mercoledì, Dicembre 11, 2024
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Non toccare il fumo! Il senso del tatto nella smoking cessation

Tondo, quadrato, ruvido, liscio: molto spesso ci dimentichiamo come le immagini mentali del mondo in cui viviamo siano in realtà plasmate dal tatto molto prima che dalla vista. Sin dai primi mesi di vita, toccare diventa una necessità primaria, un modo per imparare cosa possiamo o non possiamo fare.

Un meccanismo di difesa atavico: allungare il braccio significa creare una distanza di sicurezza tra noi e un ostacolo, lontani quanto basta per poter fare dietrofront. Di fronte allo sconosciuto, vista e tatto ci permettono di inquadrare la situazione.

“Il termine tatto deriva direttamente dal latino tactus, – us der, di tangere (toccare). Una parola che indica la funzione psichica dell’esperire le consistenze, le temperature e quanto ad esse collegabili. Il tatto riceve forte interesse ed assorbe intensamente il soggetto durante l’infanzia; mentre rimane come ambito conoscitivo fondamentale nelle persone adulte” – ci spiega Pasquale Caponnetto, docente di Clinica della Dipendenze DISFOR dell’Università degli studi di Catania oltre che coordinatore del Centro Antifumo del Policlinico Vittorio Emanuele – Il tatto corrisponde a specifiche modalità dell’esperienza ed in particolare alla consistenza, alla temperature ed ad altre proprietà oggettuali costituendo uno dei canali per l’informazione ed un ambito peculiare per i processi di strutturazione conoscitiva. Esso consente conoscenze ai livelli di realtà della percezione e del pensiero, percezione tattile ed immaginazione tattile”.

Non a caso, nei soggetti con problemi alla vista, il tatto diventa un sostituto eccezionale per orientarsi nell’ambiente, permettendo di riconoscere forme e materiali. Non solo, le sensazioni piacevoli derivano proprio dal nostro “toccare”: un letto ci sembra comodo non perchè vediamo le coperte o i cuscini, ma perché sappiamo che una volta stesi verremmo avvolti da sensazioni piacevoli, dalla morbidezza delle lenzuola o dalla sofficità dei cuscini.

Ma ancora più importante rimane la creazione del legame affettivo attraverso il tatto: esperienze positive o negative ci rimangono impresse maggiormente se connesse a un “toccare”. La sberla data da un madre ci ricorda indelebilmente un comportamento che dobbiamo evitare, così come una carezza o un abbraccio li associamo immediatamente a un senso di protezione, all’affetto e al conforto.

Creare legami duraturi e stabili è impossibile senza il contatto: fisicamente concediamo l’ingresso nel nostro spazio personale ad una altra persona, ci esponiamo, gli garantiamo di fatto che può stare con noi. Una stretta di mano per salutarsi quando non ci si conosce, un abbraccio per congedarsi quando si è diventati intimi.

Per capire quanto sia importante per un fumatore fare a meno delle piacevoli sensazioni offerte dal tatto, basta riflettere un attimo a quanto l’ormai famoso distanziamento sociale ci ha fatto perdere la stupenda sensazione che solo un abbraccio ci può offrire – commenta Marilena Maglia, ricercatrice del CoEHAR.

La forza del tatto amplificano risiede nell’amplificare le sensazioni e le emozioni che proviamo, rafforzando un esperienza tanto in positivo che in negativo. 

E questo purtroppo può succedere anche quando parliamo di smoking cessation. Le prime strategie per portare la gente fuori dal vizio del fumo si basavano molto sull’apporto dato da cerotti o gomme alla nicotina, tralasciando l’apporto che può essere fornito da dispostivi alternativi e dalla consulenza psicologica.

Con l’avvento sul mercato dei dispositivi a rischio ridotto e il diffondersi del concetto di riduzione del danno e relative strategie, si è capito come il fumare in se e per sè sia un’esperienza emozionale e sensoriale molto più complessa da eradicare. Non una semplice dipendenza dall’atto, ma un legame emotivo profondo che si instaura con un’abitudine che ci accompagna in momenti della vita particolari.

Si lega al piacere di stare a tavola, si lega alla necessità di evadere dallo stress e di alleviare l’ansia. Diventa un rito a cui è difficile rinunciare.

E proprio dal tatto inizia tutto: il cercare il pacchetto, l’aprirlo e il toccare la sigaretta, liscia e morbida, diventa un piacere. Dall’accendino alla sigaretta, tutto è studiato per essere immediato, veloce e sopratutto piacevole.

Ecco perché nella riduzione del danno molto spesso si consiglia l’utilizzo di dispositivi a rischio ridotto come le sigarette elettroniche: le forme simili alla sigaretta convenzionale e i meccanismi comportamentali abbastanza uguali, permettono di mantenere intatte le abitudini, ma attraverso uno strumento che, dati alla mano, risulta essere il 95% meno dannoso della normali sigarette.

Molto spesso pensiamo che il danno maggiore delle sigarette derivi sia dall’assunzione diretta sia dal fumo passivo: l’abolizione delle possibilità di fumare sui mezzi di trasporto o nei luoghi pubblici ha sensibilizzato l’opinione pubblica sulle potenzialità dannose del fumo di seconda mano. 

Ma tanti ignorano che esiste anche una terza forma, il cosiddetto fumo di terza mano: residui di nicotina e altri agenti chimici, combinati, permangono sulle superfici interne che, reagendo con le sostanza nell’aria e nell’ambiente, creando mix potenzialmente dannosi per la salute umana, specialmente per quella dei più piccoli.

Un branca dello studio sul danno da fumo che ancora deve essere approfondita: ma secondo uno studio del 2011 di George Matt, tracce di fumo rimangono presenti in un appartamento anche due mesi dopo l’abbandono dell’immobile da parte dei proprietari e una leggera ristrutturazione.

Non solo, ma il fumo di terza mano non è semplicemente un residuato presente nell’aria ma può anche assumere una forma solida, una sorta di deposito negli oggetti con cui veniamo in contatto.

Lara Gundel, ricercatrice sul fumo di terza mano all’Università della California di Los Angeles, definisce il fumo di terza mano “anche quello che si deposita sulla nostra pelle quando sfioriamo un muro, una superficie e quando visitiamo la casa di gente che fuma”.

Va da sè, che il problema maggiore si presenta quando in casa sono presenti bambini piccoli o neonati. Come dicevamo all’inizio, la necessità di toccare per scoprire ed imparare risulta potenzialmente pericoloso in presenza di fumo sulle superfici. Sebbene ad oggi le ricerche siano in fase iniziale e dunque non sappiamo quale siano i parametri di studio sul danno da fumo di terza mano, sappiamo che un neonato o un infante sono più suscettibili ad agenti patogeni esterni. 

Aprire le finestre, areare l’ambiente, utilizzare i ventilatori o relegare i fumatori in alcune parti della casa non è abbastanza. Solo una pulizia approfondita può rimuovere le tracce e i depositi di fumo dalle superfici. Con ciò non vogliamo scatenare una caccia alla streghe. Come ribadito in precedenza, non si hanno ad oggi dati certi che indicano le statistiche relative al fumo di terza mano. Come sempre nell’ambito della riduzione del rischio, è bene conoscere le diverse possibilità per potersi regolare e garantire una maggiore sicurezza a quelle categorie che ne necessitano.

Ma i benefici in termini tattili sono evidenti anche per i soggetti fumatori: la pelle è un organo potente e delicato insieme. Le sostanze cancerogene derivanti dal fumo di sigaretta aumentano al produzione di radicali liberi, alterando la produzione di collagene, sinonimo di una pelle fresca ed elastica.

Le cosiddette rughe da fumo sono un esempio di quanto la pelle, filtro naturale del nostro organismo e prima barriera protettiva, accusi gli anni di fumo intenso. Smettere di fumare è una scelta che permette alla pelle di rigenerarsi e, perchè no, ringiovanire.

Ma quando desideriamo “toccare”, tenere una sigaretta tra le mani, cosa dobbiamo fare?

Rivolgersi agli specialisti della smoking cessation significa ricevere un sostegno costante tarato sulle proprie necessità.

E se ci prende la voglia di una sigaretta al mare o in un prato di montagna che possiamo fare? Perchè non optare per un buon libro?

Il nostro consiglio di lettura a tema udito è La Meccanica Del Cuore di Mathias Malzieu. Il romanzo racconta la storia del piccolo Jack, che in un fredda notte del 1874 nasce ad Edimburgo con il cuore ghiacciato. La levatrice lo salverà donandogli un orologio a cucù al posto del cuore. Ma la meccanica dell’orologio è tanto fragile quanto delicata e l’emozioni possono distruggerla, l’amore in primis. Ma quando Jack sentirà la voce di una piccola cantante andalusa non potrà fare a meno di scoprire di chi sia quella voce che fa perder di colpi al suo orologio.

chiara nobis

Giornalista praticante, collabora con LIAF, dove scrive di salute e attualità. Appassionata di sport, con un passato da atleta agonista di sci alpino, si diletta nell'indagare le nuove frontiere della comunicazione e della tecnologia, attenta alla contaminazione con generi e linguaggi diversi.

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