti fumo correlate ogni anno, l’emergenza da fumo è ancora lontana dall’essere sotto scacco.

Eppure il potenziale dei prodotti privi di combustione è sotto gli occhi di tutti e rappresenta una delle più valide alternative che oggi abbiamo per poter definitivamente cambiare il mondo della dipendenza tabagica: un esempio lampante è quello del Giappone, dove l’avvento dei prodotti a tabacco riscaldato ha fatto crollare le vendite delle sigarette del 47% tra il primo quadrimestre del 2016 e lo stesso periodo del 2022.

Oltre a scontrarsi però con l’indotto provocato dalla vendite delle sigarette, che conta per il 90% dei profitti dell’industria del tabacco, come si legge nel report, “l’avvento dei nuovi prodotti  rappresenta anche una minaccia per i profitti dell’industria farmaceutica e per un mercato di 50 miliardi di dollari di prodotti sostitutivi della nicotina e medicinali. Per molti anni, l’industria farmaceutica ha sponsorizzato attività internazionali di controllo del tabacco e relative eventi sanitari.

Nel dicembre 2020, la più grande azienda sanitaria del mondo Johnson & Johnson e Cipla, un’importante azienda farmaceutica multinazionale indiana, sono state entrambe nominate “partner” e “aziende del settore privato che hanno offerto supporto” per la campagna “Commit to Quit” dell’OMS”.

A ciò si aggiungono i profitti per i governi: in 18 paesi,  lo stesso governo detiene una partecipazione significativa o addirittura di monopolio nell’industria nazionale del tabacco. A ciò si aggiungono le preoccupazioni per le migliaia di lavoratori impiegati nell’industria del tabacco e per coloro impegnati nella produzione di forme locali e orali di consumo del tabacco, come avviene in India o in alcune zone dell’Asia.

Quali sono quindi le prospettive future per i prodotti privi di combustione?

Negli ultimi 40 anni, i tassi del fumo sono scesi soprattutto nei paesi ad alto reddito grazie ad un mix di restrizioni, tassazioni elevate e campagne preventive. Livelli che si stanno però attestando, complice anche l’innalzamento della popolazione mondiale. I tassi poi rimangono alti soprattutto nei paesi a basso e medio reddito e tra gli strati più svantaggiati della popolazione.

Si prevede che entro il 2100 raggiungeremo quota 1 miliardo di morti fumo-correlate. Ci sono voluti più di 60 anni per stabilire la correlazione tra sigarette e tumore, e questa è una delle motivazioni principali che utilizzano i detrattori del vaping, secondo i quali è impossibile conoscere gli effetti in termini di salute dei nuovi prodotti a rilascio di nicotina nel lungo periodo.

Ma le prove esistono e soprattutto sappiamo quanto fumare comporti in termini di vite umane e salute. La conclusione del Global State of THR non lascia spazio a dubbi: “Una cosa è certa: non possiamo aspettare altri 60 anni prima che la riduzione del danno da tabacco venga integrata nella salute pubblica globale”.

Esperti a CDC statunitense: correggere la disinformazione sul vaping

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ATLANTA – Gli scienziati più illustri in tema di Harm Reduction stanno chiedendo ai Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) di controllare e correggere la disinformazione che sopravvaluta i pericoli delle sigarette elettroniche.

L’iniziativa si chiama “Moving Forward”.

Un gruppo di esperti di salute pubblica di 5 importanti università americane, insieme al procuratore generale dell’Iowa, hanno pubblicato un editoriale sulla rivista ADDICTION richiamando l’attenzione su come il CDC e il Surgeon General degli Stati Uniti perpetuano la disinformazione sulle sigarette elettroniche. Chiedono al CDC di adottare misure concrete per affrontare e correggere gli errori, rafforzando così la sua reputazione.

Gli autori identificano la gestione da parte del CDC dell’epidemia EVALI del 2019 come un problema di informazione. Mentre ora è noto che queste lesioni polmonari sono state causate dall’acetato di vitamina E aggiunto ai vapori di marijuana illeciti, il CDC continua a utilizzare una denominazione obsoleta e imprecisa per questa malattia: “E-cigarette, o Vaping, Product Use-Associated Lung Injury” (EVALI) — che fa più male che bene alla salute pubblica.

I fumatori hanno ancora il doppio delle probabilità di identificare le sigarette elettroniche come la causa di una grave epidemia invece che identificare la causa corretta dettata dall’uso di prodotti da svapo di marijuana contaminati“, ha affermato il professor Michael Pesko della Georgia State University.

Poiché molti fumatori credono erroneamente che le sigarette elettroniche siano altrettanto o più pericolose delle sigarette, la disinformazione riduce la cessazione del fumo che altrimenti si verificherebbe. Di conseguenza, la salute della popolazione ne risente”.

Parte del problema nasce dall’incomprensione di cosa siano le sigarette elettroniche.

“Un dispositivo di svapo contenente THC non è una sigaretta elettronica più di quanto uno spinello contenente cannabis sia una sigaretta”, ha affermato il coautore Jonathan Foulds del Penn State College of Medicine. “Raccomandiamo al CDC di fornire una definizione semplice di questi prodotti. “Una sigaretta elettronica è un prodotto che trasforma un liquido contenente nicotina in un aerosol che viene inalato tramite un bocchino”. Questa definizione eviterebbe la recente confusione riguardo ai dispositivi che utilizzano altre droghe”.

Gli autori chiedono inoltre al CDC di correggere la disinformazione relativa al ruolo delle sigarette elettroniche nell’uso di sigarette da parte dei giovani.

“La disinformazione dal sito web del Surgeon General che implica l’uso di sigarette elettroniche come causa del fumo tra i giovani non è coerente con le prove”, ha spiegato il coautore Cliff Douglas dell’Università del Michigan.

Mentre l’uso di sigarette elettroniche da parte dei giovani ha raggiunto il picco nel 2019, il fumo giovanile è recentemente sceso a livelli storicamente bassi, inferiori al 2%. Abbiamo molto rispetto per il lavoro del CDC e dell’Ufficio del Surgeon General”, ha affermato Pesko. “Ma per invertire la tendenza al declino della fiducia nelle istituzioni sanitarie pubbliche, è importante che aggiornino pubblicamente le loro dichiarazioni o raccomandazioni quando diventano disponibili nuove prove significative”.

Londra: Royal College of Physicians, e-cig summit 2022

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Fonte: ADNKronos

Si è svolto al Royal College of Physicians (Rcp) di Londra l’E-cig summit, l’evento annuale dedicato alle evidenze scientifiche e alle normative relative alle sigarette elettroniche, che quest’anno celebra il decimo anniversario. Il 2022 segna anche un’altra importante ricorrenza: sessant’anni fa infatti, il Royal College of Physicians pubblicava il primo innovativo rapporto sugli esiti del fumo sulla salute (“Smoking and Health”, 1962), che confermò la correlazione tra il fumo di sigaretta e il cancro ai polmoni.

Obiettivo principe del convegno, che riunisce ricercatori, clinici e studiosi provenienti da tutto il mondo, è quello di facilitare il dialogo rispettoso e l’analisi minuziosa delle evidenze scientifiche riguardanti il fumo e le nuove alternative alle sigarette tradizionali. L’E-cig summit si propone dunque come una piattaforma di confronto neutra, dove esplorare ed interpretare i dati disponibili al fine di delineare le strategie più efficaci per porre fine alle morti per fumo – che rappresentano tuttora la prima causa di morte prevenibile al mondo – e alle malattie ad esso collegate. 

Le sigarette elettroniche nascono infatti con l’intenzione di fornire agli adulti fumatori un’alternativa alle tradizionali sigarette con combustione poiché, nonostante gli sforzi decennali per il controllo del tabacco e l’educazione alla salute pubblica sui danni provocati dal fumo, il declino del tasso di fumatori tradizionali è stato finora troppo lento. 

“Tanto le autorità regolatorie quando i responsabili politici – si legge nella presentazione del summit – si interrogano sul ruolo della nicotina e delle sigarette elettroniche nella società, ma il fine ultimo comune dovrebbe essere quello di porre fine all’epidemia causata dal fumo. Per farlo bisogna garantire che la discussione sull’argomento venga sostenuta da prove scientifiche e trasmessa attraverso una comunicazione accurata”. 

Secondo quanto affermato durante il panel introduttivo da Tim Phillips, fondatore e consigliere delegato di E-cigIntelligence, nel corso del prossimo anno il valore di mercato dei nuovi prodotti contenenti nicotina raggiungerà i 50 miliardi di dollari a livello globale e gli utilizzatori di tali prodotti arriveranno ad essere 100 milioni. 

Durante il panel “Vaping, nicotine and health effects. What do we know and need to find out?” (Svapare, nicotina ed effetti sulla salute, cosa sappiamo e cosa dobbiamo ancora scoprire?), illustri esponenti del mondo della medicina e della ricerca hanno risposto alle domande proposte dalla moderatrice Ann McNeill, professoressa della dipendenza da tabacco dell’Istituto di psichiatria, psicologia e neuroscienze del King’s College di Londra.

Parlando di come si potrebbero esortare i fumatori di sigarette tradizionali ad abbandonarle in favore delle alternative senza combustione, ed in particolare le e-cigarettes, nonostante non si abbiano ancora dati ed evidenze certe riguardanti i potenziali rischi per la salute collegati ad un utilizzo prolungato delle stesse, Peter Hajek, professore di psicologia clinica e direttore dell’unità di ricerca sulla salute e gli stili di vita del Wolfson Institute of population health, della Queen Mary University di Londra, ha spiegato che “una comunicazione allarmistica riguardo le sigarette elettroniche, da parte di media e istituzioni scientifiche, rischia – paradossalmente – di far tornare alle sigarette tradizionali proprio coloro che avevano invece scelto di utilizzare l’e-cig. È dunque importante che i professionisti siano formati e informati adeguatamente”. 

Per traghettare i fumatori tradizionali verso le nuove alternative senza combustione, secondo la dottoressa Debbie Robson, docente di riduzione del danno da tabacco del centro nazionale per le dipendenze dell’Istituto di psichiatria, psicologia e neuroscienze del King’s College di Londra, un aspetto da non sottovalutare è l’eliminazione dello stigma con cui devono fare i conti coloro che continuano a scegliere le normali sigarette e non hanno mai provato quelle elettroniche: “Non tutti quelli che si trovano in questa situazione lo hanno scelto. Ci sono infatti persone che non possono permettersi di acquistare un dispositivo – ha spiegato la dottoressa Robson – o che non acquistano le sigarette, ma le raccolgono dalla strada. Anche questi sono fumatori che dovrebbero avere la libertà di poter scegliere un’alternativa alle sigarette tradizionali. Non devono essere stigmatizzati”.

Maciej L. Goniewicz, professore di oncologia della divisione per la prevenzione del cancro e gli studi sulla popolazione del Roswell Park Comprehensive Cancer Center, ha rimarcato il fatto che l’utilizzo delle sigarette elettroniche è consigliato solo ed esclusivamente agli adulti già fumatori. “Se una persona non fuma, non ha alcuna ragione per avvicinarsi alle sigarette elettroniche” ha spiegato il professor Goniewicz.

Un altro aspetto cruciale e complesso riguardante le e-cigs è quello regolatorio, come si è evidenziato durante la tavola rotonda dedicata alla sanità pubblica, al controllo del tabacco e alla regolamentazione del settore, ancora una volta moderata dalla professoressa McNeill.

Tra gli speaker era presente il professor Liam Humberstone, direttore tecnico della Totally Wicked- Independent British Vape Trade Association (Ibvta), che, interrogato sull’efficienza della regolamentazione nel Regno Unito, ha commentato: “Nonostante le imperfezioni e le iniziali difficoltà, il Regno Unito rappresenta senza ombra di dubbio un modello a livello globale per quel che riguarda la riduzione dei rischi collegati al tabacco attraverso l’uso delle sigarette elettroniche. A doverci preoccupare dovrebbe essere il mercato nero di questa tipologia di prodotti, che propone device non conformi agli standard e attrattivi per il loro costo ridotto”.

Al vaglio degli enti regolatori è dovuta passare anche la quantità di nicotina che può essere presente nei liquidi delle e-cigs, fissata ad un massimo di 20 mg/ml dalla Tobacco product directive (Tpd), la direttiva europea sui prodotti del tabacco (entrata in vigore in Italia nel maggio 2017). Secondo il professor Martin Jarvis, docente emerito di psicologia al dipartimento delle scienze comportamentali e della salute dell’University College di Londra, le restrizioni sul contenuto di nicotina operate con la TPD “sono un grosso errore ed hanno come presupposto un atteggiamento giudicante nei confronti di coloro che fanno uso di prodotti contenenti nicotina. Questa norma infatti ha come assunto il fatto che spetti ai regolatori giudicare cosa è giusto o sbagliato per la salute pubblica in termini di disponibilità della nicotina, quando invece io credo non siano nella posizione di farlo”.

Polosa: “Le riviste scientifiche devono fermare la narrativa anti-vaping guidata da una scienza di bassa qualità” 

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Catania, 9 Dicembre 2022 – Una pletora di studi di scarsa qualità nel campo della scienza applicata alle sigarette elettroniche sta distorcendo la verità scientifica. Ciò è dovuto in parte al processo di revisione editoriale delle principali riviste scientifiche, che spesso dà voce a interpretazioni errate e conclusioni fuorvianti. Nel loro commentoA tale of flawed e-cigarette research undetected by defective peer review process” published in Internal and Emergency Medicine, i due maggiori scienziati della riduzione del danno, il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, ed il prof. Konstantinos Farsalinos, dell’Università West Attica, denunciano il pericolo di un’escalation nella promozione e diffusione di una narrativa anti-vaping supportata da prove di bassa qualità.

I due scienziati spiegano che sempre più ricerche non tengono conto della rilevanza della tempistica dell’evento che è fondamentale per stabilire relazioni di causa ed effetto: ad esempio, studi trasversali che non includono informazioni sull’età in cui si è iniziato a fumare o a svapare non possono essere affidabili per trarre conclusioni sulle potenziali associazioni all’insorgere di malattie fumo correlate. Quel che è peggio, secondo gli autori, è che nessuno nelle redazioni di note riviste scientifiche sembra verificare questi dettagli. 

Gli autori hanno considerato, come esempio, un lavoro di Parker (2020), che ha analizzato il Behavioral Risk factor Surveillance System (BRFSS) sul possibile “rischio di ictus” associato all’uso di e-cig: hanno riferito che il passaggio dal fumo al vaping non conferisce benefici per l’ictus e che gli utenti di sigarette elettroniche che erano ex o attuali fumatori di sigarette convenzionali avevano probabilità di ictus significativamente più elevate. Il fatto è che all’interno del rapporto non erano disponibili informazioni sull’età di inizio del vaping o sull’insorgenza di ictus. Pertanto, nessuna inferenza causale può essere applicata tra i due eventi. E questo non è l’unico caso. 

“Stiamo assistendo ad una proliferazione di narrativa anti-vaping guidata da scienza e ideologia di bassa qualità, ed è per questo che la posizione degli esperti rimane divisa ed incide sulle politiche pubbliche. Di questo stato di cose sono da ritenersi responsabili i direttori di importanti riviste scientifiche. È in gioco la credibilità dei ricercatori di sanità pubblica” – ha affermato Polosa.

Come simbolo di buona scienza, gli autori citano un documento di Rodu e Plurphanswat (2022) che ha utilizzato il Population Assessment of Tobacco and Health Survey PATH, che contiene informazioni sull’età della diagnosi di una malattia specifica e sull’iniziazione al fumo o al vaping. Come affermato in questo studio, le malattie legate al fumo sono state diagnosticate solo raramente nelle persone che hanno svapato prima dell’età della diagnosi, mentre le stesse malattie sono state quasi sempre diagnosticate dopo l’età d’inizio del fumo. I casi di malattia che si sono verificati dopo la prima esposizione al fumo hanno rappresentato il 97% di tutti i casi di BPCO, il 96% di enfisema, il 98% di infarto del miocardio e il 93% di ictus. Inoltre, la maggior parte di queste malattie è stata diagnosticata negli intervistati che hanno iniziato a fumare prima dei 18 anni di età. 

“Molti articoli pubblicati sulle autorevoli riviste scientifiche non analizzano e non considerano la precedente storia di fumo dei pazienti o qualsiasi informazione di inizio esposizione o diagnosi. Invece di fidarci del processo scientifico, stiamo basando le scelte di salute pubblica sul passaparola, sulla raccolta delle ciliegie e sulle esagerazioni” – ha aggiunto Farsalinos.

La diffusione di informazioni imprecise sui prodotti senza combustione da parte degli editori e, successivamente, dei media contribuisce allo scetticismo e all’incertezza del pubblico, in particolare tra i fumatori, che di conseguenza sono scoraggiati dall’adottare stili di vita a rischio ridotto.  

“Abbiamo bisogno di giornalisti e ricercatori informati che contribuiscano a diffondere dati corretti, comprendendo un semplice assioma che l’associazione non sempre può essere interpretata come un rapporto di causa-effetto” – conclude Polosa.

Il fumo è associato a 56 diverse malattie

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I risultati chiave di uno studio condotto dai ricercatori dell’Oxford Population Health (Regno Unito), dell’Università di Pechino e dell’Accademia cinese delle Scienze mediche, sono stati pubblicato su The Lancet Public Health.

Il 40% dei fumatori a livello mondiale è concentrato in Cina, dove il principale aumento del consumo di sigarette confezionate si è verificato tra il 1980 e il 2010.

I risultati dello studio dimostrano che:

  • Di quasi 85 cause di morte e 480 malattie studiate, il fumo è associato a un’aumentata incidenza di 56 malattie specifice (50 per gli uomini e 24 per le donne) – in particolare 10 malattie cardiovascolari, 14 respiratorie, 14 tumorali, 5 digestive e 13 altre malattie -, e a un maggiore rischio di morte per 22 cause specifiche (17 per gli uomini e 9 per le donne);
  • Rispetto ai non fumatori, i fumatori regolari hanno circa il 10% in più di rischio di sviluppare qualsiasi malattia, che va dal 6% di rischio in piu’ di diabete al 216% di rischio in piu’ di cancro alla laringe;
  • I fumatori abituali che vivono in aree urbane tendono a iniziare a fumare in giovane età, fumano una quantità maggiore rispetto a quelli nelle aree rurali, e sono a più alto rischio di morte;
  • Il 19,6% dei decessi degli uomoni (24,3% di quelli residenti in contesti urbani e il 16,2% di quelli residenti in contesti rurali) e il 2,8% dei decessi femminili sono stati attribuiti al fumo regolare;
  • E’ stato riscontrato che le persone che hanno smesso di fumare volontariamente (cioè prima di sviluppare malattie gravi) hanno livelli di rischio simili a quelli di persone che non hanno mai fumato, 10 anni dopo aver smesso;
  • Nonostante la minore prevalenza e intensità del fumo nelle donne fumatrici, queste hanno maggiori rischi di sviluppare malattie respiratorie, mostrando di avere una particolare vulnerabilità ai danni del tabacco rispetto agli uomini;
  • I ricercatori stimano che i fumatori di entrambi i sessi muoiano 3,5 anni prima dei non fumatori, e sostengono che questo divario di sopravvivenza tra fumatori e non fumatori aumentera’ significativamente nei decenni futuri.

I tassi di fumo in Nuova Zelanda scendono ai minimi storici

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alcoholism, alcohol addiction and people concept - male alcoholic with smartphone drinking beer and smoking cigarette at night

Il tasso complessivo di fumo scende all’8% poiché il Paese persegue l’obiettivo di eliminare totalmente questa percentuale entro il 2025, molti consumatori però potrebbero passare allo svapo.

Articolo di Melania Torrisi

Il numero di persone che fumano in Nuova Zelanda è sceso ad un minimo storico, mentre il Paese avanza con piani ambiziosi per eliminare il fumo nella new generation. I dati rilasciati giovedì 17 novembre, infatti, hanno mostrato che il numero di persone che hanno il vizio del fumo è sceso all’8%, il tasso più basso dall’inizio delle registrazioni, rispetto al 9,4% dello scorso anno.

Il Ministro della Salute Neo Zelandese, la Dott.ssa Ayesha Verrall, ha attribuito questa diminuzione agli interventi del Governo affermando che: “Il piano attuato per ridurre il fumo sta funzionando. Il numero di persone che fanno uso di sigarette è diminuito di 56.000 unità nell’ultimo anno, nonostante le pressioni e lo stress della pandemia, i tassi risultano essere la metà di quelli di 10 anni fa“. A differenza degli altri Paesi che hanno visto un aumento dei tassi di fumo durante la chiusura pandemica, la Nuova Zelanda ha dimostrato avere un’ottima tendenza positiva con un trend decisamente in calo.

La media OCSE Neo Zelandese più recente è stata del 16,5%, mentre il tasso dell’Australia è del 10,7% e quello del Regno Unito è del 13,8%. È probabile, tuttavia, che una parte sostanziale del Paese che ha deciso di smettere stia passando alla sigaretta elettronica. Secondo gli ultimi dati, l’aumento degli utenti giornalieri di svapo è stato maggiore del calo dei fumatori: infatti l’8,3% degli adulti ha dichiarato di utilizzare quest’ultima quotidianamente, rispetto al 6,2% dello scorso anno.

Ad agosto, il Governo della Nuova Zelanda ha presentato un disegno di legge, come prima legislazione al mondo, contenente l’impedimento alla futura generazione di poter acquistare sigarette in maniera legale. Queste, che hanno superato la loro prima lettura, stabiliscono un’età di acquisto in costante aumento in modo tale che gli adolescenti non possano mai acquistare legalmente quest’ultime, dando vita così ad una “generazione senza fumo”. Queste misure sono considerate una novità mondiale e hanno attirato da un lato un misto di elogi per l’innovazione e dall’altro preoccupazioni per la loro natura non testata.

Alcuni dati dicono che i maggiori cali di quest’anno sono stati tra i Māori, che in genere hanno tassi di fumo molto elevati rispetto alla popolazione complessiva. La Verrall ha affermato che un quarto delle fumatrici Māori ha smesso negli ultimi 12 mesi, passando così dal 24,1% al 18,2% di quest’anno. 

Oltre all’aumento dell’età da fumo, le leggi della Nuova Zelanda prevedono una riduzione di nicotina nelle sigarette che potranno essere vendute solo attraverso tabaccherie specializzate, piuttosto che in botteghe o supermercati come avveniva negli anni precedenti. Suddetta legislatura dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno e fa parte del “piano” per rendere la Nuova Zelanda il primo Paese al mondo in cui non si potrà fare utilizzo di fumo dal 2025, come comunicato dalla stessa Verrall.